Carlo Goldoni
Componimenti poetici

POESIE IN LINGUA E IN DIALETTO DEL PERIODO VENEZIANO (1748 - 1762)

CELEBRANDOSI DAL PADRE CAPPUCCINO FRA TEODOSIO DI MILANO LA PRIMA MESSA NELLA CHIESA DI S. GREGORIO DETTA IL FOPPONE DEL LAZZARETTO FUORI DI PORTA ORIENTALE IN MILANO   CAPITOLO AL SIG. CARLO GIACOMO BRUGORA FRATELLO DEL SACERDOTE

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CELEBRANDOSI DAL PADRE CAPPUCCINO FRA TEODOSIO DI MILANO

LA PRIMA MESSA NELLA CHIESA DI S. GREGORIO DETTA IL FOPPONE

DEL LAZZARETTO FUORI DI PORTA ORIENTALE IN MILANO

 

CAPITOLO

AL SIG. CARLO GIACOMO BRUGORA

FRATELLO DEL SACERDOTE

 

Brugora, noi davver ci vogliam bene.

Prova è di ciò che se fra noi l’un chiede,

L’altro fa quel che all’amistà conviene.

Rado, egli è vero, a vostro pro si vede

Impiegato l’amor che a voi mi lega,

Ma il desiderio ogni misura eccede;

E quando di un piacer vi parla e prega

La penna mia (lo che sovente accade),

Da voi grazia e favor non mi si niega.

La forza di dolcissima amistade

È un effetto talor di simpatia,

Che coll’uso s’aumenta e coll’etade.

E maggior copia sembra che si dia

Di magnetico amor fra due persone

Che discorde non han fisonomia.

Fisica, a comun detto, è la ragione:

Suol dell’uomo talor l’esterno aspetto

Dell’interno mostrar l’inclinazione.

Ambi il viso grassotto e ritondetto,

Ambi abbiamo una pancia badiale,

Il collo corto, e spazioso il petto.

Ed è proverbio, o detto universale:

I grassi sono uomini di Dio,

Inclinati a far ben più che a far male.

Siete della statura che son io,

Ambi il basso cantiam, non il soprano,

Ed avete perfino il nome mio.

Io son nato in Venezia, e vo’ in Milano,

Ma dir si ponno due sorelle anch’esse

Le patrie nostre pel costume umano.

Non domina superbia od interesse:

Si vive in allegria, si mangia bene,

Né son le genti dalla forza oppresse.

Ora d’un’altra cosa mi sovviene

Che la nostra amicizia ha confermata

E il reciproco amor vie più mantiene.

Io vivo, posso dir, di cioccolata,

E voi n’avete di così perfetta

Che par d’ambrosia e nettare impastata.

Anche il mese passato a me diretta

Giunse, vostra mercé, porzion di questa

Sostanzïosa manna benedetta.

Milesi nostro, ch’è persona onesta,

Dica la verità, se al vostro dono

Mi vide in volto giubbilar, far festa.

Io, fra i difetti miei, questo ho di buono:

Do volentieri e volentier ricevo,

Son di cuor grato ed avido non sono.

Non son uomo di vaglia o di rilievo,

Ma per gli amici miei fo di buon cuore

Quello ch’io posso, se non quel ch’io devo.

Ricevetti per grazia e per onore

La richiesta che piacquevi avanzarmi

Pel fratel vostro, servo del Signore.

Voi potete volere e comandarmi,

E se i miei versi desiar mostrate,

Più che non dan, ricevono i miei carmi.

Lungi, lungi da me le rime usate;

S’alzi il mio stil quanto s’innalza il tema:

Anch’io tratto la cetra, anch’io son vate.

Oh potestate angelica suprema

Del divin Sacerdote, al cui potere

Freme d’invidia Satanasso, e trema!

Gli Angioli stessi e le Beate schiere

Scendono intorno al pio ministro eletto,

A cui vien dato il Divin Sangue a bere.

E al Paradiso d’ogni ben ricetto,

In virtù di santissime parole,

Pari si fa del Sacerdote il petto.

Deh mira, Antonio308, tua diletta prole:

Il tuo Teodosio non è più tuo figlio,

Dio te lo diede, e Dio per sé lo vuole.

Deh non bagnar, tenera madre, il ciglio:

Lo perdi in terra, e lo godrai nel Cielo,

Sciolta la spoglia del comune esiglio.

E tu che ardendo di fraterno zelo

Stai fra duolo e piacer, nel tuo germano

Venera un serafin sotto uman velo.

O sante cure non disperse in vano

Del pio, sublime, generoso Alberto309,

Splendor d’Italia, gloria di Milano!

Almo Visconti, che nel calle aperto

Alla gloria, de’ tuoi segui il cammino,

Tu pure avrai della grand’opra il merto.

Del sacerdote temporal patrino,

L’uffizio or fai, di Teodosio a lato,

Che feo Giuseppe col Fanciul divino.

Quel che i piedi, le mani ed il costato

Ebbe in Assisi dal buon Dio ferito,

A te il caro suo figlio ha consegnato.

Oh giorno, oh giorno di celeste invito!

Giorno di festa, e d’allegrezza santa!

Ecco il gran sacrifizio è ormai compito.

Osanna, osanna, su nel Ciel si canta;

Te Deum laudamus cantasi nel tempio.

Benedetto l’autor di gloria tanta!

Prendete, o figli, dal garzon l’esempio:

È la corda, che cinge il di lui fianco,

La fiomba che schiacciò la testa all’empio.

Brugora, chi mi feoardito e franco

Per salir alto fra l’eterne sfere,

Dove non giunsi col mio stile unquanco?

Male s’accorda il comico mestiere

Coll’altare di Dio, col sacerdozio:

Labili son le scene, e lusinghiere.

È ver che col Teatro non m’assozio;

Derido il vizio, e la virtute onoro,

E odio le genti che si pascon d’ozio.

Ma quantunque sia casto il mio lavoro,

Entrar pavento collo stil profano

Dove soglion cantar gli Angioli in coro.

Gradisca il vostro cuor gentile umano

Il buon desio, ’ve mancami il talento,

E il vostro santo amabile germano

All’altare per me dica un Memento.

 

 





p. -
308 Il padre del sacerdote.



309 S. E. il Sig. Marchese D. Alberto Visconti.



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