Carlo Goldoni
Componimenti poetici

POESIE IN LINGUA E IN DIALETTO DEL PERIODO VENEZIANO (1748 - 1762)

LA VISITA DELLE SETTE CHIESE AL Signor Marco Milesi

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LA VISITA DELLE SETTE CHIESE

AL Signor Marco Milesi

 

Marco, la gloria mia non sta nei carmi,

Ma nel buon cor, di cui mi pregio e vanto.

A una vergine pia fra i sacri marmi

Di me che giova, e di cent’altri il canto?

Voglio, se piace a Dio, santificarmi,

Come far si dovria di tanto in tanto,

E per la suora vostra a Dio Signore

Alzar la mente, ed offerire il core.

Il passo a cui la verginella è accinta,

È un passo forte, e si può dar talora

Che quel desio che una donzella ha spinta,

Siasi col tempo infievolito ancora.

E se il punto d’onor l’avesse avvinta,

Cosa saria dell’infelice allora?

Pace e quiete sperar potrebbe in vano;

Che Dio ne guardi ogni fedel cristiano.

So che ingiusto per essa è un tal sospetto;

E col mio forse l’altrui cor misuro.

So che l’amor di Dio le accese petto,

So che in tenera età senno ha maturo.

So che di tre sorelle al sacro tetto

L’esempio e le virtù scorta a lei furo.

So che un anno col mondo ha conversato;

So che l’ha conosciuto, e l’ha sprezzato.

Dunque di che temer? L’amo, e l’amore

Dubbioso, incerto, del suo ben mi rende;

L’amo però con innocente amore,

Quai pel caro germano il sen m’accende.

Amo la sua virtude, amo il bel core,

Con amor che da pochi oggi s’intende,

Con quell’amor, il di cui santo zelo

Ama l’onesto, e si fa scala al Cielo.

Un momento decide, e in quel momento

Vi è bisogno d’aiuto e di conforto.

Ora ci incalza, or ci respinge il vento,

Quai navi in mar che van cercando il porto.

Al Signore per essa io mi presento,

E i caldi voti e le preghiere io porto;

Io sono in Roma, e divozion mi accese

Di visitar per lei le Sette Chiese.

Fin negli antichi secoli rimoti,

Peregrinando si adorava il Nume,

E ai nostri dei peregrin divoti

Chiesa Santa seconda il pio costume.

Chi scioglier brama in Palestina i voti,

Chi scorto è altrove della Fede al lume:

Da per tutto alle grazie il calle è ,

E il disagio e lo stento accresce il merto.

Quindi a color che al bel desio non hanno

Agio conforme, offre il roman Pastore

Comodo viaggio, e ad appagar sen vanno

In Sette Chiese il concepito ardore.

E in Roma santa, dove aperti stanno

I tesori di Grazia al peccatore,

Dee far colui che al santo giro è intento,

Quindici miglia, e passi cinquecento.

In due giorni gli ho scorsi. Il primiero,

Siccome l’uso dei divoti insegna,

L’eccelso tempio visitai di Piero

Al Vatican, dove Clemente or regna:

Tempio di cui maggior nel mondo intero

Non spiegò mai del Redentor l’insegna,

E arguire si può da un tale esempio

Qual fosse già di Salomone il tempio.

Movendo il piè colla corona in mano

Per il lungo, fangoso, arduo cammino,

Meditando i mister da da buon cristiano,

I miei peccati confessar destino.

Per non distrarmi in qualche oggetto umano,

Vo cogli occhi socchiusi, e a capo chino,

Ma passando il sentier di Torninona288,

Ahi, mi cadde di man la mia corona.

L’avvilimento nel mio cuor rinnova

A quella vista il Seduttor ardito,

Indi me stesso insuperbir si prova

Cogli applausi di Roma in altro sito289.

Debole in questo il tentator mi trova,

pera che resti il buon desio schernito;

Ma raccolto il rosario, andando innanti,

Dissi un’Avemaria pei commedianti.

Scorso del Tebro l’ammirabil ponte290,

Giunsi all’ampia, superba, unica piazza,

’Ve si ammiran balzar da doppia fonte

Fiumi d’acqua perenne in doppia tazza.

In archi, in statue, e nel grand’atrio a fronte

L’occhioperde, ed il pensier sollazza.

