Carlo Goldoni
Componimenti poetici

L’OMBRA DI TITO LIVIO

IN OCCASIONE CHE LA NOBIL DONNA LUCIA MEMO VESTE L’ABITO RELIGIOSO CISTERCIENSE NEL NOBILISSIMO MONISTERO DI S. MARIA DELLA CELESTIA PRENDENDO IL NOME DI ANGELA ELETTA MARIA   CAPITOLO

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IN OCCASIONE CHE LA NOBIL DONNA LUCIA MEMO VESTE L’ABITO

RELIGIOSO CISTERCIENSE NEL NOBILISSIMO MONISTERO DI S. MARIA

DELLA CELESTIA PRENDENDO IL NOME DI ANGELA ELETTA MARIA

 

CAPITOLO

 

Caelestia dir non vuol cose celesti?

Quarant’anni saran che l’ho imparato

Sopra l’Emanuele e in altri testi.

Onde chi di Caelestia il nome ha dato

Al santo monister di cui ragiono,

Un recinto celeste ha immaginato.

E disse il ver, poiché colà vi sono

Angeli puri ed anime beate,

E d’Innocenza e Penitenza il trono.

E le fanciulle colà dentro entrate,

Fate il conto sien morte e seppellite,

Ed alla grazia del Signor rinate;

Ché, quantunque di carne sien vestite,

La carne è in lor mortificata in guisa

Che i rei nemici non le pon far lite.

E se dal mondo l’anima è divisa,

E avvilito è il poter di Satanasso,

Anche il corpo mortal s’imparadisa.

Dio, che scese per noi dall’alto al basso,

Diè tanta gloria alla natura umana

Che al Ciel può alzarsi senza mover passo.

E colla santa imitazion cristiana

Di Passïon può superare il pondo

Chi dal suo Condottier non si allontana.

Donne, che siete avviticchiate al mondo,

E dite: Son di carne, e son tentata;

Ascoltatemi ben, ch’io vi rispondo.

Mettete una fanciulla appena nata

Dove non giunga di lusinghe il suono,

Dove colla pietà cresca educata,

E lasciatene un’altra in abbandono

Fra la turba del popolo scorretto,

Tra le follie che abituate or sono,

E vedrete in entrambe il vario effetto:

La prima riescirà di buon costume,

E tinta l’altra del comun difetto.

E dir dovrà chi di ragione ha il lume:

Non è la carne, che ad errar ci appella,

Ma l’esempio vi appicca il sudiciume.

Dite (se Dio vi salvi) a una donzella

Come nascer potria la brama in core

Di piacer, di adornarsi, e farsi bella?

Della madre l’esempio e delle suore

In man le pone gl’istrumenti, e insegna

Consumare allo specchio i giorni e l’ore.

Vede l’amica, che coprir s’ingegna

Di purpureo color la guancia oscura,

E apprender l’arte, e d’imitar s’impegna.

E, con ferro tenace, oltre natura,

Dilatando la fronte, e spianta, e

I folti crini, e il rio dolor non cura.

Strignere i fianchi e tormentar la pelle,

I piè storpiare ed impiagar la gola,

Tutto si può soffrir per parer belle.

E se stare in ginocchio un’ora sola

E costretta all’altare, o a confessarsi,

Svenir si sente, povera figliuola.

Chi insegna alle fanciulle il coricarsi

Quando annunziano i galli il nuovo giorno,

E a nona, o a vespro, dalle piume alzarsi?

E aver d’amanti una caterva intorno

Alla mensa, al passeggio, al tavoliere,

E a chiesa ancor, di religione a scorno?

E chi le rende orgogliose, altere,

Moleste in casa e fuor di casa ardite,

E vane e ambizïose e lusinghiere?

Ah donne mie, per carità, non dite,

Che la carne è cagion di tanti mali.

Ché arditamente vi dirò: Mentite.

Mirate quante vergini claustrali

Sono, qual siete voi, di carne umana,

E a voi non son nel pensamento uguali.

Lucia mirate, che la scusa vana

Oggi rinfaccia a chi addossar pretende

A fral natura costumanza insana.

Se di nobil disio l’anima accende,

Non cambia, no, d’umana spoglia il velo,

Ma degno albergo di virtute il rende.

E il buon costume, e il buon esempio, e il zelo

Fa che donna mortal, vivendo ancora,

Angiola sembri accostumata al Cielo.

Ma per escir del tristo secol fuora

Dio pregò tanto, che accordolle al fine

Fra le cose celesti aver dimora.

E giunta al beatifico confine

Non si spogliò delle terrestri membra,

Ma degli affetti e dell’inutil crine.

Ora è donna qual fu, ma tal non sembra;

Ha l’aspetto mortale e il cuor divino,

E del primo esser suo non si rimembra.

Più non rimembra che l’avea il destino

Collocata fra gli agi, in nobil tetto,

Fra lo splendor del veneto domino;

E dell’illustre genitor l’affetto,

E della madre l’amoroso affanno,

Rammenta sì, ma non le turba il petto.

Anzi sua gioia e suo piacer si fanno

Le rimembranze dei materni esempi,

E le suore e i germani in cuor le stanno;

Ché l’egregia famiglia ai tristi tempi

Non conforma il disio, ma virtù apprezza,

E abborre il vizio, e non perdona agli empi.

E la prode donzella, ai voli avvezza

Di santa educazion dal pio consiglio,

Giunse in tenera etade a tanta altezza;

E trattenuta nel comune esiglio

L’anima grande dalla terrea veste,

Ha rivolto all’empireo il cuore e il ciglio.

Donne, garrule donne al mondo infeste,

Non dite, no, che la natura impegna.

Vergine saggia alle fanciulle oneste

Ad esser sante, anche vivendo, insegna.

 

 


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