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Non più, donne, non più; cessate il pianto,
Ch’io non lo morto, e meno il mio destino.
Timida agnella, a ricovrars’ intenta,
Piagnereste voi forse? Io qua fui scorta
Dal buon pastore a sicurezza accanto
Contro al desio di chi voleami spenta.
Or vivo lieta in più sicuro nido:
Voi piagnete il mio fato, e intanto io rido.
Rido di voi, rido di chi si affanna
Nel vedermi lasciar grandezze tante;
Incatenati di Cupido al carro;
Di chi del proprio cuor diede le chiavi
Al traditor, che con lusighe inganna.
Anch’io pugnai, ma sol vittorie or narro;
Vittorie tante de’ nemici a scorno,
Mercé di Lui, che diò la luce al giorno.
Fra gli ostri, e gli ori, e le corone. e i manti,
Nacqui, egli è vero, e fra tiare, e spade,
Sin nella prima etade
Anch’io conobbi quanto
Sorte fu larga a’ Gradenighi eroi.
Ah non mancò chi di formarne incanto
Pensò al cuor mio co’ gloriosi vanti:
Chiusi a tempo l’orecchie a’ detti suoi.
Sì, nacqui grande, alle più grandi eguale;
Ma grandezza di mondo a me non cale.
E non si offenda l’umiltà che io pregio,
Se rammento talor de gli avi miei
Gloria dell’Adria e della Patria onore,
Parlo sovente. Nel mio cuor non scende
Vanità d’acquistarmi e gloria e fregio,
Con gli altrui merti, o coll’altrui sudore.
Amo virtude e non di sorte il dono;
Io non sono qual fui, ma son qual sono.
Ancella i’ son del mio Signor clemente;
Seguo sua povertà, serbo sue leggi.
E me fra ceppi di veder si dolga.
Donne, quanto s’inganna il pensier vostro
Qui, qui venite, e vostra bassa mente
Per un momento al mondo rio si tolga.
Giuro che, sciolte da’ fatali impacci,
Incerta anch’io fui di cangiar mio stato;
Tremai talor nell’accostarmi al tempio.
Pria di me nate dal medesmo sangue,
Che poggiar del Calvario alle pendici,
Franca mi fece nel cammin tentato.
Vid’io stessa fuggir l’orribil angue
Dinnanzi a me, standomi sempre appresso
Queste, che gloria son del nostro sesso.
Forse, perché misto d’argento ed oro
Serico ammanto non mi cinge intorno;
E di natura non accresco i pregi
Coll’inganno dell’arte, e di superbo
Fasto non copro il femminil decoro,
Sembro a voi degna degli altrui dispregi?
Oh quanto vaglion più queste mie lane,
Donne ingannate dalle pompe umane!
Perché non corro infra la turba insana
Ai teatri, alle veglie, ai lusinghieri
Genti cotante, che potrian al mondo
Farsi esempio di gloria e di virtute;
Perché donna i’ non son garrula e vana,
E amor dispregio, e suo desire immondo,
Sembravi il mio destin penoso tanto?
Ah! voi siete, non io, degne di pianto.
Vanne, canzon, e i saggi detti e santi
Di lei, che fugge il mondo e i lacci sui,
Di’ che cessin omai gli amari pianti.
Di’ che Giustiniana in umil tetto
Gode felice in Dio pace e diletto.