Bel teatro che s’offre agli occhi miei

Di colonne dugento e ottantasei!

Ma non era in quel condotto e spinto

Il desir mio da maraviglie tante;

Era soltanto a venerare accinto

Di Pietro e Paolo le reliquie sante.

Giaccion l’ossa beate entro un recinto

Sotterraneo del tempio, all’ara innante,

Dove all’uomo talvolta è andar concesso,

Ma vietato è l’entrarvi al debil sesso.

Dissi allora fra me: Se di Teresa

Quivi giungesse il venerando aspetto,

Degna saria la sotterranea chiesa

Mirar anch’essa, e ne averia diletto.

Vergine pia, di santo amore accesa,

Merta sopra dell’altre ogni rispetto,

Ma se altrove la ferma il santo zelo,

Vedrà i due Santi gloriosi in Cielo.

Indi pian piano un confessor cercando,

Lo ritrovo, mi accosto, e mi confesso.

Mi corregge, mi assolve, ed esortando:

Vatti, mi disse, a confessar più spesso.

Dico la penitenza, e allora quando

Parmi raccolto di essere in me stesso,

Mi avvicino all’altar; con divozione

Faccio la sacrosanta Comunione.

Adorato umilmente il gran Mistero,

E contrito e pentito a sufficenza,

Giusta il poter del successor di Piero

Presi la santa angelica indulgenza.

Pregai Gesù per il cristian impero.

Indi volli adempir la mia incombenza

Per Teresa pregando, acciò il Signore

Le dia coraggio e le conforti ii cuore.

Nella chiesa primiera ecco adempito

Dell’intrapresa divozione il voto:

Ma pria ch’io fossi dalla chiesa uscito,

Si distrasse alcun poco il cor divoto.

Giro l’occhio d’intorno, e in ogni sito

Maraviglia trattiene il ciglio immoto.

Diviso il tempio in varie parti io miro,

Ed in ogni sua parte un tempio ammiro.

Alzo le luci a vagheggiare il tetto,

E la vista si perde, e in grembo al sole

Veggio dall’immortal saggio architetto

Del Panteon sacro rinnovar la mole.

Ma di tal vastità l’ordin perfetto

Mal spiegare potrian le mie parole,

E se tutto vodir quel che ammirai,

Le sette Chiese non finiran mai.

Esco dunque dal tempio, e nella piazza

Prendo la via di ripassar il ponte.

Veggio fra le colonne una ragazza

Sola con un che ha il titolo di conte,

E la madre di lei, ch’è vecchia e pazza,

Stavasi intanto a vagheggiare il fonte;

In altro tempo l’avrei posta in scena,

Or, per grazia di Dio, ne provai pena.

Accostandomi a lei, le dissi: Oh grima,

Abbandoni così la propria figlia?

Così l’amor, così l’onor si stima

Del tuo sangue, di te, di tua famiglia?

Lo so, lo so, che tu non sei la prima

A cui vile interesse il cor consiglia;

Oh madri, oh madri! oh benedetta sia

Di Teresa la madre, e saggia e pia!

Chi vide mai più cauta genitrice

Di te, donna gentil? La tua virtute

Rendere al mondo ti poteo felice,

Ed eterna godrai pace e salute.

Figlie più saggie desiar non lice

Di quelle al mondo dal tuo sen venute.

E il figlio tuo?... Marco, vorrei lodarti,

Ma se tu non lo vuoi, vosoddisfarti.

Medito fra me stesso, e vo pian piano

Il sacro tempio a visitar secondo,

Benché sia San Giovanni Laterano

La prima chiesa fabbricata al mondo

Allor che Costantin, fatto cristiano,

Fu dall’idolatria purgato e mondo;

E apparve, il giorno in cui fu consagrata,

Del Salvator l’immagine beata.

Qui pur potria la maraviglia umana

Nel moderno fermarsi, e nell’antico;

Mirar la nuova architettura e strana,

Sul cui disegno il mio pensier non dico:

Ma Venezia non è così lontana,

E voi di moglie non avete intrico;

Marco, venite, se saper vi preme,

E rifarem le Sette Chiese insieme.

Di san Paolo e san Pietro i teschi santi

Colà mi accinsi a venerar divoto;

E sciogliendo dal cor gl’interni pianti,

Rinnovellai di non peccare il voto.

