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POESIE IN LINGUA E IN DIALETTO DEL PERIODO VENEZIANO (1748 - 1762)
LA COSTA DI ADAMO Stanze in occasione delle felicissime nozze fra Sua Eccellenza il Signor Giacomo Zambelli e la Nobil Donna Contessa Caterina Giovannelli.
I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio
Stanze in occasione delle felicissime nozze fra Sua Eccellenza il Signor
Giacomo Zambelli e la Nobil Donna Contessa Caterina Giovannelli.
Vorrei dir cosa, che probabilmente
Detta ancora non siasi in prosa o in rima.
Ma è difficile molto, e par niente
Si possa dir, che non sia detto in prima.
In materia di nozze specialmente
Si è pescato finor da fondo a cima
Tanto e tanto nel mar dell’invenzione,
Ch’ella è per noi una disperazione.
Mertano queste nozze singolari
Che de’ poeti uniscasi il drappello,
E dagl’ingegni peregrini e chiari
Di Parnasso si sfiori il buono e il bello.
Io de’ primi non posso andar del pari,
Pure m’ingegnerò col mio cervello
Rendere almen colla poetic’arte
Qualche antico pensier novello in parte.
Dal chiaro sangue dell’illustri sposi
Prender non voglio il facile argomento.
Già dai vati facondi e valorosi
Per questa parte commendar li sento.
Taccio il nome degli avi gloriosi,
Ché tant’alto non giugne il mio talento,
Né mi curo parlar della ricchezza,
Ch’è il minor ben che da virtù si apprezza.
Offremi largo campo e somma lode
La beltà, la virtù della consorte,
E dello sposo generoso e prode
L’animo grande, generoso e forte.
Ma questo è quel che tutto giorno s’ode
Suonar d’intorno all’apollinee porte,
E sentendosi ognor ridir lo stesso,
Quel che un giorno piacea, dispiace adesso.
Se in occasion di monache e di spose
Una Raccolta capita alle mani,
S’entro vi sian componimenti strani.
Scritto avran penne d’uomini famose,
Se qualche novità non balza in scena,
Il sonetto miglior si legge appena.
E quanto costa un buon sonetto, e quanto
Facilmente si critica e si sprezza!
Di far buoni sonetti io non mi vanto;
E la mia Musa ad altro stile avvezza.
Scrive alla buona, e pur di tanto in tanto
Da gente di buon senno si accarezza,
Non per lo stil bassissimo ed ingrato,
Ma per qualche pensiere inaspettato.
Voi, generosa, nobile Placidia,
Voi dello sposo illustre genitrice,
Per sì belle virtù degna d’invidia,
In questo nostro secolo infelice;
Voi nemica dell’ozio e dell’accidia,
(Se cotanto favor sperar mi lice)
Degnatevi coprir col vostro manto
Della Costa d’Adamo il nuovo canto.
So qual amor, so qual diletto avete
Per le cose sublimi e peregrine;
Ma ancor io so che compatir solete
Della mia Musa le opere meschine.
Mia protettrice da gran tempo siete;
Per onor mio l’ho risaputo al fine,
E con l’umil rispetto a voi dovuto
Questo canto nuzial v’offro in tributo.
Deh l’accolga sereno il vostro ciglio
Pel merto no dell’inesperto autore,
Ma per quello del vostro inclito figlio,
Di cui canto il novel pudico ardore.
Voi, che deste la mano ed il consiglio
In cotal opra con materno amore,
In grazia del piacevole soggetto
Tollerate cortese ogni difetto.
So che una lunga prefazion noiosa
Pizzica un pocolin di seccatura,
E pur devo prepor quest’altra cosa,
Prima d’entrar nella materia oscura:
La Musa mia d’interpretar non osa
Le carte della biblica scrittura,
E non ardisco trapassar la meta
Che al filosofo lice, ed al poeta.
