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SONETTI SACRI
CANZONE RECITATA NELL’ACCADEMIA DEGLI ARCADI DI PISA, DETTA LA COLONIA ALFEA, SULL’ARGOMENTO DELL’UTILITÀ DELLE LEGGI SCRITTE
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CANZONE RECITATA NELL’ACCADEMIA DEGLI ARCADI
DI PISA, DETTA LA COLONIA ALFEA, SULL’ARGOMENTO
DELL’UTILITÀ DELLE LEGGI SCRITTE
O del bell’Arno egregi Vati e prodi,
O genio tutelar d’Arcadia nostra,
Dell’italica Alfea11 spirti custodi,
Tutti voi meco imploro,
Or che m’innalzo co’ miei carmi al Polo,
Né seguir posso il gran viaggio io solo.
Passar vogl’io sino di Giove al trono,
Sotto cui di Giustizia è il chiaro fonte.
Dispiego al vento, e più qual fui non sono.
Ecco Giove, che in soglio almo di luce,
È de’ Numi soggetti arbitro e duce.
Ma che dissi de’ Numi? agli occhi miei
Falsa nube non cela i veri oggetti;
Le virtuti di Giove, e non son dei.
Un Nume sol con vari nomi espresso,
Che in diverse sembianze è ognor lo stesso.
Folle quel che Giunon dipinse in gonna,
E Marte armato di lucente usbergo.
L’ali a Mercurio, e che Minerva indonna.
È Minerva di lui la scienza eterna,
Onde regola i moti, e noi governa.
Ed Astrea chi m’addita? ov’è colei
Che offre gli allori, e non depone il brando?
Oltre il seno di Giove andar potrei.
Che leggi impone, e son sue leggi antiche
D’amor disegno, e di natura amiche.
Veggio la destra onnipossente, invitta,
Che l’uom trasse dal nulla, ed il superno
Che nel cuore dell’uom la legge ha scritta.
Quindi il reo, che altrui cela il proprio errore,
Dal rimorso è punito, e dal rossore.
Ecco ciò che prescrisse ai figli sui
La voce, un dì, dal divin labbro uscita:
Non recar onta: non rapir l’altrui12.
O soavissima legge,
Quel fonte sei che diramato in rivi,
Serba ovunque i princìpi eterni e vivi.
Ma poiché intorno all’acque tue s’affolla
E de’ buoni e de’ rei la varia turba,
V’è chi il perfido labbro in lor satolla.
E qual trova dell’uom disposto il seno,
A chi nettare porta, e a chi veneno.
Superba crudeltà de’ regi avari
Cambiò leggi e costumi e culto e riti;
Che usurparono a Giove incensi e altari.
E Giustizia servil freme soggetta
Al comando brutal di gente inetta.
S’appose al ver chi l’amor proprio addusse
Per primiera cagion del gius profano,
Che i rei mortali a delirar condusse;
La santa legge de’ mortali in petto,
A meschiar d’amarezza ogni diletto,
Ah tu, Giove superno, al Greco Impero
Desti l’eroe ristaurator di tante
Onde riebbe Giustizia il suo sentiero.
Che han la fonte nel tuo provido seno,
E fecondan d’Europa il bel terreno.
Deh tu, Signor, nel cui sovrano aspetto
Fiso or gli occhi giulivi oltre il costume,
Rendi scevro da inganni il mio intelletto :
E render possa il dover mio compito,
E l’invidia crudel si morda il dito15.
Ah che in van non si porge i voti a Giove!
Di me stesso maggior reso già sono.
Alte cose comprendo, eccelse e nuove.
Dov’è, dov’è l’alloro,
Che l’Euganeo Liceo mi porse un giorno16?
Or più degno di loro, a lor ritorno17.
Giove, dal tuo favor son reso audace;
Nuova grazia desio, la chiedo e spero.
Fa ch’io veda nel mondo, e riedo in pace.
Un’immago di Giove al mondo io chiedo,
E un’immago di Giove in Piero18 io vedo.
Sì, vedo in lui cento virtuti e cento,
E Giustizia e Pietà baciarsi in fronte,
All’Era19, all’Arno, e a Etruria tutta i’ sento.
Sostenendo cogli empi eterna guerra,
L’alma pace del ciel mantiene in terra.
Ecco, ripiego i tesi vanni al dorso;
Già piombo al suol; torno d’Arcadia in seno.
Altrui potessi almeno
Mostrar le vie, che in breve tempo ho scorso.
Ma poss’io ben delle sue leggi sante
Mostrarvi in Piero il difensor costante.