Carlo Goldoni
Componimenti poetici

POESIE IN LINGUA E IN DIALETTO DEL PERIODO VENEZIANO (1748 - 1762)

LO SPIRITO SANTO Nella gloriosissima assunzione al Pontificato di Sua Santità nostro signore Clemente XIII.

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LO SPIRITO SANTO

Nella gloriosissima assunzione al Pontificato

di Sua Santità nostro signore Clemente XIII.

 

Fin dall’immenso, impercettibil seno

D’eternitate al divin occhio aperto,

Pria che l’arbitra voce ordine e forma

Desse alla terra, al firmamento, agli astri,

Quasi in tela dipinte ad una ad una

Tutte scorgea l’Onnipossente a un tratto

Le umane cose, e le avventure, e i fati.

Qual l’industrioso artefice sagace

Della portatil macchinetta oraria

Le ruote, i cerchi, lo spiraglio e i fusi,

E l’elastica molla ordina in guisa

Che val del tempo a regolare i moti;

Tale il voler, tale il poter divino

Dell’Artefice sommo all’orbe, ai cieli,

Regola impose, e combinati ha in modo

Dell’estesa catena i spessi anelli,

Che il primo cerchio con sua man reggendo,

Tutto il creato al suo voler risponde.

Ma appunto come a regolare il moto

Dell’oriolo divisor del tempo

Necessaria è dell’uom la mano esperta,

Volle il Sommo Fattor, che all’ordin vario

Dei successivi avvenimenti umani

Fosse a parte dell’uom l’arbitrio ancora.

Ma dal fallo primier natura oppressa,

Del vizio e di virtù confuso ha il seme,

E a ben voler di nuovo grazia ha d’uopo.

Questa Grazia efficace, onde deriva

La sapïenza e il docile intelletto,

E il buon consiglio, e l’utile fortezza,

E la scïenza, e la pietade, e il santo

Timor di Lui, che ha del destin le chiavi.

Questa è la fonte dei celesti doni

Del settiforme Spirito Divino.

L’onnipossente, impenetrabil nume,

Unico nell’essenza, e in tre distinto

Misteriose Persone, in sé mirando,

Produce il Verbo, alla Paterna Essenza

Consustanzial, che di Figliuolo ha il nome.

Indi il Padre Divin, mirando il Verbo,

E il Divin Verbo rimirando il Padre,

Per quell’intenso necessario Amare

Ch’è spirato e spirante a un tempo istesso,

Lo Spirto Santo in armonia procede

Pari, e in tempo e in natura, al Padre e al Figlio;

Quindi al Primier l’onnipotenza è ascritta,

Sapienza al Secondo, e la bontade

Si adora in Lui, che della Triade è il Terzo.

Oh santo Amor, Divinitade immensa,

Spirito, che sull’acque il vol disteso,

L’ali battendo, fa spirare i venti,

Ardere il fuoco, la terra,

E ne’ limiti suoi tenersi il mare!

Oh Santo Spirto, di colomba in guisa

Pinto all’occhio mortal, Tu miri a un tratto

Colla destra pupilla i trapassati

Secoli immensi, e la sinistra addita

Dell’eterno avvenir le leggi arcane.

Tu quello sei, che di colomba in foco

Hai poter di cangiarti, e sottilmente

Penetrando le fibre, or per la dura

Madre al celabro giungi, ora i precordi

Dolcemente accendendo, al cuor penetri;

Onde talor dalla ragion principio

Han le bell’opre, or dall’affetto, ed ora

Da violento stimolo sovrano.

A Te, Spirito Santo, a Te fu data

In custodia di Pier la combattuta

Da impetuose procelle agile nave.

Spento il Sacro Pastor, Tu delle chiavi

L’arbitro sei. Dalle tue man le aspetta

 Timido il successor. Pria che gli eccelsi

Venerabili padri entro all’angusta

Chiostra sien chiusi a squittinare i degni

Del supremo poter presunti eredi,

Invocato Tu sei, Tu li precedi,

Tu li reggi e governi, e il buon Pastore

Scelto è da Te, che la giustizia inspiri.

Entra lo Spirto Creator nel sacro

Custodito recinto, e dei raccolti

Porporati Elettori ad una ad una

Visitando le menti, empie di Grazia

L’anime giuste, ed i robusti petti.

Eccoli accinti ad innalzare al soglio

Del sacrosanto universale Impero

Il Vicario di Cristo, il successore

Dell’Apostolo Pietro, in cui risiede

Doppio poter di rendere felici

L’anime in Cielo, e i suoi soggetti in terra.

Studiano i saggi, imparziali, ascritti

Al Collegio supremo, offrir le chiavi

Alla mano più degna, e dare al mondo

Tal sovrano Pastor, ch’util si renda

Alla Chiesa, all’Europa, e all’orbe intero.