Quando il Signor Iddio nell’ampio suolo
Creato ha l’uomo, e l’animò col fiato,
A lui, che male gli parea star solo,
Una donna in compagna ha destinato.
Fecelo addormentar, poi senza duolo
Una costa cavandogli da un lato,
Formò quella bellissima fattura,
Che degli uomini al cuor bella ancor dura.
Ambi fur poi dal Creatore istesso
Due spirti in una carne dichiarati;
D’una stessa natura in vario sesso,
In un tempo divisi e coniugati;
E fur da Dio con un comando espresso
L’umana specie a propagar chiamati,
E nel comando, che da lor s’intese,
Tutto il genere umano Iddio comprese.
Quel che ho detto fin qui, non v’è cristiano
Che non lo sappia, e che non dica: è vero.
Ora a dire verrò di mano in mano
Dove intenda condurvi il mio pensiero.
Se, per Eva formare, Iddio sovrano
Trasse una costa al genitor primiero,
Uomini tutti, esaminate il fianco,
Una costa ciascuno abbiam di manco.
E della costa di cui l’uomo è privo,
(Stante al cenno primier, che tutti abbraccia)
Giudico sia formato un corpo vivo
Pari ad Eva nel sesso, e nella faccia.
E se un sogno non è quello ch’io scrivo,
Di che forse talun mi sgrida e taccia,
Nel vasto mondo al numero maschile
Andrà sempre del pari il femminile.
Né occorre dir che falso è il mio pensiero,
Che più donne vi sieno fra di noi.
Pria d’asserir ch’io non m’apponga al vero,
Convien sentir le levatrici, e poi
Calcolar si dovrebbe il mondo intero,
Nei quattro lati dei confini suoi.
Tutto il genere uman, com’io diceva,
Ha l’origine sua da Adamo ed Eva.
Per esempio la costa d’un Francese
Ritrovar si potrebbe in Inghilterra,
E se moglie diventa di un Inglese,
Vivranno sempre fra di loro in guerra.
Felice l’uom che per destin cortese
La propria costa in qualche parte afferra!
Sento a dir da talun: Gesù e Maria,
Dov’è andata, Signor, la costa mia?
Chi può saperlo, ve lo dica. Adamo
Ebbe figli dell’uno e l’altro sesso;
Si diviser le genti in più d’un ramo
Della terra il governo a lor commesso.
Buoni e tristi vi furo, e noi sappiamo
D’Abel la morte e di Cain l’eccesso,
Onde fino d’allor confuse e miste
Fur le coste animate, e buone e triste.
Ma convien dir che in numero maggiore
Fossero i parti di quel seme immondo,
Onde acceso di sdegno Iddio Signore
Mandò il diluvio a sterminare il mondo.
Vide solo Noè, che aveva il cuore
Dalle colpe comuni illeso e mondo.
Egli e i tre figli suoi nell’arca entrati,
Salvi fur colle spose accompagnati.
Sperar doveasi che nell’arca eletta
Scelte in tutta la terra otto persone
D’una sola famiglia benedetta,
Fosser tutte innocenti e tutte buone;
Ma convien dir che qualche costa infetta
Fossevi in quella pia generazione,
Poiché Japhet e Sem fur benedetti,
E i figliuoli di Cham fur maledetti.
Rinnovato da questi il mondo allora,
Furo i buoni coi rei confusi e misti,
E per disgrazia si conserva ancora
Il seme rio de’ Cananei più tristi.
E se talun che la consorte adora,
Della moglie si dolga e si contristi,
Convien dir ch’ei da Sem sia derivato,
E da Cham della donna il cuore ingrato.
Questo, signori miei, questo è l’arcano
Che amor verace e simpatia si chiama.
Quel che la costa sua non cerca invano,
Con lei sta in pace, e si consola, ed ama.
A Dio si raccomandi ogni cristiano
Che di nozze felici ha onesta brama.
Il Creator, cui niuna cosa è nuova,
Sa la costa d’ognun dove si trova.
