ALL’EGREGIO SIG. DOTTORE GOLDONI SCRITTORE
D’ITALIANE
COMMEDIE L’ABATE FRUGONI
CANZONE
O del
socco toscano
Nuova
gloria, Goldoni,
Da me
tu aspetti invano
Pindariche
Canzoni.
M’escluda
dal suo stuolo:
Faccia
che vuole Apollo:
Per un
lirico volo
Non vo’
fiaccarmi collo.
Ò lo
stil grande in ira;
Odio i
grand’estri suoi.
Addio, tebana lira:
Addio,
numi ed eroi,
Cantato
ò in terra assai:
Son
rauco cigno annoso.
Vogliono
gli anni e i guai
E
silenzio, e riposo.
L’alloro
non fa frutto.
Sono
alle Muse schiavo.
Per lor
finisce tutto
In un
bello, in un bravo.
Dirai
che t’ò promesso
Un
canto nuziale,
E che
il mancarti adesso
Sarebbe
troppo male.
È ver;
ma soffrir dei
Ch’io
canti come posso.
Sai tu
che i versi miei
Han
sessant’anni addosso?
Pensa
tu, se la mia
Età
sessagenaria
Per
calda fantasia
Può più
levarsi in aria.
Il
poetico foco
Cede al
gelo degli anni,
Sto
basso, e non è poco
Se rado
il suol coi vanni.
È cosa
singulare,
Che
senza un canto aonio
Oggi
non si può fare
Più
verun matrimonio.
Tanti,
o Goldoni, e tanti
A’ miei
dì n’ò cantato,
A
popolar bastanti
Un
mondo desolato.
Son
sazio e son ristucco.
Di
collera mi rodo.
Canterò
come un cucco
Sempre
all’istesso modo?
Piano,
dirai, sei pazzo?
Forse,
Frugoni, ignori
Che
mettersi in un mazzo
Non
debbon tutti i fiori?
Ben lo
veggio e il comprendo;
Però,
Goldoni saggio,
Odi che
a cantar scendo
L’eccelso
maritaggio.
Su
dunque s’accompagni
Co’
suoi pregi sovrani
II
sangue Buoncompagni,
Il
sangue Zuliani.
S’allegri
l’alta Roma
Sui lor
destini occulti:
D’aureo
corno la chioma
Cinta
l’Adria n’esulti.
Che
Sposi fortunati,
D’età,
di virtù pari,
Al ben
pubblico nati,
Ed alla
Patria cari!
Amor
cura ne pigli,
Lucina
li secondi,
E in
generosi Figli
Li
rinnovi e fecondi.
Più
lungamente, il veggio,
Io
potrei proseguire;
Ma che
aggiunger più deggio?
Ma che
deggio più dire?
Oh se
Tu mi vuoi fare,
Mio
Goldoni, un piacere,
Coi
versi miei portare
Ti
voglio oltre le sfere.
Vorrei
tinta di sdegno
Una
Commedia lieta
Dal tuo
fertile ingegno
Sul
mestier del Poeta.
Mestier
più infastidito,
Mestiero
più infecondo,
Mestiero
più fallito,
Dimmi,
può darsi al mondo?
Fa’
che presto la vegga
Italia,
e che l’ascolte,
E
riformi, e corregga
L’uso
delle Raccolte.