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La Jacopina e detti; poi messer Nibio
JAC. C’è uno che domanda del signor Conte.
CON. E chi è che mi vuole?
ERAC. Sarà quello dei mille zecchini. Fatelo venire innanzi.
CON. Si può sapere chi sia?
JAC. Non lo conosco. (Non gli vo’ dire chi sia, per godere la bella scena). (da sé)
ERAC. Vediamolo chi è, fatelo venire.
JAC. Subito. (Oh come vuol restar brutto il signor Conte! Ma se lo merita, che voleva ingannare la povera padroncina). (da sé, e parte)
ERAC. Se fosse quello che vi porta il denaro, non abbiate soggezione di noi; dopo che averemo mangiato, potrà contarlo qui sulla tavola.
CON. (Ohimè! chi vedo mai?) (da sé)
NIB. Con licenza di lor signori.
ERAC. Un villano? che vuoi tu qui? (adirato)
NIB. Vengo in traccia de’ miei figliuoli.
ERAC. E dove sono i figliuoli tuoi?
NIB. Eccoli qui: Pasquale e Carlotta.
CON. (Son perduto). (da sé) Sarà un pazzo costui, non gli badate, signori.
NIB. Hai tanto ardir, temerario, di dir pazzo a tuo padre?
CARL. Mi maraviglio di voi, fratello, che strapazzate così nostro padre. Sì signore, egli è messer Nibio, io sono Carlotta sua figlia, e il conte Nestore è Pasquale suo figlio.
ERAC. Ercole, Ercole, dove sei?
CON. (Ah, che ad un colpo simile non so resistere. La natura tradisce la consueta mia intrepidezza; sento avvilirmi. Arrossisco in faccia di chi mi vede). (da sé) Signori... io sono... Mi maraviglio di chi non crede... Ora ora... vi farò conoscere chi sono. (parte)
ERAC. Sangue degli Eraclidi assassinato!
NIB. E tu, tristarella che sei, abbandonasti questo povero vecchio padre, per seguire il pazzo di tuo fratello? Torna meco; deponi quegli abiti che ti stanno d’intorno; e vieni a riprendere la tua rocca, il tuo aratro, e la servitù di tuo padre.
CARL. Signori, la contessa Carlotta vi fa umilissima riverenza, e in ricompensa del desinare che le avete dato, v’invita in campagna a mangiare un piatto di ravanelli. (parte)
ERAC. Ercole, Ercole, dove sei?