Carlo Goldoni
Componimenti poetici

POESIE IN LINGUA E IN DIALETTO DEL PERIODO VENEZIANO (1748 - 1762)

PER LE NOZZE DEL NOBIL UOMO S. MARIN CAVALLI CON LA NOBIL DONNA MARIA DOLFIN Capitolo al signor conte Orazio Arrighi Landini.

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PER LE NOZZE DEL NOBIL UOMO S. MARIN CAVALLI

CON LA NOBIL DONNA MARIA DOLFIN

Capitolo al signor conte Orazio Arrighi Landini.

 

Ah Landini, Landini, questa fiata

Ti sei scordato il tuo parlar sincero,

E me l’hai (come dicesi) accoccata.

Celebre a me? Se nell’aonio impero

Celebre mi hanno reso i miei difetti,

La mia celebrità non vale un zero;

E ch’io mi gonfi se in tal modo aspetti,

E ti renda in mercé de’ carmi un staio,

Invan colle moine mi confetti.

Dimmi (se il Ciel ti guardi dal rovaio),

Dimmi amico soltanto, e ti assicura

Che de tuo’ amici non sarò il sezzaio;

E qual ebb’io di compiacerti cura

Per lo passato, l’avrò in avvenire,

Perché t’amo e t’apprezzo a dismisura.

Vuoi tu ch’io canti? Viemmelo tu a dire;

Basta così; non mi lodar per questo,

Ché il troppo affetto ti può far mentire.

E sai che il labbro de’ loquaci è presto

A dir che duo poeti in fra di loro

Grattansi a tergo (per parlar modesto).

E a noi, che siamo dello stesso coro

Della Roveredana eletta schiera,

Non sien fatte le fiche da costoro.

Gente che il dritto esaminar non chera:

Gente sol nata per recar disagio:

«Gente cui si fa notte innanzi sera».

Or ben, Landini, formerò il presagio

D’esti due sposi alla battaglia accinti,

Ma vuò scegliere i carmi a mio bell’agio

Con vivaci color vogl’io dipinti

Render gli strali dell’arcier Cupido,

Com’ ei ridendo il tristarel gli ha spinti.

Tu sollevasti di tua Musa il grido

Oltre al confin dell’amoroso agone,

’Ve seguirti dappresso io non mi fido.

Facil sembra lo sciolto a più persone

Che non san quanto la felice rima

Giovi a formar l’armonico sermone.

Chi salir tenta all’Apollinea cima

Senza la dolce consonanza, e grata,

Dee ben coi versi adoperar la lima.

E il sa la Musa mia stanca e sudata

Pei pochi carmi che al roman Pastore

Per estremo disio cantò inspirata.

Ma dovendo cantar del dio d’amore

Colla rima gentil che alterna il suono,

Fo men fatica, e mi farò più onore.

Eccomi, dunque, all’argomento io sono.

Tu fingesti le nozze una ;

D’amorosa tenzone anch’io ragiono.

Veggio i campioni, cui nel merto uguaglia

Il nobil sangue, e la vezzosa immago,

Né può dirsi che all’un l’altro prevaglia.

Sposo gentil, che del trionfo è vago,

Schiera d’intorno le virtuti ancelle,

Né di bloccar la sua diletta è pago.

Stringe l’assedio, e della rocca imbelle

Tenta i muri assalir, ma lo respigne

Il doppio dardo delle luci belle.

Di nuovo amor, non di furor si tigne

Il saggio, il prode assalitor vezzoso,

E l’util froda adoperar si accigne.

Mostrasi stanco del pugnar rischioso,

Ritira l’armi, e starsene in aguato

Ne’ scaltri suoi trinceramenti ascoso.

E il cuor di lei, che l’inimico irato

Parea temesse, or che avvilito il crede,

Vien coi vezzi a sfidarlo in campo armato.

Ei tragge allor da’ suoi ripari il piede,

Offre la pugna alla guerriera amante;

Si misurano i colpi, e ancor non cede.

Vibra un tenero sguardo al bel sembiante,

Arriva il colpo dalle luci al petto,

La bella donna mirasi tremante.

Sente la piaga dell’interno affetto,

Si per vinta, e al vincitor cedendo,

Nelle perdite sue trova il diletto.

Poscia il bel volto di rossor coprendo,

Dice: Signor, che a trionfar se’ accinto,

Il mio destin dalle tue leggi attendo.

Ah no, risponde dalla gioia spinto,

Alzati, o bella; il faretrato Amore

Fra noi confonde il vincitor col vinto.

Tu sei ferita, ed io piagato ho il cuore,

Tu il laccio incontri, io la catena ho al piede;

Pace, pace fra noi, non più rigore.

Questo sol prezzo la vittoria chiede.

Amami com’io t’amo, e fa ch’io speri

Dell’amor nostro il fortunato erede.

E i genitor, che giustamente alteri

Van di quel sangue ch’è trafuso in noi,

Abbian nipoti imitator sinceri.

Mira la serie degli antichi eroi;

Ché i tuoi Delfini e i miei Cavalli han pieno

Di gloria il mondo coi sudori suoi.

L’Adria aspetta mirar dal tuo bel seno

Sortir i figli e i cittadini egregi,

Degli avi nostri candidi non meno.

E del tuo bel rinnovellando i pregi

Nelle vaghe donzelle, il patrio lito

Far per tuo vanto invidiar dai regi.

Deh, sposa mia, deh non chiamarmi ardito,

Se a nuova pugna il tuo bel cor disfido,

Che nel cimento a trionfar t’invito.

No, non temer del vincitor Cupido,

Ché resister non seppe al dolce strale

Dell’acceso fanciul la dea di Gnido.

E se virtù nel tuo bel sen prevale,

Cedi al destin, che la tua destra allaccia

Col dolcissimo nodo maritale.

Non risponde Maria, modesta in faccia;

Egli il silenzio in suo favor comprende,

Avanza il passo; e la consorte abbraccia.

Basta, Landin, chi ha buon orecchio, intende.

Ecco il presagio mio lieto e giocondo:

Da cotal pugna le vittorie attende

Adria felice, e ne festeggia il mondo.

 

 


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