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POESIE IN LINGUA E IN DIALETTO DEL PERIODO VENEZIANO (1748 - 1762)
SOLENNIZZANDOSI LA FESTIVITA DEL GLORIOSO TAUMATURGO S. VINCENZO FERRERIO NELLA CHIESA MATRICE DI SANTA MARIA ZOBENIGO SI COMPENDIANO LE GLORIE DEL SANTO NELLE SEGUENTI OTTAVE DIVOTE
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SOLENNIZZANDOSI LA FESTIVITA DEL GLORIOSO
TAUMATURGO S. VINCENZO FERRERIO
NELLA CHIESA MATRICE DI SANTA MARIA ZOBENIGO
SI COMPENDIANO LE GLORIE DEL SANTO
NELLE SEGUENTI OTTAVE DIVOTE285
Popoli, chi è di voi, cui noto appieno
Non sia il poter del taumaturgo ispano?
Della sua santitade il mondo è pieno,
Da per tutto l’adora il suol cristiano.
Pure alle glorie sue vogl’io non meno
Sciogliere il labbro e esercitar la mano,
Per eccitar negli animi divoti
Maggiore il culto, e più ferventi i voti.
Qual del Battista, precursor di Cristo,
Profetizzato fu il natale al mondo,
Tal di Vincenzo annunziar fu visto
Al padre suo della consorte il pondo.
Dorme Guglielmo, e il fortunato acquisto
Vision predice al genitor giocondo;
Mira sacro orator, che del Gusmano
Le spoglie ha intorno, e gli favella umano.
Con voi, Ferrerio, io mi rallegro, ei disse,
Tra poco un figlio dalla sposa avrete,
Di cui più dotto in santità non visse,
Da cui la Fede sostener vedrete.
Il Re del Cielo il suo venir prescrisse,
Per render l’alme fortunate e liete;
E un dì sarà, delle mie vesti ornato,
Delle Spagne l’Apostolo chiamato.
Fra dolci affetti il genitor si desta,
Ed in laudi prorompe alte sonore.
Palesa il sogno alla consorte onesta,
Che arder si sente di celeste amore.
Indi Guglielmo la vision si appresta
Confidar di Valenza al buon pastore,
Ed il vescovo saggio, uom giusto e pio,
L’assicurò, che profetava Iddio.
Non mancarono allora i miscredenti
(De’ quai carca la terra ancor si vede)
Che di Guglielmo ai pubblicati accenti,
Come a sogno vulgar, non prestar fede.
Ma di Vincenzo le virtù, i portenti,
Fan veder chiaramente a chi non crede,
Che la vision del genitor felice
Per un messo divino il ver predice.
Nasce in Valenza il pargoletto ispano,
Pieno di Dio, bamboleggiando ancora.
Tinto ha il volto di rose, e un sovraumano
Raggio di luce le sue tempie indora.
Angioletto rassembra in corpo umano,
Poco cibo lo nutre e lo ristora;
E le labbra movendo al dolce riso,
Spira un’aura vital di Paradiso.
Indi, passato il primo lustro appena,
Precedendo la Grazia alla ragione,
L’anima fu di lui di Grazia piena,
Scevra da colpe e da ogni ria passione;
Stringe il tenero sen dolce catena
Di santo amor, che del suo cor dispone;
Segue della virtude il bel sentiero,
E già noto si rende al mondo intero.
Per le vie, per le piazze andar si vede
Cogli occhi a terra e colle mani al petto,
E nel tempio di Dio traendo il piede,
Ver le immagini sante arder d’affetto.
Per pietà dai ministri in grazia chiede
Il divin Cibo a ristorarci eletto;
Piange per tenerezza, e in chi lo mira
Un bel desio di penitenza inspira.
Ode i sacri sermoni, e li ripete
Ai giovanetti che gli stanno intorno,
E con fraterne correzion discrete
Fa dell’alme perdute a Dio ritorno.
Veglia le notti in orazion secrete,
Di dure spine e di cilici adorno,
Macera il corpo suo, di ferri armato,
Penitente d’amor senza peccato.
