Carlo Goldoni
Il padre per amore

ATTO QUARTO

SCENA QUARTA   Donna Marianna, poi il Principe don Fernando

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SCENA QUARTA

 

Donna Marianna, poi il Principe don Fernando.

 

MARI.

So regolarmi a tempo in ogni vario impegno,

So minacciar, se occorre, so moderar lo sdegno.

Ritroverammi il Principe umile nell'aspetto,

Ma saprò, s'ei m'insulta, parlar senza rispetto.

Eccolo, alla presenza dimostra un cuor gentile;

Spero che al dolce viso l'animo avrà simile.

FER.

Perdonate, madama...

MARI.

Signor, di quest'onore

Sperar io non poteva consolazion maggiore.

Esser a' piedi vostri supera ogni piacere:

Permettete, signore, ch'io faccia il mio dovere. (vuol baciargli la mano)

FER.

Che fate voi? (ritirando la mano)

MARI.

Lasciate, in segno di rispetto,

Ch'io vi baci la mano. (come sopra)

FER.

Ah no, non lo permetto. (come sopra)

MARI.

Se la bella umiltade ciò a ricusar v'impegna,

Spero che di tal grazia non mi crediate indegna.

FER.

Con dama vostra pari il mio dover conosco.

(Dubito sotto il mele non si nasconda il tosco). (da sé)

MARI.

Vi prego accomodarvi.

FER.

Fatelo voi, signora (donna Marianna siede, e poi don Fernando)

(In un impegno simile non mi ho trovato ancora).

MARI.

Qual motivo conduce il principe Fernando?

Degna son di ottenere l'onor di un suo comando?

FER.

Io fui, donna Marianna, del vostro genitore,

Fino ch'ei visse al mondo, amico e servitore.

La medesima stima serbo alla sua famiglia,

E vengo ad offerirmi all'unica sua figlia.

MARI.

Tal bontà generosa ogni mio merto eccede,

E il cuor mio in rispettarvi al genitor non cede.

FER.

Per qual affar prendeste di Napoli il sentiero?

MARI.

Signor, non ho riguardi a palesarvi il vero.

Lo direi francamente di tutto il mondo in faccia;

Molto più a un cavaliere, di cui son nelle braccia.

Soffrir più non poteva, dove ho il natal sortito,

Dai nobili e dal volgo venir mostrata a dito.

Eccola, mi diceva gente ribalda oziosa,

Ecco la derelitta, né vedova, né sposa.

Se un cavalier d'onore manca ad un sacro impegno,

Sarà di sposo tale il di lei cuore indegno.

Il duca don Luigi, che ha eroici sentimenti,

L'alma non ha capace di bassi tradimenti;

Dunque s'ei l'abbandona, se manca a lei di fede,

Sarà de' suoi difetti giustissima mercede.

Tutte le Messinesi me risguardando in viso,

Moveano fra di loro un critico sorriso;

E dire una di quelle fu da me stessa udita:

La povera Marianna mai più non si marita.

I miei congiunti istessi m'han tutti abbandonata,

Dai servi e dalla plebe vedeami disprezzata.

Ed il sordido zio, che ha l'onor mio venduto,

Di me, per la vergogna, nemico è divenuto.

Parlommi di un ritiro; ma il mondo avrebbe detto,

Ch'io andava a rinserrarmi per onta e per dispetto;

Ed in qualunque stato, o sola, o accompagnata,

Avrebbero compianto un'alma disperata.

Tutto per me spirava sdegno, rossore e tedio;

So che ne' mali estremi giova estremo rimedio.

Colla fedel mia serva, cinta in virili spoglie,

Abbandonai Messina, lasciai le patrie soglie.

Perduta la mia pace, la gloria mia perduta,

Eccomi finalmente in Napoli venuta.

Deh, ad ottener giustizia, a ricovrar l'onore,

Fate che in voi ritrovi l'amico e il protettore.

FER.

(In fatti il di lei caso degno è di compassione,

E riparare è forza la sua riputazione). (da sé)

Figlia, la sofferenza d'ogni buon frutto è madre.

In me, ve lo protesto, ritroverete il padre.

La fuga sconsigliata la fama vostra offende,

Ma serenate il ciglio, Fernando vi difende.

A dama vostra pari non mancherà il marito;

Io stesso in questo regno vi troverò il partito.

E se lo zio indiscreto non pensa alla nipote,

Da cavalier prometto formar la vostra dote.

MARI.

Dote a me si promette? Marianna accompagnarsi

Con tal maschera in volto? (alquanto sdegnata)

FER.

(Principia a riscaldarsi).

MARI.

Signor, per questa parte ringrazio il vostro zelo.

Mio sposo è don Luigi, me l'ha concesso il cielo.

Quand'ebbe la mia fede, dote a me non richiese;

Dopo il primier contratto, son vane altre pretese.

La dote ch'io gli porto, è d'ogni ben maggiore,

Sangue illustre gli reco, ed illibato onore.

FER.

Ma il legame col Duca non fu da voi troncato?

Non fu de' vostri impegni il foglio lacerato?

MARI.

Ecco, signor, l'inganno che di smentire io spero.

Sciolto si crede il Duca, ma non si crede il vero.

La che mi ha promessa, la che mi ha giurata,

A una fragile carta non fu raccomandata.

Di una nobile figlia, di un cavalier d'onore,

nuziali contratti si scrivono nel cuore.

