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IN RISPOSTA AL SIG. AB. PIETRO CHIARI
Che puoi dell’etera
Coll’istancabile
Se tal m’onorano
Per teco alzarmi,
Del mio confin.
Pur gratitudine
Da la mia lira
Se d’una vergine
Per me tu canti,
Se a me si volgono
Ch’io teco tacciami
Dover non è.
Fra innumerabili
Cui le tue pingono
Questa concedimi
Di rimarcar.
I carmi miei,
Ch’io teco provimi
Ma deh perdonami
S’io non ti celebro
Poiché la critica
Con vicendevole
Sì. Tu sei l’aquila.
Io la formica.
Senza fatica;
Più d’una volta,
Che in me si tolleri
Ed è giustizia
Che a te si fa.
Dall’omai sterile
Che or ti presento,
Perché non cambiasi
Di questa il nome,
Oh come facile
Sapesti! oh come,
Di lei cantar!
Che ogni donzella,
Per farsi bella
Cambiare ancor.
E che una vergine,
Che santamente
In Dio trasformasi
Più in sé non ha.
Onde per essere
Chiamar si fa.
Il ver confessoti
Di penetrar.
La può trovar.
Però dell’inclito
Suo genitore
Quanto è lor cara,
Lor non può affliggere
Per questo il sen.
Quel Dio medesimo
Che a lor la diede,
Per sé la chiede,
Delle più deboli
Di se medesime
Che mai non fecero
Con tanto zelo
Potesse libera
Il suo destin?
Poiché la videro
Teco la nobile
Ma non egual.