Ma la mente dell’uom, che di se stessa

Dubita con ragion, librando i chiari

Pregi, e l’ampie virtudi, e i certi segni

Del meritato onor, la mano arresta,

L’un temendo insultar, se l’altro esalta,

E senza l’opra del Divin Consiglio

Offrir non sa quietamente il voto.

Dio, che coll’alto suo voler dispone,

Il Pontefice Santo ha in mente eletto,

E di sua man può collocarlo in soglio,

Trarlo al popolo innanzi, e di sua mano

Visibilmente coronargli il capo;

Ma per pietà della fralezza umana

Dio se stesso nasconde, ed il fisato

Ordine delle cose, ed i consigli

De’ figli suoi nelle grand’opre impiega.

Quindi, usando il mortal linguaggio umano,

Non ravvisando la cagion motrice

Delle labbia e del cuor, contrasta, oppone,

E del contrasto e delle opposte aringhe

Sono in Ciel scritti i misteriosi arcani.

Permette il nume, che ogni via si tenti

Nell’innalzar, nell’abbassare i nomi

Dei candidati, e nel maggior cimento

L’invisibil colomba alzando il volo,

Scuote l’agili piume, i sensi accende

Di celeste fervor, solleva i spirti

Oltre il confin delle passioni umane,

Tocca col rostro dei votanti il seno,

Muove le destre, e il sacro nome impresso

Nelle piegate schedule segrete

Empie il calice santo, ond’esce eletto

L’alto Pastor che nell’Empireo è scritto.

Oh fortunato secolo di Cristo!

Oh lieta Roma! oh avventuroso giorno

Della Chiesa di Dio! Spirito Santo,

La terra e il ciel ti benedice. Esulta

Fede, religion, giustizia, e pace;

Poiché Tu solo al Vatican donasti

Nel pio Clemente il successor di Piero.

Tanto alla Terra è più gradito il dono.

Quanto più lo bramò. S’uniro i voti

Della vedova Chiesa, e dei monarchi

Le intense brame, e le preghiere ardenti

Del cattolico mondo. Oh Santa Fede,

Chi non sa che del popolo le voci

Sono voci di Dio? Roma felice,

Tu presagisti il fortunato evento

Allor che al suono delle laudi, e i viva,

L’accompagnasti a quelle sacre soglie

Ve’ l’attendea la Provvidenza Eterna.

Le virtù luminose han la possanza

Di penetrare in ogni petto, e farsi

Rispettare ed amar dai gradi estremi.

Chi rispetto ed amor per Lui non ebbe

Sino dal primo che in verde etate

Vestì di Pier le venerande insegne?

Ei ci additò come la via medesma

Alla pietade ed al saper conduce,

E come l’uom veracemente apprende

Col divin lume la scienza umana.

Nell’Euganeo Liceo colti per tempo

Da doppio ramo i sempre verdi allori,

Andò il bel serto ad inaffiar sul Tebro,

Ove di grato odor quell’aure empiendo,

Frutti promise al Vaticano eletti.

Il robusto saper, l’util consiglio

E la retta giustizia usar da prima

Nei governi poteo della fruttifera

Rietana provincia, e del bagnato

Dall’Adriatico mar Fano gentile.

Indi nell’ardua, venerabil Rota,

Ove in dodici seggi Astrea s’onora,

Giunse dell’Adria ad occupar lo scanno,

E tra i forensi laberinti oscuri

Seppe trovar la veritade illesa.

Tempo era ormai, che la pietà, e lo zelo,

E gli egregi costumi, e il nobil cuore,

E la mente felice, e il pronto ingegno,

E più di tutto l’umiltà, reina

Delle belle virtudi, il premio avesse.

Saggio, eccelso Pastor del cristian gregge,

Duodecimo Clemente al ramo eccelso

Del Rezzonico ceppo, al figlio illustre

Dell’adriatica Dori, al caro al Cielo,

Ed agli uomini tutti amabil Carlo,

Diè la porpora sacra; opra e consiglio

Dello Spirto Divin che, al cuor parlando

Del Pontefice pio, sin da quel giorno

Al grado e al nome un successor gli elesse.

Roma allora esultò, sperando in esso

La sua felicità. Le adriache genti

Vidersi giubilar. Quei padri eccelsi,

Aprendo un seggio nel Senato augusto,

D’astro vestire il pio germano Aurelio.

Como, region de’ Longobardi antica,

Del Rezzonico sangue illustre fonte,

Che pel girar de’ secoli vetusti

Sopra del figlio suo ragion non perde,

Chiamasi a parte del sublime onore;

Spera in lui rinnovar del suo Innocenzo

Il gemino splendor, che ambi i due ceppi

Rezzonico e Odescalchi il patrio lido

Cambiaro uniti nell’adriache arene:

E se l’un vide il secolo passato

D’aureo Triregno coronato il crine,

Spera di Roma sull’augusta sede

L’altro mirar nella presente etade.