Deh, mio Signor, fra tanti scogli e tanti

Fa ch’io non pera, o che mi salvi a nuoto;

Fa che l’opere mie, di zel ripiene,

Scuola dell’onestà rendan le Scene.

Detta qualche orazione, e di Teresa

Raccomandato l’interesse a Dio,

Con vera fede l’indulgenza ho presa,

Con quell’amor che concepir poss’io.

Uscito fuor della descritta chiesa,

S’offre la Scala Santa al guardo mio.

Visitiamla, diss’io, che non sconviene,

Se si cresce nel mal, crescer nel bene.

Entro le sacre porte inoltro il piede,

Veggo le cinque scale, e in mezzo ad esse

Quella che di Pilato all’empia sede

Calcò Gesù colle sue piante istesse.

Vuole il rispetto della Santa Fede

Che vi salgan le genti genuflesse,

E i vent’otto gradini in ginocchioni

Feci, dicendo tacite orazioni.

Ma sturbato però dalle donnette,

Che si andavano urtando e respingendo,

Mormorando superbe e stizzosette

Nel santissimo loco reverendo:

Statevi zitte, siate benedette,

Andava lor con umiltà dicendo;

Sentii che una di lor rispose piano:

Che cosa c’entra questo Veneziano?

Mi veniva in pensier, Dio mel perdoni,

Dirle una qualche brutta parolaccia;

Mi forzai superar le tentazioni;

Meglio sarà, dissi fra me, ch’io taccia.

In ogni parte, in tutte le nazioni,

La tempesta s’incontra e la bonaccia;

Donne buone e cattive, io dire intendo:

Ma quai sono le più? Non me ne intendo.

So ben, che se imitar sapesser tutte

La lodevol Teresa, in questo mondo

Le opere buone non sarian distrutte,

Ed il viver per noi saria giocondo.

Non importa che siano o belle o brutte,

Basta siano modeste e di buon fondo.

Solo a Teresa è il doppio onor concesso

D’esser bella e prudente a un tempo istesso.

La Santissima Scala ho terminato,

La molestia soffrendo e l’impazienza;

Ed il Sancta Sanctorum venerato,

Chiesi il dono al Signor di penitenza.

per ogni gradin che si è calcato,

Si acquistan tremillanni d’indulgenza,

Ed altrettante quarantene. Iddio

Me li faccia valer nel morir mio.

Sceso di poi pel lateral cammino,

Ratto n’andai fuori di porta Ostiense,

Visitando San Paolo a capo chino,

Dove pure vi son ricchezze immense;

Il di cui fondator fu Costantino,

Dacché l’error nelle sant’acque spense;

E di marmo oriental, ch’io ben conosco,

Adorna il tempio di colonne un bosco.

Quivi sen sta la crocifissa immago

Che alla pia favellò Brigida eletta.

Ah sì, Teresa, mi fa Dio presago

Di quel piacer che al tuo bel cor si aspetta.

S’è il tuo casto desio contento e pago

Della santa, innocente, umil celletta,

Chi sa che Dio, ch’è nel tuo core impresso,

Non parli a te con quel prodigio istesso?

Io non mancai, seguendo il pio disegno,

Di pregar per i vivi, e per i morti,

E per Te col più forte e caldo impegno,

Perché Dio ti consoli e ti conforti.

Lo so ch’io sono un peccatore indegno,

So che ho fatto alla grazia insulti e torti,

Ma Dio perdona, e il suo soccorso aiuta,

E principia la barba esser canuta.

Soleva dir Filippo Neri, il santo,

Ch’era pieno di grazia e di umiltà:

Altrove la carrozza è un fasto, è un vanto,

Ma in Roma la carrozza è carità.

Così dico ancor io: camminai tanto

In tre lati finor della città;

E le chiese fra lor son sì lontane,

Che serbai le altre quattro all’indomane.

Cosa doveva far tutta la sera,

Per star raccolto in santità perfetta?

Solo mi ritirai con mia mogliera,

Ch’è, per dir vero, un’ottima donnetta;

E se fossero tutte di tal schiera,

Forse non vi saria tanta disdetta:

Dunque mi ritirai seco in un canto,

Di Teresa narrando il pregio e il vanto.

Dissi: L’amor di Dio, che in lei prevale,

Rende le voglie sue sublimi e sante;

Ella non fece già come la tale,

Come quella e quell’altra e come tante.

