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Donna Felicita e la Contessina Livia
Eh ben, che mi comanda? |
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FEL. |
Due volte ho supplicato Mi favorisse il Conte, né ancor si è incomodato. Cosa aveva da dirgli utile ai casi sui; Da me non è venuto, venuta io son da lui. E ritrovando uscito di casa il cavaliere, Parlar colla germana creduto ho mio dovere. Se a lei reco un incomodo, la prego condonarmi. |
Padrona; dica pure cos'ha da comandarmi. |
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FEL. |
Per il tempo passato, signora, ella saprà Ch'ebbe il di lei fratello per me della bontà. Che si degnò di farmi diverse confidenze In tempo delle sue domestiche indigenze. A lei lo posso dire, fra noi segretamente, Giurandole che alcuno nol sa, né saprà niente. Per lui, per la germana, nei giorni suoi meschini, Ebbi l'onor di dargli quattrocento zecchini. |
Bastava per averli chiedere li facesse; Saran restituiti, e ancor coll'interesse. |
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FEL. |
Ecco il frutto ch'io cerco del mio danar prestato. Bastami dir che il Conte è un cavaliere ingrato. E tanto son discreta, condiscendente e umana, Che bastami di dirlo in faccia alla germana. Non faccio altre parole; son quieta, e son pagata. Ecco sugli occhi vostri la carta lacerata. (lacera il foglio e lo getta in terra) |
Risparmiar si poteva venir nel nostro tetto Ad isfogar, signora, la rabbia ed il dispetto. |