Ma più di ogn’altro giustamente esulta

L’Antenorea città, cui diede in sorte

L’apostolico cenno il prence sacro

Lunghi giorni goder Pastore e padre.

Oh come seco a quelle mura antiche

Trasse il fraterno amor! Come d’intorno

Feo della pace rifiorir gli ulivi!

E aprendo altrui di Provvidenza il fonte,

Languida povertà qual non riebbe

Pronto soccorso, e fortunato asilo?

Qual contrasto d’affetti in voi ravviso,

Popoli patavini! Or che al supremo

Trono del Vaticano ascende il vostro

Amoroso pastor, le luci asperse

D’amaro pianto, e coi sospir rendete

Grazie a quel Dio che ha coronato il merto?

Ah sì, v’intendo: d’allegrezza è misto

E di affanno quel pianto. Al Ciel lode

L’umido labbro; e addolorato il cuore,

Della perdita sua deplora i danni.

Ma la virtù, ma la costanza istessa

Che apprendeste da lui, piegar v’insegni

Ai decreti di Dio la fronte umile.

Egli non men di voi tremar s’intese

All’annunzio fatale, e più del fregio,

Più del Triregno che il suo capo onora,

Apprende il peso che lo spirto aggrava.

Ma l’umiltade lo consiglia in vano,

Che non solo il favor d’uomini, amici

Di giustizia e di pace, al trono il guida;

Ma lo Spirito Santo a lui consegna

De’ figli suoi l’universale impero.

Serenatevi adunque, e in Lui sperate,

Ch’ei vi amerà dal roman seggio ancora.

Egli è padre comun; la sua pietade

Spargerà intorno al popolo cristiano,

scorderassi con amor paterno

Del caro gregge, e della Patria augusta.

Deh sull’ale de’ venti al Tebro in riva

Veli il Genio dell’Adria, e al gran Clemente

Del giubilo comun dipinga i modi.

Spirto etereo soltanto aver può forza

Di concepire e di spiegar gli affetti

Di natura, di amor, di gioia immensa.

Facile è il dir che d’ogni grado e sesso

E d’ogni etade il popolo commosso

Esce fuor di se stesso, e l’uno all’altro

Parla, chiede, racconta, e cento volte

Torna a ridire e a domandar lo stesso;

Che anche i vecchi cadenti al sagro tempio

Condur si fanno, e i pargoletti anch’essi,

Dall’esempio animati, alzano al Cielo

Le innocenti lor mani, e al comun grido

Vanno apprendendo di Clemente il nome.

Sì, può fama narrare i segni esterni

Della pubblica gioia: il maggior tempio

Fra i suon divoti e i musicali accenti

Scioglier inni festosi al Re del Cielo,

E per l’ampia, superba, unica Piazza

Solennemente la divina immago

Della Vergine pia scortare in giro

Le religioni, il popolo, il Senato;

E può lasciare ai posteri memoria

Delle feste pompose e degli onori

Alla pontifical Famiglia illustre

Largamente impartiti, al padre e al figlio

L’aurea stola donando, e l’aureo fregio

Ereditario al successor primiero,

E al germano di lui, che a Roma impera,

La dignità Procuratoria eccelsa.

Tutto questo può dirsi, e aggiunger puote

Stupido labbro, ammirator sincero,

L’alta magnificenza, il regal modo

Onde splendidamente il padre e il figlio

Dalla pubblica mano accolse il dono;

Lodi meschiando all’umiltà preclara

D’Aurelio pio che, sé chiamando indegno

Di tanto onor, delle sue glorie il prezzo

Trova soltanto in sovvenir gli oppressi.

Ecco quanto spiegar può lingua umana,

O ai posteri mandar la veritiera

Immancabile fama in carte, in tele,

Le memorie scolpite, e in bronzi, e in marmi.

Ma i moti interni e i successivi affetti

Dei cuori oppressi dalla gioia estrema

Chi svelare potria, se il labbro umile

Angelo non soccorre, o sovraumana

Non gl’infonde virtù lo Spirto Santo?

Spirito Paraclèto, in me diffondi

La tua Grazia, i tuoi doni, e poiché il Cielo

Tanta vita mi diè, che al roman soglio

Ho potuto mirar lo Zio di quello

Che me fra’ servi suoi tener non sdegna,

Che mi diede d’amor sincere prove,

E che feo, sua mercé, chiaro il mio nome;

Fa ch’io non sia di tanta grazia indegno.

Durino i giorni miei fin ch’io rivegga,

Mercé di lui che santamente impera,

L’età dell’oro rinnovata al mondo,

E la pace trionfi, e nel profondo

Seno infernal sia la discordia atroce

Inceppata per sempre, e il divin culto,

E la santa, inconcussa, unica fede,

Negli estremi del mondo alzi l’insegna.

 

 


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