Carlo Goldoni
Il padre per amore

ATTO QUINTO

SCENA ULTIMA   Il Principe Don Fernando, il Duca, donna Marianna, donna Placida, donna Isabella, Paolina, don Roberto e Beltrame

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SCENA ULTIMA

 

Il Principe Don Fernando, il Duca, donna Marianna, donna Placida, donna Isabella, Paolina, don Roberto e Beltrame.

 

FER.

Lode ai numi pietosi, ecco svelato il vero;

Eccoci ritornati nel pristino sentiero.

L'amabile Isabella viver potrà sicura

Di un padre per affetto, di un padre per natura.

Donna Placida al seno può stringere lo sposo;

La sposa don Roberto può stringere amoroso.

Ma trema ancor la figlia, il Duca ancor si affanna,

Del suo destino incerta è ancor donna Marianna.

Se il capitan Roberto tardava anche un momento,

Qual di voi saria stata la smania ed il tormento?

Io consolar promisi di ciascheduno il cuore:

Vediam se può sperarlo il mio paterno amore.

Voi che amor conoscete, voi che virtude amate, (a donna Marianna)

Mirate, e compatite quell'alme innamorate.

Vostro del Duca è il cuore, vostra, è ver, la sua mano:

La man sperar potete, ma il cuor sperate invano;

E se la pace all'alma non vi promette amore,

Solo bramar vi resta di risarcir l'onore.

Questo serbar intatto per altra via si puote,

Senza che abbia uno sposo a procacciar la dote:

Ma con tale imeneo, che a stato vi conduca,

Per onor, per fortuna, pari a quello del Duca.

Anzi se unirvi ad esso può sol forza e dispetto,

L'altro il cuor vi esibisce per stima e per affetto.

Onde non sol venuta a risarcir la fama,

Ma troverete un sposo, che vi rispetta ed ama:

Che della virtù vostra il merto ha conosciuto,

Che degna vi considera d'ogni maggior tributo,

Che pronto in compiacervi in ogni incontro avrete,

Che è cavalier d'onore...

MARI.

E il cavalier voi siete.

Signor, tanta fortuna so ch'io non merto, è vero,

Ma pur l'ha preveduta audace il mio pensiero.

Fidar io mi dovea di un cavaliere onesto,

immaginar potevasi mezzo miglior di questo.

Come potean tre cuori dar fine a' lor tormenti,

Se non entrava il quarto a renderli contenti?

Duca, di voi mi scordo, né lacerar mi sento

L'anima prevenuta di un tal distaccamento.

Ah sì, nei primi giorni l'ho dolcemente amato,

Ma come amar potevalo dell'amor mio scordato?

L'onor mi fe' sollecita, sol l'onor mio mi ha mosso;

Gloria maggiore al mondo desiderar non posso.

Voi cavalier sublime, voi dell'onor geloso,

Voi di Real Sovrano ministro poderoso,

In cui tante virtudi l'anima grande aduna,

Il ciel vi ha destinato per far la mia fortuna;

E pur, quant'io lo sono, felice or non sarei,

Se amabile non foste ancora agli occhi miei.

Sia dover, sia giustizia, sia inclinazione o amore,

Signor, ve lo protesto, vi ho consacrato il cuore.

ISA.

Respiro.

LUI.

Perdonate, se sconoscente, ingrato... (a donna Marianna)

MARI.

Per sì bella cagione, signor, vi ho perdonato.

Principe, del cuor vostro il dubitare è vano;

Ma deh! per mio contento, porgetemi la mano.

FER.

Pria che dal nuovo laccio sia la mia destra avvinta,

Donisi qualche giorno alla mia sposa estinta;

Dalle sue calde ceneri rimproverarmi io sento.

Voi la mia fede aveste. Son cavalier, non mento.

MARI.

Alle sventure avvezza, signor, mi trema il cuore;

Mi ha mancato di fede un cavalier d'onore.

Abbia l'estinta sposa il dovuto rispetto.

Tardisi ad occupare il marital suo letto.

Ma dandomi di sposo la mano in queste mura,

Del ben che mi offerite, rendetemi sicura.

Fin che la mia fortuna risplende in lontananza,

Avrò in petto il timore unito alla speranza;

E il Duca alla sua sposa esser non deve unito

Prima che il sacro nodo fra noi sia stabilito.

ISA.

Deh, padre mio...

FER.

V'intendo. Per rendervi felice,

Soffra le caste nozze l'estinta genitrice.

Speso per voi non abbiasi tanto sudore invano:

Su via, donna Marianna, porgetemi la mano.

MARI.

Eccola. Dal contento sentomi il cuore oppresso.

FER.

Figli, miei cari figli, fate voi pur lo stesso.

LUI.

Permettetemi, o cara... (a donna Marianna)

PLA.

La destra a lui porgete. (a donna Isabella)

ISA.

Eccola. Oh me felice!

LUI.

L'idolo mio voi siete.

PLA.

Che più rimane, o cieli, da domandarvi in dono?

ROB.

Resta che a me si doni da Placida il perdono.

FER.

Sì, non temete, amico; eccolo in quelle ciglia:

Ecco la sposa vostra; ecco la vostra figlia.

Ma fra di noi la bella abbia diviso il core,

Voi genitor le siete, Padre io son per amore.

Deh quest'amortenero, deh quest'amoronesto,

Contento e fortunato rendami almeno in questo.

Altrui serva d'esempio il mio onorato impegno,

E gli uditor ci accordino di compiacenza un segno.

 

Fine della Commedia

 


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