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L’OMBRA DI TITO LIVIO
PER GLI SPONSALI FRA IL NOBIL UOMO SIG. MARCO PRIULI, E LA NOBIL DONNA EUGENIA DONŔ AL SIGNOR SANTIROTA SONETTO COLLA CODA
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PER GLI SPONSALI FRA IL NOBIL UOMO SIG. MARCO PRIULI,
AL SIGNOR SANTIROTA SONETTO COLLA CODA
Talun per domandar modestamente,
Da te, dice, Goldon, vorre’ un sonetto,
Qual se un sonetto, buon passabilmente,
Non costasse fatica all’intelletto.
Quando chiesto mi fu, sinceramente
Non ne fo, non so farne, a tutti ho detto;
Faccio più volentier, più facilmente,
Un capitolo, un’oda, un poemetto.
Altro non vi volea, perch’io ’l facessi,
Che il divieto di farlo. Siam noi vati
Dominati talor da un estro matto.
Mi diceste di far quel ch’io volessi,
Che tutti i versi miei vi sarien grati,
Fuorché un sonetto, ed i’ un sonetto ho fatto.
Ma voglio ad ogni patto
Che scontento di me non siate appieno,
Col porvi sotto un po’ di coda almeno.
Destavi il mio sonetto, lacerate
Quello; e la coda, se vi par, stampate,
Ch’altre se ne son date,
Composizion bellissime alla moda,
Che pon star senza capo e senza coda:
D’una penna immortal toscana, pura,
A dispetto dell’arte e di natura.
Una Raccolta aver dal Santirota
Di gente all’ordin letterario nota;
Non come tante, vuota,
O mal piena d’inutili sermoni,
O di critiche al Chiari ed al Goldoni:
Che sdegnano di star co’ ma’ poeti,
Che non son, quanto basta, oscuri e vieti.
Che il mio sonetto e questa vil codaccia
Non farà loro arroventar la faccia.
Con simil lezzo d’imbrattar le carte,
Che non si stampi, o che si stampi a parte.
Non facciasi tal onta e tal sopruso,
Contento andrò dalla Raccolta escluso:
Carmi offrir da più d’un stupendi e rari,
Purché non v’entri né il Goldon, né il Chiari.
Anche i miei versi, non vi tengo a bada:
Eccoli, e sia di lor qual più v’aggrada.
Ch’uso vogliate far delle mie note,
Quel che ho scritto finor, cassar si punte;
Ché son troppo remote
Dal venerando altissimo soggetto
Le inezie che finor, scherzando, ho detto.
Si laceri la coda, e se vi pare,
Principiate da qui, se si ha a stampare.
Vera consolazion del sesso nostro,
Bene sparso è per voi pianto ed inchiostro.
È giustizia, è dovere; è nobil vanto,
E viltade non è d’amore il pianto.
Chi resister mai può di due pupille,
Piene di soavissime faville?
Deh mille volte e mille
Cantisi lo splendor della bellezza,
Veracissimo fonte di dolcezza.
Donne gentili, di letizia piene,
Su la terra non abbia un dì di bene.
Tu che togliendo ogni timor dal petto,
Rendi il tenero amor dolce e perfetto,
Sia lo tuo laccio e la tua fiamma pura,
Vita del mondo, vita di natura.
Chiama la face tua, vivente ingrato,
Merta non respirar, non esser nato:
De’ torti suoi vendicatore astuto,
Aspetti a farlo innamorar canuto.
Ché tale è lo statuto
Dell’impero d’amor: Chi in giovinezza
Beffe si fe’ di lui, pianga in vecchiezza.
La pace e l’allegrezza
Amore ed Imeneo spargano a gara
Sopra questa d’eroi coppia preclara:
D’amare e riamar da virtù sola,
Che ogni tristezza e ogni sospetto invola.
Di tetto in tetto a saettar i cuori,
Coronato vegg’io di rose e allori.
Rendetegli gli onori,
Donne, che a lui si denno; e voi che osate
Il fanciullo oltraggiar, di lui tremate.
Marco ed Eugenia, e ad imparar da loro
Ite, qual sia dell’alme Amor ristoro.
Sposo gentil, magnanimo e cortese,
Cui pria la patria, e poi Cupido accese,
L’illustre sangue a rinnovar t’invita;
Ama la sposa, e i tuoi grand’avi imita.
D’eccelso genitor, sposa gentile,
Che incontro vai a tanta gloria umile,
Di bontade che avesti ognora in pregio,
Ché di donna bontade è il maggior fregio;
Tuo ben soltanto, e la tua pace attendi,
E per prezzo d’amore, amor gli rendi.
Bella dea d’Amatunta... Ah, Santirota,
La via ch’io presi è al mio costume ignota.
Cosa sa d’Amatunta e di Ciprigna?
Veggio già chi mi guata e chi sogghigna;
Perché ho posta la man nell’altrui messe:
Cose che a’ pari miei non son permesse.
Vorrei, se si potesse,
Correggere l’error, ma il tempo è breve,
E la fatica a questi dì m’è greve.
Tutto, dal mezzo in giù, quel ch’ora ho scritto
Che stamparlo com’è, saria un delitto.
Era meglio per me; se via togliete
Il principio ed il fin, che cosa avrete?
Un galantuom voi siete:
Se una frulla non val la mia canzone,
Vi appagherete almen dell’intenzione.
Delle Opere mie, che or fo stampare,
Voi mi farete gli sposi associare.