Carlo Goldoni
Il raggiratore

ATTO SECONDO

SCENA NONA

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SCENA NONA

 

Donna Claudia ed il conte

 

CON. (Sono in un brutto impegno con costei. Temo che la mia disinvoltura non basti). (da sé)

CLA. (È stata molto male allevata questa signora Contessa) (da sé)

CON. Ho fatto bene, cred’io, a levar di dov’era la povera mia sorella.

CLA. Per dir il vero, così non vi consiglio produrla, se non acquista prima un poco di mondo.

CON. Ha dello spirito. Mi lusingo non sarà difficile il rimediarvi, e poi colla scorta di una dama così gentile...

CLA. Per voi farò quanto mi sarà permesso di fare. Ma giacché l’accidente ci fa restar soli, varie cose ho da dirvi, Conte mio.

CON. Son qui per ascoltarvi, signora.

CLA. Voglio prima ringraziarvi delle vostre finezze...

CON. Risparmiatemi i complimenti. Avete ricevuto l’astuccio?

CLA. Sì, ma per accidente

CON. Come per accidente?

CLA. Lo trovai di Metilde in mano.

CON. (Quel briccone di Arlecchino!) (da sé)

CLA. E vorrei sentire dalla vostra sincerità il principio di questa cosa che non intendo.

CON. (Conviene indovinare, per accomodarla se fia possibile). (da sé) Io so certo, che mi son preso l’ardire di inviarvi per Arlecchino un astuccio.

CLA. E non altro?

CON. E una scatola ancora.

CLA. La scatola me l’ha recata.

CON. (Questa l’ho indovinata). (da sé)

CLA. Ma l’astuccio in mano della figliuola?

CON. Chi sa che diamine possa aver fatto colui? È uno sciocco da non valersene. Pure me ne vaglio, perché ha l’accesso libero in casa vostra; ed è poi anche fedele, ma delle castronerie me ne ha fatte ancora. L’ho veduto ritornare da me pallido e confuso. Dubitai quasi, che qualche cosa avesse perduta.

CLA. Dissemi appunto, che l’avea perduto l’astuccio.

CON. Ecco, la cosa è così. Egli l’averà perduto, e la figliuola l’averà ritrovato.

CLA. Questo ancora può darsi.

CON. Ora l’avete voi l’astuccio?

CLA. L’ho io.

CON. La scatola ancora?

CLA. Ancora

CON. Ho piacere. (Come l’aggiusterò con donna Metilde?) (da sé)

CLA. Vi ringrazio dunque...

CON. Non parliamo altro. Vi supplico d’aggradire.

CLA. Tant’è vero ch’io l’aggradisco, che della vostra scatola ne faccio uso. Eccola qui con del rapè, che non è cattivo. (tira fuori la scatola)

CON. Sentiamolo, se vi contentate.

CLA. Mi fate onore. (apre la scatola, il Conte prende tabacco. Donna Claudia osserva i manichetti del Conte)

CLA. (Questo manichetto mi par di conoscerlo). (da sé)

CON. Il tabacco è prezioso. Merita una tabacchiera migliore.

CLA. Conte, favoritemi lasciarmi vedere quel bel ricamo. (accenna il manichetto)

CON. (Diavolo! è il regalo della figliuola: non vorrei che lo conoscesse). (finge di seguitare a prender tabacco)

CLA. Si può vedere?

CON. Ora, subito. (Me li ho fatti attaccare alla camicia per mostrar d’aggradirli, ma dubito aver fatto male. Vi vuol giudizio). (da sé fingendo gustare il tabacco)

CLA. (Questa renitenza m’insospettisce). (da sé)

CON. Compatite, ho voluto gustare sino all’ultima polvere il vostro tabacco. Eccomi da voi. Vi piace questo ricamo?

CLA. Non mi dispiace. Anzi, se devo dirvi il vero, somiglia tanto a certi manichetti che ho comperati per don Eraclio, che paiono quelli stessi.

CON. Possono essere fatti dalla stessa mano.

CLA. Favorite. (li osserva bene)

CON. Accomodatevi pure. (In ogni modo si ha da salvar la ragazza). (da sé)

CLA. Questo segno non falla. Un taglio accomodato mi assicura che sono quelli: per ragione di un tal difetto, li ho avuti per meno di quello valerebbono, se non ci fosse.

CON. Quanto li avete pagati, signora?

CLA. Ventisei paoli.

CON. Ed io li ho avuti per dodici. In fatti un tal prezzo mi ha fatto dubitare che sieno stati rubati, ed ora mi confermo nell’opinione.

CLA. Li averanno rubati a me dunque.

CON. Potrebbe darsi; e se vostri sono, ve li manderò sino a casa.

CLA. No, no, teneteli pure. Ho piacere che voi li abbiate ma vo’ ben sapere da chi mi sieno stati involati. Nella mia camera altri non viene, per ordinario, che la figliuola e la cameriera.

CON. Il sospetto non può cadere che sopra la cameriera.

CLA. Disgraziata! mi sentirà or ora.

CON. Non fate strepito per così poco, signora.

CLA. Non è il valore, ma l’azione, l’infedeltà, il pericolo, che mi fa riscaldare.

CON. Si licenzia la cameriera, e non vi è necessità di scaldarsi.

CLA. La licenzierò come merita.

CON. (Povera diavola! me ne dispiace; ma non so che farle). (da sé)

CLA. Sa il cielo, che cosa mi può avere rubato.

CON. Non v’inquietate ora fuor di proposito.

CLA. Le mie gioje, povera me!

CON. (Non vi è pericolo. Sono al Monte, ma non crede ch’io lo sappia). (da sé)

CLA. E se mio marito giungesse a sapere che mi mancassero gioje o altro, farebbe il diavolo contro me.

CON. (Don Eraclio ha mangiato la parte sua). (da sé)

CLA. (Può essere questo un pretesto buono per chiedergli i mille scudi in imprestito, per ricuperare le gioje. Convien differire per ora). (da sé)

CON. (Converrà ch’io veda d’informare donna Metilde). (da sé)

CLA. Conte, se mai quella ladraccia della Jacopina mi avesse rubato le gioje, per amor del cielo, che non lo sappia don Eraclio: aiutatemi voi a ricuperarle.

CON. Non pensate ora a simili malinconie.

CLA. Ma dato il caso fossi presaga del vero, mi aiuterete voi, Conte?

CON. Se la Jacopina vi averà rubato le gioje, m’impegno da cavaliere di ricuperarle io.

CLA. Calmo le mie agitazioni sulla vostra parola. Permettetemi che vada ad assicurarmene.

CON. Vi servirò, signora. (Mi preme farlo sapere alla figlia). (da sé)

CLA. Ecco mio marito. Non diamo ombra a lui dei nostri sospetti.

CON. No, niente. Sforzatevi a dissimulare la tema. (Capisco che mi vorrebbe frezzare, ma non fa niente). (da sé)

 

 

 


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