Io, per esempio, son più volte entrato
Di maritarmi nel fatale impegno.
In più parti la costa ho ricercato,
E ho voltato d’Amor sossopra il regno.
A Genova dal Cielo alfin guidato,
La mia costa conobbi a più d’un segno.
Son degli anni che meco ella dimora:
Contento il feci, e son contento ancora.
Facil per altro è l’ingannarsi in questo,
Ch’è soggetto ad errar lo spirto umano.
Con amore scorretto e disonesto
La sua costa trovar si spera invano.
Non vorrei che servisse di pretesto
Al costume moderno oltramontano
Dir: la costa ch’io cerco, ho ritrovata.
Ché più vostra non è, s’è altrui legata.
Se siete in libertà, Dio vi concede
Fra le donzelle di cercar la sposa;
Cercate chi vi serbi amore e fede,
Non la vaga, la vispa e la vezzosa.
Se l’uomo saggio nella donna vede
L’inclinazione alla virtù ritrosa,
Se contrari pensier ravvolge in testa,
Dica: La costa mia non sarà questa.
Quel Consiglier che il nostro ben procura,
Si vis nubere, dice, nube pari.
Se non si può nell’esterior figura,
Di sangue almeno, e di virtù sien pari.
Aver si dee principalmente cura,
Non sieno i sposi di costumi vari;
Ma entrambi d’un egual temperamento,
Abbian pari le voglie ed il talento.
Se saran tutti due di genio buono,
Quella pace godran che a tutti preme.
Se collerici entrambi e alteri sono,
Impareranno a compatirsi insieme.
Ma se l’uom cerca della quiete il dono,
E se la donna orgogliosa freme,
Finché dura la vita e il matrimonio,
Saranno in lite, e vi sarà il Demonio.
Non dico già che moderar non vaglia
L’uomo e la donna il suo temperamento;
Ma quantunque virtude in lor prevaglia,
Dovran le voglie uniformar con stento.
L’amor proprio sovente il cuore abbaglia,
La passione resiste al buon talento,
Ed invano sopporta e invan contrasta,
Chi la sposa non ha della sua pasta.
Sia benedetto e ringraziato il Cielo,
Questi due sposi dalla sorte uniti,
Pari nel santo amor, pari nel zelo,
E pari ancor nei meriti infiniti,
Chiaro fan trasparir, come da un velo,
Che dal sangue miglior son ambi usciti:
Jacopo ha l’alma alla virtù disposta,
E la sua Caterina è la sua costa.
Amano tutti due l’onesto e il vero;
Han della vanità nemico il cuore:
Serbano entrambi un animo sincero,
Solo inclinato all’opere d’onore.
Vidersi appena, il faretrato arciero
Ambi accender li feo d’eguale ardore,
E scuotendo Imeneo la chiara face,
Gli occhi parlano agli occhi, e il labbro tace.
Né solo in essi egualità si trova
Di costumi, di genio, e di pensieri;
L’eccelse nozze maggiormente approva
L’eguaglianza del sangue e degli averi.
Adria esulta felice, e in sé rinnova
L’alta speranza de’ suoi vasti imperi,
Aspettando da loro in pace e in guerra
Figli in mar poderosi, e saggi in terra.
Quante figlie usciran belle e vezzose
Della madre gentil dal sen fecondo,
Saran tutte d’eroi coste famose
D’eroi sol nate ad arricchire il mondo.
E Dio, che tutto l’avvenir dispose
Col suo voler, col suo saper profondo,
Sposa destina al figlio suo primiero
Una costa degnissima d’impero.
Ite, sposi felici, or che declina
In ver l’cccaso l’odierna luce.
Ecco l’ora, signor, che s’avvicina:
Al tuo fianco la costa Amor conduce.
Figlia, no, non tremar; Dio ti destina
Ad opra tal, di cui natura è il duce.
Ite, sposi felici, ed osservate
Il precetto divin: Moltiplicate.