Ma la mia Donna, che non sa dir male,

Dice: Marito, non andate innante,

Che mentre questa vergine lodate,

Senz’accorgervi un pel, voi mormorate.

Che tu sia benedetta; in verità,

Tu facesti assai bene ad avvisarmi.

Se favellai contro la carità,

Tornerò domattina a confessarmi.

Brutto Demonio, vattene di qua,

Non venir, disgraziato, a ritentarmi.

Spiaceti di vedermi a cangiar vita?

Certo la cangerò; per te è finita.

La mattina per tempo, oltre il costume,

Franco mi sveglio ed abbandono il letto,

Ch’io non soglio giammai levar col lume,

Ma quando il sole ha riscaldato il tetto.

Implorato di cuore il Santo Nume,

Divotamente a rintracciar mi metto

Delle Chiese il sentier, di mano in mano,

Visitando primier San Sebastiano.

E a ritrovarlo ho faticato assai,

Ché di Porta Capena è fuori un miglio.

Pria d’entrar nella chiesa io mi fermai

Sedendo, e intorno dilettando il ciglio.

La magnifica strada ivi ammirai,

D’Appio Claudio romano opra e consiglio,

Per cui passò, d’eterni lauri cinto,

Un Orazio, un Scipione, un Carlo Quinto.

Dopo d’avermi riposato un poco,

Principiai nella chiesa ad innoltrarmi.

Fatta la riverenza al santo loco,

Corsi immediatamente a confessarmi.

Mi pareva d’aver d’intorno il foco,

Se la coscienza non giungea a sgravarmi.

Che differenza! or mi spaventa un fallo,

E in me fatto le colpe aveano il callo.

Riconciliato in grazia del Signore,

Quella pietra adorai su cui restaro

L’orme impresse del nostro Redentore,

Quando apparve a san Pietro, a Lui sì caro.

Le solite orazion dette di cuore,

A riprender la strada io mi preparo.

E dieci volte, pria di uscir di chiesa,

Raccomando al Signor la mia Teresa.

Ver Santa Croce di Gerusalemme

Vado per rintracciar la quinta chiesa,

E a San Giovanni ritornar conviemme,

Perché guida al cammino io non ho presa.

La fatica maggior fors’anche diemme

Merto maggior nella divota impresa.

So ben che di sudor bagnava i panni,

E son carco di ciccia, e carco d’anni.

La divota cappella ivi si adora,

Dove l’imperatrice Elena santa

Portò la Croce, e colà pur si onora

Una ricca porzione di Terra Santa.

L’antica chiesa rinnovata or ora,

Sull’atrio Sessoriano ha la sua pianta,

E reso più moderno atrio perfetto

Fu dal decimoquarto Benedetto.

pur supplio al mio divoto impegno,

Iddio pregando per la vergin pura,

Che per la strada dell’eterno regno

Le sia scorta virtù salda e sicura,

Vado, per continuar nel mio disegno,

A San Lorenzo fuori delle Mura,

Dov’è la pietra in cui Lorenzo esangue

Lasciò impresso morendo il grasso e il sangue.

Su quella pietra meditando un poco,

Dissi fra me medesmo intimorito:

San Lorenzo soffrì morir nel foco,

Ed io m’arrabbio se mi scotto un dito?

Qui si passa la vita in festa, in gioco,

Si procura saziare ogni appetito:

Ed al mondo di che sarà mai?

Ah finora, meschin, non ci pensai!

Ora ci penso, e il salutar consiglio

Di Teresa l’esempio in me diffuse.

Ella che al mondo non rivolse il ciglio,

Che dal suo cor le triste voglie escluse,

Per fuggir delle trame il rio periglio

In sacra cella il suo pensier rinchiuse;

E mi sento ridir dal labbro pio:

Fuggi tu pure, e ti ricovra in Dio.

Ma come in questo stato e in questa etate

Adempire poss’io le sante voglie?

Anderei volentieri a farmi frate,

Ma, per grazia di Dio, viva ho la moglie.

Eh, si può viver bene e in santitate,

Quando si voglia, nelle patrie soglie;

Non ho più nel cuor mio pensieri impuri:

Ma tutto sta, sorella mia, che duri.

Per me, per voi, con tal pensiero in mente,

Dissi tante orazioni e in tal maniera

Mi riscaldai, che domandò la gente:

Cos’ha quel galantuom, che si dispera?