Cosa inutile è il foglio. Formano gli sponsali

Di due liberi cuori le volontadi eguali;

E il nodo indissolubile a sciogliere non basta

Di un solo il pentimento, se l'altro vi contrasta.

Chi scioglier la sua fede pretende a mio dispetto,

Con un pugnale in mano dee lacerarmi il petto;

E con il vivo sangue del seno mio trafitto,

Dee cancellar quel nome, che nel mio cuore è scritto.

FER.

(Cresce il furor; cerchiamo la via di moderarlo).

Se un eccessivo amore...

MARI.

Ora d'amor non parlo.

Mi ami, o non mi ami il Duca, per lui mi accende il core

Sdegno, affetto o vendetta: quel che ragiona, è onore.

Signor, chi è la fanciulla di cui con chiare note

Si vuol comprar l'onore a prezzo di una dote?

Chi son io, lo sapete: nata d'illustre sangue,

Di cui la gloria antica per povertà non langue?

Se avesse il padre mio meno l'onor sentito,

Nei pubblici governi sarebbesi arricchito;

Ma seguitò degli avi le tracce ereditate,

Servì per la mercede dell'anime onorate.

Nei secoli non pochi che conta il mio casato,

Con nozze indecorose ancor non fu macchiato.

Né io sarò la prima che lo deturpi ardita,

Ad onta d'ogni insulto, a costo della vita.

Con tutta la famiglia il Duca è debitore

D'avere un'innocente tradita nell'onore.

Ed io, che ultima sono del tralcio sventurato,

Non lascierò il mio sangue nell'onta invendicato.

Io stessa al mio Sovrano andrò a gettarmi al piede,

Domanderò vendetta, se negasi mercede.

E della Corte in faccia, prostrata al regal trono...

Ah, il dolor mi trasporta; signor, chiedo perdono.

Di un protettore in faccia, amabile e cortese,

Non temo di sventure, non dubito di offese.

Voi di giustizia il trono nel vostro cuore ergete,

Voi padre mio cortese, giudice mio voi siete.

FER.

(Ah, chi può abbandonarla?) Vorrei vedervi lieta,

Ma una ragion si oppone, un altro amor m'inquieta.

Il Duca in età tenera al vostro bel si arrese,

Ora da voi lontano d'altra beltà si accese.

Sposo di tal donzella...

MARI.

Come! e chi fia l'indegna,

Che d'involarmi il cuore del traditor s'impegna?

Conoscer la vorrei, e di rossor vermiglia

Rendere quell'audace.

FER.

Codesta è una mia figlia.

MARI.

Signor, del vostro sangue la mia rivale è nata?

Figlia per cotal padre felice e fortunata!

S'ella nella virtude imita il genitore,

Apprezzerà, son certa, le massime di onore.

E sol che l'eroina le mie ragioni intenda,

Posso, se un cuor m'invola, sperar che me lo renda.

Vostra mercé, signore, tanta fortuna aspetto.

FER.

Di sangue non mi è figlia, ma sol di puro affetto:

Me l'allevai bambina, ed il mio cuor l'adora.

MARI.

Figlia dell'amor vostro? Sarà più degna ancora.

Può tradir la natura con trista ingrata prole,

Colla sua scelta il cuore padre ingannar non suole.

Né voi di cotal nome donna degnata avreste,

Se in essa ben locato l'amor non conosceste.

FER.

(Parmi di questa dama lo stilinusitato

Che il cuor di mio nipote quasi mi sembra ingrato). (da sé)

MARI.

Principe, in voi sperando, scema il cor mio l'affanno,

Ma ancor la mia speranza può essere un inganno.

Se il caso mio vi penetra, se protettor mi siete,

Signor, per bontà vostra, di me che risolvete?

FER.

Figlia, se nel rispondervifranco io non mi mostro.

Provien da quei riflessi che merta il caso vostro.

Il Duca mio nipote l'amo teneramente,

Della cara adottiva son per amore ardente.

Amo la virtù vostra, e dell'amore i frutti

Vorrei concordemente dividere con tutti.

Voi la ragione avete nel sangue e nell'onore:

Vostro, non so negarlo, vostro del Duca è il cuore.

Ed ei pria di vedere il foglio lacerato,

Avvi la data fede da cavalier serbato;

E in libertà veggendosi di usar gli affetti sui,

Sciolse il laccio primiero, e si è legato altrui.

Ma chi più m'interessa, chi più mi parla al cuore,

Della tenera figlia è l'innocente amore.

Dopo lusinghe tante d'essere al Duca unita,

Come soffrir io posso la misera schernita?

Per non mirar tre cuori condotti al precipizio,

Par che sia necessario di un solo il sacrifizio;

Ma l'amor mio, che tutti li apprezza ad uno ad uno,

Tutti salvar desidera, senza oltraggiare alcuno.

Gli altri di me si fidano, voi di me vi fidate.

Ho l'onor vostro a cuore. Son cavalier, sperate.

MARI.

Ah signor, che per tutti siete ugualmente accinto,

Deh la via disvelatemi d'uscir dal laberinto.

FER.

Della virtù, che albergo nel vostro cor ritrova,

Esigere mi piace da voi codesta prova.

Non mi obbligate a dirvi per ora il pensier mio.

MARI.

Son nelle vostre braccia.

FER.

Donna Marianna, addio. (parte)

 

 

 


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