Carlo Goldoni
Il prodigo

ATTO TERZO

SCENA VENTUNESIMA

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SCENA VENTUNESIMA

 

LEANDRO e detti.

 

LEAN. Signora Clarice, il burchiello è pronto, i barcaruoli son lesti e dicono che bisogna sollecitare.

CLAR. Signor Leandro, vi ringrazio infinitamente della vostra attenzione. Mi dispiace dell'incomodo che vi siete preso; ma ora non sono più in arbitrio di disporre di me medesima, dovendo dipendere dallo sposo.

LEAN. Dallo sposo? E chi è questi?

MOM. Son mi, per servirla. (a Leandro)

LEAN. Questo è un affare condotto in simil guisa, affine di maggiormente insultarmi. Non so da chi provenga l'ingiuria, né vuò saperlo; ma voi me ne dovrete dar conto. (a Momolo)

MOM. Sior sì, quando che volè; adesso gh'ho spada e scudo, che no gh'ho paura.

CLAR. È superfluo che vi riscaldiate; sapete già... (a Leandro)

LEAN. So quel che volete dirmi. Di me non avete mai fatto conto. Lo doveva comprendere; merito ancora peggio, e colle donne saprò regolarmi meglio per l'avvenire. (parte)

MOM. Bon viazo; a revederse co se vederemo.

 

 

 


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