La santità, che luminoso il rese,
Frutto non solo fu dell’innocenza,
Ma dalle scuole il buon Vincenzo apprese
Quella sublime angelica sapienza,
Onde il fervido cuor di zelo accese
Contro i seguaci d’ogni rea sentenza,
Illuminando in barbare nazioni
L’anime coll’esempio e le ragioni.
Quando gli altri talor principio danno
Ai gravi studi, ei si condusse al fine,
Già possedendo al diciottesim’anno
Tutte le umane scienze e le divine;
E allora fu, che in periglioso inganno
Conoscendo le genti errar meschine,
Disprezzando gli onor del secol nostro,
Di Domenico santo elesse il chiostro.
In lui del pari e santità e dottrina
Aumentar si vedea di giorno in giorno.
Dovunque il Cielo il buon pastor destina,
Apre il fonte di Grazia al gregge intorno.
Dove il sol nasce e dove il sol declina,
Coll’aureo stil, semplicemente adorno,
Predicando il Vangel, piantar si vede
Lo stendardo immortal di Santa Fede.
Tanto fu il suo poter, tanto il suo zelo,
Nella vigna di Dio spargendo il seme,
Tanto estese la Fede ed il Vangelo
Fino del mondo nelle parti estreme,
Che visibile fiamma a lui dal Cielo
Scese sul capo ad animar sua speme,
Volendo Iddio manifestare espresso
Che lo Spirto Divin parlava in esso.
A mille a mille lo seguian le genti
Pei sacri tempi, e per le vie deserte;
Anima col suo labbro i penitenti,
E a mille a mille i peccator converte.
Trombe son della Fede i suoi portenti,
Son del Cielo per lui le soglie aperte
Predice l’avvenir, scuopre gli errori,
Fatto da Dio lo scrutator dei cuori.
Ecco in gara impegnati a fargli onore
I pontefici e i re. Ciascun lo brama,
Vuol colmarlo ciascun del suo favore,
E l’Apostolo e il Santo ognun lo chiama;
Ma sprezzando Vincenzo il van splendore,
Semplice povertà coltiva ed ama,
Sua ricchezza chiamando, ed onor vero,
Condur l’alme traviate al buon sentiero.
Deh specchiatevi in lui, morbide genti
Che gli agi, il lusso e le delizie amate;
Eran le penitenze i suoi contenti,
Carni non ebbe in vita sua gustate,
Brievi sonni dormia, solea i momenti
Distribuir nelle fatiche usate;
E sì gli calse d’onestate il giglio,
Che a donna mai non ha rivolto il ciglio.
Questa solea nutrir massima in cuore
(Massima che da noi si cura poco),
Che da picciol scintilla il tentatore
Desta nell’alme trascurate il foco.
Non è colpa, diceva, il passar l’ore
Ora in questo innocente, ora in quel loco;
Ma là, dove sicuro il cuor si crede,
L’innocenza taler perir si vede.
La compagnia che il buon Vincenzo amava
Erano i santi religiosi in coro.
Primo di tutti a salmeggiare andava,
Dal servizio di Dio non lo esentava
Scuole, predicazion, santi esercizi
Unir sapea co’ suoi divini uffizi.
Sceso dal ciel Gesù, con cenno espresso
Per apostolo suo Vincenzo ha eletto,
La Chiesa sua raccomandando ad esso,
Cui lo scisma novel squarciava il petto;
E la Madre di Dio col Figlio istesso
Gli apparve un giorno in maestoso aspetto,
Assicurando di Vincenzo al cuore
La sua innocenza e il verginal candore;
E Domenico santo un dì gli appare
Animandolo al sagro apostolato,
Vivere in povertade e rinunziare
Di Valenza l’offerto episcopato,
E la porpora sacra, e le preclare
Dignità, cui l’avea fama innalzato,
Poiché in premio dovea di tanto zelo
Seder beato, a Lui vicino, in Cielo.
Santo lo proclamar le genti in vita,
Santo il popolo pio, santo la Chiesa,
E di stupenda santità inaudita
Fu di Vincenzo la grand’alma accesa.
