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Donna Claudia, don Eraclio; poi Carlotta
ERAC. Non avete avuto tempo di dirglielo?
CLA. Non ho trovato la via d’introdurmi. Ma a casa spero d’avermi aperto l’adito per poterlo fare.
ERAC. Fatelo presto. Ma avvertite, salvo sempre il decoro.
CLA. Questo mi sta a cuore quanto a voi, e forse più ancora.
ERAC. Non degeneriamo dal nostro sangue. Avete veduto ancora la sorella del Conte?
CLA. L’ho veduta, e mi ha sorpreso trovarla così male istrutta nella vita civile... Eccola, osservatela, se pare mai una dama.
CARL. Non è più qui mio fratello?
CLA. Non signora; è partito per un affare.
ERAC. Ho il piacere anch’io di riverire e conoscere la signora Contessa, sorella del conte Nestore mio buon amico.
CARL. Serva sua. (Ora sono imbrogliata, che non c’è mio fratello). (da sé)
CLA. Questi è mio marito. (a Carlotta)
ERAC. Sì! mi chiamo don Eraclio degli Eraclidi, signore delle trentasette città.
ERAC. Oggi verrete a desinare con noi.
CLA. Il Conte vostro fratello ha detto che seco lui ci favorirete.
CARL. Appunto cercava di mio fratello, per domandargli che minestra voleva questa mattina.
ERAC. Questo non tocca a voi, tocca alla servitù. La damina nostra figliuola, dacché è nata al mondo, non ha veduto le soglie della cucina.
CARL. Oh, io poi ho sempre fatto di tutto in casa mia.
CLA. In casa vostra? Non siete stata voi in ritiro?
CARL. È vero; ma... (Mi confondo). (da sé)