STANZE
ANACREONTICHE
Parlo a
voi, Muse veraci,
Che
cantare il ver solete.
Non
sperate aver seguaci,
Ché
derise in oggi siete.
Più non
v’è chi dietro a voi
Perder
voglia i giorni suoi.
Non
entrate, o meschinelle,
Nello
studio d’un legale,
Ché
alle vostre rime belle
La
bugia colà prevale;
E si
studia onninamente
Attrappar
qualche cliente.
Non
andate, o poverette,
Da quel
medico stupendo,
Dove a
caso le ricette
Di sua
man ei sta scrivendo,
Dar la
vita è vostra sorte,
Egli
studia a dar la morte.
Lungi,
lungi, Muse amare,
Dalla
casa del mercante.
Egli
studia accumulare
Giorno
e notte il suo contante;
E col
peso e la misura
D’ingannare
altrui procura.
Lungi
pur dal giuocatore,
Che di
voi disprezza l’arte;
Egli
sparge il suo sudore
Sullo
studio delle carte,
E
procura il suo guadagno
Sulla
strage del compagno.
Dalle
donne brutte o belle
Voi
sarete discacciate,
Che nel
liscio della pelle
Spendon
mezze le giornate.
Stanno
a letto assai di giorno,
E la
notte vanno attorno.
Una
volta gli amoretti
Favoriva
ancor la Musa;
Con
canzoni e con sonetti
Far
l’amor più non si usa.
Or la
gente è persuasa
Che sia
meglio entrar in casa.
Le
gran menti non si degnano
Oggi
più di poesia;
Studian
cose, cose insegnano
Da
oscurar la fantasia;
E
chi sale troppo in alto,
Fa
talvolta un brutto salto.
Non
sperate ritrovare
Dai
poeti alcun ristoro:
Non
pon darvi da mangiare,
Non
ne han nemmen per loro;
Per
la fame i poverelli
Son
di voi fatti ribelli.
Ma se niuno vi vuol seco,
Se
ciascun vi manda via,
Muse,
su, venite meco,
Io vi prendo in compagnia.
Per
il mondo andrem girando,
Gli
altrui vizi criticando.
E chi
il merito disprezza
Dei
poeti e delle Muse,
Gente
al male solo avvezza,
Che dal
sen virtude escluse,
Proverà
se meglio fia
Rispettar
la poesia.
Poesia,
virtù celeste,
Che in
gran pregio un tempo fu,
Che da
certe nuove teste
Non si
stima in oggi più:
Perché
d’altro sono amanti
I
viziosi e gl’ignoranti.