Carlo Goldoni
Il raggiratore

ATTO TERZO

SCENA QUATTORDICESIMA

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SCENA QUATTORDICESIMA

 

Messer Nibio e detti.

 

NIB. Dove sono questi figliuoli?

JAC. Chi è costui? (ad Arlecchino)

ARL. El padre del conte Minestra.

JAC. Voi mi burlate. (ad Arlecchino)

ARL. Domandèghelo a elo.

JAC. Voi siete il padre del conte Nestore? (a Nibio)

NIB. Sì, io sono il padre di quello che si fa creder Conte. La mia sincerità non soffre di secondare la sua impostura; e stimo più l’onore di essere un galantuomo, quantunque povero, di quello sia  i titoli, le ricchezze, e la vanità.

JAC. Oh bella, oh bella davvero!

ARL. No ve l’oggio dito? (alla Jacopina)

JAC. Come si chiama vostro figliuolo? (a Nibio)

NIB. Pasquale.

JAC. E la figlia?

NIB. Carlotta.

JAC. La contessa Carlotta?

NIB. Ella è da me fuggita per rintracciare il fratello. L’ho seguitata sulle traccie avute della sua fuga. Li ho ritrovati ambedue, grazie al cielo, per via di quest’uomo dabbene... (accenna Arlecchino)

ARL. Ma gh’ha volesto del bello e del bon de capir chi el domandava. Se no el nominava el nome de Carlotta, giera impossibile che mi me insuniasse, che el conte Manestra fusse missier Pasqual.

NIB. Dove son eglino questi pazzi de’ miei figliuoli?

JAC. Saranno a tavola coi miei padroni.

NIB. Dite loro che è qui suo padre.

JAC. Venite con me, galantuomo. Come vi chiamate?

ARL. El m’ha dito che el gh’ha nome Nibio.

JAC. Andiamo. (Diceste bene che la scena voleva esser graziosa). (ad Arlecchino)

ARL. (A vu mo tocca a farla ancora più bella). (a Jacopina)

JAC. (Lasciate fare a me, che la vocondire). (ad Arlecchino) (Mi vogodere le mie padrone, che si credevano essere servite dall’illustrissimo signor Conte). (da sé, e parte)

NIB. Non vo’ che i miei figliuoli si arricchiscano colla bugia: sono un uomo d’onore, e tal sarò fin che io viva. (parte)

ARL. Voggio andarmelo a gòder anca mi sior Conte. Oh, quanti de sti Conti incogniti, se se podesse véder de chi i xe fioli, i deventerave tanti Pasquali. (parte)

 

 

 


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