PREDICA XXXIV 
 
Della presenza di Dio.
L’Uomo Cattolico sarebbe sempre in grazia di Dio, 
se stesse sempre colla mente e col cuore alla  presenza di Dio.
Perché
 
1
Iddio, che tutto vede, le cagionerebbe rispetto per non peccare.
2
Iddio, che tutto può, le imprimerebbe timore per rissorger dal peccato.
3
Iddio, che a tutto provede, le arrecherebbe fiducia per stabilirsi nella
penitenza.
 
SONETTO
 
Tu, che
per isfogare i desir tuoi
Fuggi
dell’uomo il testimon sovente, 
Pensa
che in ogni luogo è Dio presente, 
Indi in
faccia di Dio pecca, se puoi.
Deh
rispetta il suo sguardo, anzi de’ suoi 
Sguardi
temi lo sdegno onnipossente, 
Che
mercé del timor, Gesù clemente 
Peccatori
converse in santi eroi.
Quale
in vita chiamò Lazaro estinto, 
Così
Saulo converse in Paolo giusto, 
Provido
dando lui timore e spene:
E così
ognun perseguitato, e cinto 
Dalle
interne passion, fatto robusto, 
Dio
mirando, col cuor, santo diviene.
 
 
Alla sua
dilettissima cugina la signora Anna Maria Indrich, 
che veste l’abito religioso nel monastero di San Rocco 
e Santa Margarita
assumendo il nome di Maria Eccelsa
 
Verginella,
che nei chiostri 
Confinate
i giorni vostri, 
Che
fuggite il mondo rio 
Per
volare in braccio a Dio, 
Di tal
fuga, di tal volo, 
Io con
voi me ne consolo. 
È
costume inveterato,
Se le
figlie prendon stato,
O nel
mondo, o in luoghi santi, 
Dir di
lor le glorie, i vanti, 
Esaltando
il loro zelo
Per la
terra, o per il Cielo. 
V’è talun,
che poco o nulla 
Conoscendo
la fanciulla, 
La
dipinge francamente 
Qual se
fosse a lui presente. 
V’è chi
finge mille amanti 
Per la
bella deliranti,
V’è chi
piange nella tonaca 
Come
morta, chi va monaca. 
Tutti
poi tracciando vanno, 
Come
ponno, e come sanno, 
Della
loro nobiltà
La
preziosa antichità:
Dei
parenti graduati,
Dei più
nobili antenati 
Le
virtuti, le prodezze, 
Le
fortune, le ricchezze. 
Io che
son di voi cugino 
In un
grado assai vicino, 
Che la
vostra degna Madre
Fu
sorella di mio Padre,
Non
dirò di quelle cose
Che dir
soglio all’altre spose. 
Già di
vostro Genitore, 
Pien di
fede, pien d’onore, 
La
virtute ed il decoro
È
palese a tutto il Foro. 
Della
vostra Genitrice
Dir i
vanti a me non lice: 
Ella
nacque da quel rio
D’onde
venne il nascer mio; 
Dirne
bene non dovrei,
Dirne
male non potrei.
Lasciam
dunque cose tali, 
Che non
sono originali; 
Permettete
che io vi parli 
Con il
cor, senza adularvi,
E vi
dica francamente
Tutto
quel che vienmi in mente. 
Io del
Ciel non vi ragiono, 
Che
teologo non sono,
E del
Ciel vi parla al core 
La
tutrice, e il confessore. 
Io vi
parlo della terra,
Di
quell’aspra, cruda guerra, 
Che fa
il mondo ai fidi suoi, 
Che fu
sempre ignota a voi. 
Ei non
vien nemico certo
A
sfidare in campo aperto,
Ma da
scaltro i lacci tende, 
Ed al
varco i cuori attende, 
Quale
esperto cacciatore
Degl’augelli
ingannatore. 
Se una
figlia vanarella
Ha
desio di farsi bella,
Collo
specchio la diletta 
Qual
errante lodoletta.
Egli
solo ha il tristo vanto
D’immitar
di tutti il canto:
Or sul
ramo, ed ora al suolo, 
Invitando
l’ussignuolo
A goder
dell’ombre liete, 
Lo
circonda colla rete.
Con chi
rompe i lacci frali, 
Verso
il Ciel battendo l’ali, 
Si
trasforma il mostro fiero 
In
figura di sparviero,
E col
rostro alfin lo pugne,
E
lo sbrana alfin
coll’ugne. 
L’infelice
si nasconde
Tra i
cespugli, tra le fronde. 
Ma lo
scuote dalle tane,
E
l’addenta il fiero cane, 
O di
piombo il crudel volo 
Fa che
ei cada estinto al suolo. 
Fuga
certa, asilo fido,
Trova
sol nel proprio nido. 
Per fuggir
dal mondo rio, 
Voi
fuggite in seno a Dio, 
Nido
vostro, nido vero,
Cui non
giunge il mostro fiero. 
Ma
lasciam l’allegoria,
E
parliam, cugina mia, 
Collo
stile naturale,
Che ad
ogn’altro stil prevale. 
Quello
stato benedetto, 
Che da
voi vi avete eletto, 
Sano
egli è dal tetto in su, 
Bello
egli è dal tetto in giù. 
Lieta
cosa è l’esser fuori 
Degl’impicci
e dei rancori 
Dello
stato coniugale,
Ch’è
sovente a noi fatale. 
Dato
ancor che i coniugati 
Sian
felici e fortunati,
Mille
doglie, mille pene
Amareggian
tutto il bene. 
I
figlioli ed il consorte,
I lor
mali e la lor morte 
Pene
sono tormentose
Alle
madri ed alle spose. 
E la
suocera e la nuora,
Che non
stanno in pace un’ora, 
Fanno
il dolce matrimonio 
Una
pena da demonio. 
S’entra
poi la gelosia
Oh Dio
buon! Cugina mia, 
Che
tormento maledetto!
Che
rancor che sbrana il petto! 
Voi
sapeste a ciò sottrarvi, 
Voi
studiaste liberarvi
Da quel
danno, da quel tedio, 
Di cui
morte è il sol rimedio. 
Né può
dirsi che al periglio 
Tolto
v’abbia altrui consiglio 
Questo
velo, questo chiostro, 
Frutto
è sol del desir vostro,
I
celesti vostri ardori
Secondando
i Genitori. 
Ite
lieta al sacro Altare,
Ecco,
Dio giulivo appare. 
Fede e
amore a lui giurate. 
Ite
lieta, e giubilate.
Ma
perché sì mesta in viso 
Ite incontro
al Paradiso? 
Perché
andar turbata in faccia 
Dello
Sposo in fra le braccia? 
Umiltate,
è vero, insegna
Il
temer non esser degna
Di quel
ben che a voi concede 
Il
Signor dell’alta sede; 
Ma il
Profeta ne’ suoi canti 
Va
dicendo ai cuor più santi 
Che
l’uom giusto, che l’uom pio,
Con
letizia serve a Dio.
Ite
dunque, alma innocente, 
A
sacrarvi all’ara ardente; 
Se
donate al pio Signore 
Qualche
lacrima d’amore, 
Se
pregate per gl’ingrati, 
Deh
piangete i miei peccati. 
Impetrate
a me il perdono, 
Della
grazia il santo dono; 
Dite
spesso al vostro Dio: 
Raccomando
il cugin mio.