Carlo Goldoni
Componimenti poetici

L’OMBRA DI TITO LIVIO

DEL SIGNOR ABATE PIETRO CHIARI POETA DI S. A. S. IL SIG. DUCA DI MODENA   ANACREONTICA

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DEL SIGNOR ABATE PIETRO CHIARI

POETA DI S. A. S. IL SIG. DUCA DI MODENA

 

ANACREONTICA

 

Tutto si cangia:

Cangian le sfere,

Terre ed oceani,

Monti e riviere,

Per inviolabile

Legge del Ciel.

Dal meglio al pessimo

Natura frale

Volge, e rivolgesi

Dal ben al male.

Dal alle tenebre,

Dal caldo al gel.

Per metamorfosi

spesse e strane

Son più soffribili

Le cose umane

Che annoiarebbero

Senza cangiar.

Goldoni egregio,

in Ippocrene

E sulle comiche

Venete scene

Chi di noi meglio

L’ebbe a provar?

Sempre novissime

Vuol questo e quello

Per sin le regole

Del buon, del bello,

Che invarïabili

Febo ci die.

Oggi si accusano

Le ascree sorelle

Di ciò che alzavasi

Ieri alle stelle;

E mai, chi ascoltale,

Pago non è.

Il vol d’un’aquila

Non par fatica,

E il passo esaltasi

D’una formica,

Senza riflettere

Qual sia miglior.

Al buono e al meglio

Volti del paro,

Sentiamo applaudersi

Dal volgo ignaro

Quello che costane

Meno sudor.

Oh dura e misera

Sorte de’ vati

Da instabil genio

Pur condennati

Che instabil abbiano

Stile e pensier.

Se note varie

Di gioia e affanno

Le tibie comiche

Temprar non sanno,

Di dar non sperino

Lungo piacer.

Le più ridevoli

Spesse vicende,

O le più tragiche

Scene tremende

Il genio appagano

Di novità.

Il nuovo è l’anima

Del mondo intero

Che ama confondere

Col bianco il nero,

E rinnovandosi

Bello si fa.

Tra sì variabili

Cose create

Dimmi, o degnissimo

Comico vate,

Come una femmina

Qui non cangiò?

Come quest’inclita

Nobil donzella

Che il secol lascia

Per la sua cella,

Quanto ebbe al secolo

Qui non lasciò?

A lei troncandosi

Le crespe chiome,

Qual prima avealo

Conserva il nome,

E chi sa darmene

Qualche ragion?

Taci; ché il tripode

Nostro di Delo

Essendo mutolo,

Me ’l dice il Cielo;

E i vati increduli

Al Ciel non son.

Questa, egli dicemi,

Vergine pia

Serba oggi il solito

Nome di pria;

Onde conoscersi

Possa quaggiù.

Tanto in angelico

Spirito eterno

Fia che trasformila

L’Amor superno,

Che non più appaia

Qual ella fu.

Non in lei l’indole

Sua verginale,

Non altra grazia

Più naturale

Farà distinguerla

Fra pochi .

Perché distinguanla

Al nome almeno

Que’ che

Veggion dal seno,

Scritto è che chiamisi

Sempre così.

Oh di quest’angelo

Padre felice!

Oh felicissima

Sua genitrice!

Un nome simile

Chi le serbò?

Poco restandovi

D’una tal figlia,

Che all’uman genere

Più non somiglia,

Nel nome patrio

Quanto restò!

Quanto pur restati,

Poeta amico,

Perché tu dicane

Più che io non dico,

Nota ella essendoti

Meglio che a me!

Io questi limiti

Metto al mio canto,

Onde sentendola

Nomar soltanto

Dicano i posteri:

Donna non è.

 

 


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