Carlo Goldoni
Il ricco insidiato

ATTO QUARTO

SCENA UNDICESIMA   Donna Felicita e la Contessina Livia

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SCENA UNDICESIMA

 

Donna Felicita e la Contessina Livia

 

LIV.

Eh ben, che mi comanda?

FEL.

Due volte ho supplicato

Mi favorisse il Conte, né ancor si è incomodato.

Cosa aveva da dirgli utile ai casi sui;

Da me non è venuto, venuta io son da lui.

E ritrovando uscito di casa il cavaliere,

Parlar colla germana creduto ho mio dovere.

Se a lei reco un incomodo, la prego condonarmi.

LIV.

Padrona; dica pure cos'ha da comandarmi.

FEL.

Per il tempo passato, signora, ella saprà

Ch'ebbe il di lei fratello per me della bontà.

Che si degnò di farmi diverse confidenze

In tempo delle sue domestiche indigenze.

A lei lo posso dire, fra noi segretamente,

Giurandole che alcuno nol sa, né saprà niente.

Per lui, per la germana, nei giorni suoi meschini,

Ebbi l'onor di dargli quattrocento zecchini.

In prestito li chiese il cavalier bennato,

Ecco la ricevuta coll'obbligo firmato.

LIV.

Bastava per averli chiedere li facesse;

Saran restituiti, e ancor coll'interesse.

FEL.

Ecco il frutto ch'io cerco del mio danar prestato.

Bastami dir che il Conte è un cavaliere ingrato.

E tanto son discreta, condiscendente e umana,

Che bastami di dirlo in faccia alla germana.

Non faccio altre parole; son quieta, e son pagata.

Ecco sugli occhi vostri la carta lacerata. (lacera il foglio e lo getta in terra)

LIV.

Risparmiar si poteva venir nel nostro tetto

Ad isfogar, signora, la rabbia ed il dispetto.

A lei non si conviene di usarmi un'insolenza.

Di sono aspettata. Con sua buona licenza. (parte)

 

 

 


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