E un certo giovinastro impertinente,

Che avea proprio la faccia da galera,

Disse: Mira il poeta in ginocchione,

Che una scena vuoi far da bacchettone.

Fece il Demonio quanto far potea

Ch’io prendessi colui per mio nemico;

Ma il povero Satan non lo sapea,

Ch’io questa gente non la stimo un fico.

Criticatemi pur, fra me dicea,

Che con teste balzane io non m’intrico.

Di me, dell’opre mie fate strapazzo,

Vederemo di noi chi sarà il pazzo.

Già avea supplito alle preghiere usate

E la santa indulgenza avea già presa,

Onde tosto addrizzai le mie pedate

Alla sacra, prescelta, ultima chiesa.

E per le strade che mi fur segnate,

Toccai la meta della via scoscesa

Ove Santa Maria Maggior nomata

Splendentissimamente è collocata.

Marco, quand’io credeva aver finito,

Mi vien voglia di dir più che non dissi.

Questo tempio è sì vago e sì arricchito

Che poco è quel che fino ad ora io scrissi.

Ma sarei troppo seccatore ardito,

Se a descriverlo tutto ora venissi.

Lascierò le ricchezze al secol note,

Dirò sol le più sante e più divote.

Quivi la culla di Gesù bambino

Dal popol folto venerar si vede.

Io cogli altri la fronte umile inchino

E bacio il lembo della Santa Fede.

So che non sbaglio, e so che l’indovino

A creder quel che Santa Chiesa crede,

E chi vuol col cervello andare in su,

La caduta farà di Belzebù.

Dunque dinnanzi al sacrosanto altare

Le già dette orazioni epilogando,

Proponendo di cor non più peccare,

L’indulgenza plenaria a Dio domando;

Non per me, che non so di meritare

Un favoregrande e memorando;

Ma per Teresa il zelo mio s’accese,

Per cui fatte ho di già le Sette Chiese.

Dio esaudisca i miei voti, e alla donzella

Nel momento fatal grazia conceda,

Che col cuore non men che la favella

Giurar la fede al Redentor si veda.

E poi che fatta del Signore ancella,

Tutta sarà del santo Amore in preda,

Si ricordi di me, perché ho paura

Che mi torni a tradir vizio e natura.

Marchetto mio, mi raccomando a voi:

Voi sapete pur troppo il mio bisogno;

Siamo amici di core, e in fra di noi

Confessare il mio frai non mi vergogno.

Ma parliam chiaro; non vorrei che poi

Questi miei versi li credeste un sogno;

E che come suol farsi all’occasione,

Fosser le sette Chiese un’invenzione.

Vi citerò, se a me non lo credete,

Testimoni di vista e buoni e belli.

Se un degno e un saggio testimon volete,

Domandatelo al padre Panicelli.

Questo bravo orator lo conoscete:

Ei non predica in Roma agli sgabelli,

Ma di gente la chiesa ha ognor sì piena,

Ch’entrar si può forzatamente appena.

E l’ascoltan prelati e Cardinali,

E degli abati il numeroso coro;

E concorrer vi vedo i principali

Di Galeno seguaci, e quei del Foro;

E la festa, non men che i feriali,

Vanno le donne colle figlie loro:

E se tutti dan fede ai detti suoi,

Via, credetegli dunque ancora voi.

Ma bisogno non v’è d’altri attestati;

So che voi mi credete, e mi lusingo

Che forse i versi miei vi saran grati,

Perché il vero vi alletta, ed io non fingo.

Spiacemi dello stil che gli ha imbrattati,

Ma più in lo mio stile in vano io spingo:

Correggeteli voi, se lo volete,

Che di lor, che di me, padron voi siete.

 

 

 





p. -
288 L’Autore fu chiamato in Roma per dare le sue commedie al Teatro di Tordinona, situato sul cammino che conduce a S. Pietro. Per delle ragioni che si leggono in qualche prefazione alle sue commedie, le opere sue in questo teatro riuscirono poco bene.



289 Intendasi dei Teatro di Capranica, dove in quest’anno il suo Avvocato veneziano e la sua Pamela incontrarono a segno di aumentare il prezzo de’ viglietti e delle loggie.



290 Ponte Sant’Angiolo. Villeggiatura di S. E.



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