Turba divota, ad ascoltarlo uscita,
Stava tremando alle sue voci intesa,
Quando in pergamo ei stesso al popol disse:
L’Angelo i’ sono dell’Apocalisse.
Indi seguì: Se ciò sia ver, provate;
Di San Paolo in Valenza ite alla porta,
E tosto innanzi agli occhi miei recate
Donna, che or ora a seppellir si porta.
Quindi le genti a rintracciarla andate,
Traggono innanzi a lui la giovin morta,
E il cadavere freddo, appena udita
Ebbe la voce sua, ritorna in vita.
Mira una madre col bambino accanto,
A sé la chiama, e profetizza, e dice:
Nel tuo figlio il Triregno e il sacro ammanto
Di Pontefice un giorno il Ciel predice,
Da cui sarò canonizzato in santo
Dopo il transito mio lieto e felice;
E fu il terzo Calisto il pargoletto
Dal profetico labbro allor predetto.
Come a tanta umiltade unirsi puote
Di se medesmo il presagir portenti?
Eran del labbro suo semplici note
I misteriosi inusitati accenti.
Dio di Vincenzo con possanze ignote
Rapiva il cuore in entusiasmi ardenti;
Angelo e Santo se medesmo appella,
Ma lo Spirto Divino in lui favella.
Strepitosi prodigi il grande, il forte,
Ebbe d’oprar l’angelica virtute.
Quante in vita chiamò prede di morte!
Quanti infermi acquistar per lui salute!
Quanti, vicini alle tartaree porte,
Riparar, sua mercé, le rie cadute!
Quanti mutoli, ciechi e sordi nati
Dalla mano di lui fur risanati!
La campana suonate, ei dir soleva,
Far miracoli io voglio. Il popol folto
Grazia, grazia chiedendo, a lui correva,
E partia d’ogni mal libero e sciolto.
Le colpe occulte ravvisar poteva,
Mirava il cuor de’ contumaci in volto,
Le anime convertendo impenitenti
Colle dolci minaccie e coi portenti.
Dicalo quell’ebrea che, non potendo
La sua voce soffrir, partir destina,
E dalla porta del gran tempio uscendo,
L’arco sopra di lei cade e rovina.
Egli in vita la torna, e dall’orrendo
Precipizio infernal trae la meschina,
Che si converte, e a chi l’ascolta e vede,
Dà un novel testimon di nostra Fede.
Dicalo l’altra peccatrice ardita
Che resistendo di Vincenzo al zelo,
Esser premette dell’error pentita,
Qualor discenda il suo perdon dal Cielo:
Da Vincenzo la carta al Ciel spedita,
Torna repente, qual dall’arco il telo;
Vede la donna il suo perdon soscritto,
E detesta piangente il suo delitto.
E i portenti non sol colla sua mano
Opra Vincenzo, ma diffonder vale
Ad altri ancora il suo poter sovrano,
E anche in distanza il suo poter prevale.
Il nome suo non invocato invano
Medicina sicura è ad ogni male,
E le immagini stesse han la virtute
D’impetrar grazie e di recar salute.
Ecco del genitor del nostro Santo
Il profetico sogno, ecco avverato.
Se d’Apostolo in vita ottenne il vanto,
Dio lo fece nel Ciel nostro avvocato.
E se in spoglia mortal poteo cotanto,
Ora che non potrà spirto beato?
Dio per premio d’amor, di zelo e fede,
Favor non niega, se Vincenzo il chiede.
Felici voi, che con lodato esempio
Vi mostrate di lui servi e divoti,
Felici voi, che di Maria nel tempio
A Vincenzo Ferrerio effrite i voti.
Da rei peripli e dall’eterno scempio
Voi non meno che i figli ed i nepoti
Per salute dell’uom da Dio creata.
Santo, che in terra il Paradiso avesti,
Ed or lo godi eternamente in Cielo,
Specchio di scienza e di costumi onesti,
Difensor della Fede e del Vangelo,
Per quell’amor, di cui nell’alma ardesti,
Serafino celeste in uman velo,
Presta soccorso a chi soccorso implora;
Ama i tuoi servi, e me fra questi ancora.