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L’OMBRA DI TITO LIVIO
IN OCCASIONE CHE LA NOBIL DONNA LUCIA MEMO VESTE L’ABITO RELIGIOSO CISTERCIENSE NEL NOBILISSIMO MONISTERO DI S. MARIA DELLA CELESTIA PRENDENDO IL NOME DI ANGELA ELETTA MARIA CAPITOLO
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IN OCCASIONE CHE LA NOBIL DONNA LUCIA MEMO VESTE L’ABITO
RELIGIOSO CISTERCIENSE NEL NOBILISSIMO MONISTERO DI S. MARIA
DELLA CELESTIA PRENDENDO IL NOME DI ANGELA ELETTA MARIA
Caelestia dir non vuol cose celesti?
Quarant’anni saran che l’ho imparato
Sopra l’Emanuele e in altri testi.
Onde chi di Caelestia il nome ha dato
Al santo monister di cui ragiono,
Un recinto celeste ha immaginato.
E disse il ver, poiché colà vi sono
E d’Innocenza e Penitenza il trono.
E le fanciulle colà dentro entrate,
Fate il conto sien morte e seppellite,
Ed alla grazia del Signor rinate;
Ché, quantunque di carne sien vestite,
La carne è in lor mortificata in guisa
Che i rei nemici non le pon far lite.
E se dal mondo l’anima è divisa,
E avvilito è il poter di Satanasso,
Anche il corpo mortal s’imparadisa.
Dio, che scese per noi dall’alto al basso,
Diè tanta gloria alla natura umana
Che al Ciel può alzarsi senza mover passo.
E colla santa imitazion cristiana
Di Passïon può superare il pondo
Chi dal suo Condottier non si allontana.
Donne, che siete avviticchiate al mondo,
E dite: Son di carne, e son tentata;
Ascoltatemi ben, ch’io vi rispondo.
Mettete una fanciulla appena nata
Dove non giunga di lusinghe il suono,
Dove colla pietà cresca educata,
E lasciatene un’altra in abbandono
Fra la turba del popolo scorretto,
Tra le follie che abituate or sono,
E vedrete in entrambe il vario effetto:
La prima riescirà di buon costume,
E tinta l’altra del comun difetto.
E dir dovrà chi di ragione ha il lume:
Non è la carne, che ad errar ci appella,
Ma l’esempio vi appicca il sudiciume.
Dite (se Dio vi salvi) a una donzella
Come nascer potria la brama in core
Di piacer, di adornarsi, e farsi bella?
Della madre l’esempio e delle suore
In man le pone gl’istrumenti, e insegna
Consumare allo specchio i giorni e l’ore.
Vede l’amica, che coprir s’ingegna
Di purpureo color la guancia oscura,
E apprender l’arte, e d’imitar s’impegna.
E, con ferro tenace, oltre natura,
Dilatando la fronte, e spianta, e svelle
I folti crini, e il rio dolor non cura.
Strignere i fianchi e tormentar la pelle,
I piè storpiare ed impiagar la gola,
Tutto si può soffrir per parer belle.
E se stare in ginocchio un’ora sola
E costretta all’altare, o a confessarsi,
Svenir si sente, povera figliuola.
Chi insegna alle fanciulle il coricarsi
Quando annunziano i galli il nuovo giorno,
E a nona, o a vespro, dalle piume alzarsi?
E aver d’amanti una caterva intorno
Alla mensa, al passeggio, al tavoliere,
E a chiesa ancor, di religione a scorno?
E chi le rende orgogliose, altere,
Moleste in casa e fuor di casa ardite,
E vane e ambizïose e lusinghiere?
Ah donne mie, per carità, non dite,
Che la carne è cagion di tanti mali.
Ché arditamente vi dirò: Mentite.
Mirate quante vergini claustrali
Sono, qual siete voi, di carne umana,
E a voi non son nel pensamento uguali.
Lucia mirate, che la scusa vana
Oggi rinfaccia a chi addossar pretende
A fral natura costumanza insana.
Se di nobil disio l’anima accende,
Non cambia, no, d’umana spoglia il velo,
Ma degno albergo di virtute il rende.
E il buon costume, e il buon esempio, e il zelo
Fa che donna mortal, vivendo ancora,
Angiola sembri accostumata al Cielo.
Ma per escir del tristo secol fuora
Dio pregò tanto, che accordolle al fine
Fra le cose celesti aver dimora.
Non si spogliò delle terrestri membra,
Ma degli affetti e dell’inutil crine.
Ora è donna qual fu, ma tal non sembra;
Ha l’aspetto mortale e il cuor divino,
E del primo esser suo non si rimembra.
Più non rimembra che l’avea il destino
Collocata fra gli agi, in nobil tetto,
Fra lo splendor del veneto domino;
E dell’illustre genitor l’affetto,
E della madre l’amoroso affanno,
Rammenta sì, ma non le turba il petto.
Anzi sua gioia e suo piacer si fanno
Le rimembranze dei materni esempi,
E le suore e i germani in cuor le stanno;
Ché l’egregia famiglia ai tristi tempi
Non conforma il disio, ma virtù apprezza,
E abborre il vizio, e non perdona agli empi.
E la prode donzella, ai voli avvezza
Di santa educazion dal pio consiglio,
Giunse in tenera etade a tanta altezza;
E trattenuta nel comune esiglio
L’anima grande dalla terrea veste,
Ha rivolto all’empireo il cuore e il ciglio.
Donne, garrule donne al mondo infeste,
Non dite, no, che la natura impegna.
Vergine saggia alle fanciulle oneste
Ad esser sante, anche vivendo, insegna.