DOR.
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Oh che prodigio è questo! che cosa inusitata?
La tavola per tempo stamane è
preparata.
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VOL.
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Oggi il padrone ha fretta.
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DOR.
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Il padron? chi è il
padrone?
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VOL.
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Non è il signor Ferrante, che ordina e dispone?
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DOR.
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Ti avviso per tua regola, se non lo sai stordito,
Che ordina e dispone ancora mio marito.
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VOL.
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Ed il signor Rinaldo col padre unitamente
Mi hanno sollecitato.
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DOR.
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Ed io non conto niente?
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VOL.
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San che per ordinario vossignoria si lagna,
Che sempre in questa casa tardissimo si magna;
Onde di contentarla si credono così.
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DOR.
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Vogliono desinare innanzi al mezzodì?
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VOL.
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È sonato, signora.
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DOR.
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Non è ver.
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VOL.
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L'ho sentito.
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DOR.
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Tu sei un temerario, un villanaccio ardito.
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GAS.
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Compatisca, signora, il povero ragazzo.
Gliel'ha detto il padrone.
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DOR.
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Il suo padrone è un pazzo.
Sparecchiate la tavola.
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VOL.
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Ma! già che è preparata...
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DOR.
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Voglio da questa camera la tavola levata.
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GAS.
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Leviamola, Volpino. Vuol essere obbedita.
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VOL.
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(Sempre, corpo del diavolo! si ha da far questa vita). (da
sé)
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DOR.
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Cosa dici?
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VOL.
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Non parlo. (va levando le sedie)
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DOR.
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Ti spiace la fatica?
Imparerai a farlo, senza ch'io te lo dica.
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GAS.
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Ha ragion la padrona, non la volete intendere?
In ogni circostanza da lei si ha da dipendere. (prende
la cesta per riponere il pane, e Volpino leva le
sedie)
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DOR.
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Così è, Gasperina, l'ho detto e lo ridico.
Padroni e servitori non mi stimano un fico.
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GAS.
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Signora, ei non mi sente; vi giuro e vi prometto,
Forse Volpino è quello che ha per voi più rispetto.
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DOR.
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Non è tristo ragazzo.
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GAS.
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Sa quel che gli conviene.
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DOR.
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Esser non può altrimenti, se tu ne dici bene.
Facile a contentarti degli altri io non ti vedo.
Tu pensi com'io penso, e anche perciò ti credo.
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GAS.
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Il pane alla credenza, Volpino, riportate. (gli dà la
cesta del pane)
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VOL.
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Finiam di sparecchiare.
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GAS.
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Itene,
e poi tornate.
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VOL.
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(Veggo che Gasperina nel
comandar si addestra.
Non vorrei che imparasse sotto una tal maestra). (da
sé, e parte per riporre il pane)
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GAS.
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Lo vedete, se è buono? subito mi ha obbedito.
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DOR.
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Così meco facesse Rinaldo mio marito!
Par ch'ei sia nato apposta per farmi delirare.
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GAS.
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Signora, di una grazia vi vorrei supplicare.
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DOR.
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Chiedi pur, Gasperina, per te che non farei?
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GAS.
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Vo, signora padrona, pensando ai casi miei.
Ogni anno passa un anno. Vorrei accompagnarmi,
E meglio di Volpino non so desiderarmi.
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DOR.
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Per me son contentissima. Sai
che ti voglia bene?
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GAS.
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Poverino! mi adora.
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DOR.
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Sollecitar conviene.
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GAS.
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Eccolo ch'ei ritorna. Volete ch'io gliel
dica?
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DOR.
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Diglielo, ti permetto.
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GAS.
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Il ciel vi benedica.
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VOL.
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Ma voi non fate niente.
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GAS.
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Finora ho fatto assai.
Alla nostra padrona la cosa io palesai.
Ella benigna al solito, al solito pietosa,
Lascia ch'io mi mariti, e che di te sia sposa.
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VOL.
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Davvero?
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DOR.
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Io non mi oppongo; anzi, in segno di affetto,
Qualche poco di dote ad ambidue
prometto.
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VOL.
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Posso ben a ragione chiamarmi fortunato,
Se a tutta la famiglia tal matrimonio è grato.
Contento il padron vecchio,
contento il figlio ancora,
Restavami l'assenso aver dalla
signora.
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DOR.
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Il suocero e il mio sposo sono di ciò avvisati?
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VOL.
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Sì signora, con essi gli affari ho accomodati.
Ora tutto è compito, se voi me l'accordate.
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DOR.
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Di ciò ne parleremo. La mensa sparecchiate. (sostenuta)
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VOL.
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Non ne siete contenta?
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DOR.
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Prendo tempo a pensare.
La tavola frattanto seguite a sparecchiare.
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VOL.
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Gasperina...
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GAS.
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Signora... (a Dorotea, pateticamente)
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DOR.
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Voi mi parete ardita
Quando vi do un comando, voglio essere obbedita.
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GAS.
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Via, levate quei tondi. (a Volpino)
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VOL.
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(Veggovi
dell'intrico). (leva i tondi e le posate, e rimette il tutto nella cesta
bel bello)
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GAS.
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Mi parete cangiata.
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DOR.
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Sì, mi cangiai, tel dico.
Costui che da mio suocero mostra tal dipendenza,
È sedotto a sposarti per farmi un'insolenza.
Veggon che mi sei cara, e studian la maniera
Di aver dal lor partito ancor
la cameriera.
Sola veder mi vogliono, oppressa e disperata,
Ma questa volta, il giuro, non l'hanno indovinata.
Disponi della dote, consento a ogni partito,
Ma non sperar ch'io soffra Volpino a te marito.
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VOL.
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Ed io con sua licenza... (staccandosi dalla tavola)
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DOR.
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Non replicare, indegno.
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VOL.
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(Torna a sparecchiare)
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GAS.
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Voi mi avete promesso. (a Dorotea, con forza)
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DOR.
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Vuoi ti risponda un legno? (a
Gasperina, sdegnata)
La tavola tu pure a sparecchiar ti affretta.
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VOL.
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(Questa me l'aspettavo). (levando i tondi)
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GAS.
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(Fortuna maladetta!)
(levando i tondi)
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DOR.
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Trovati un altro sposo, vedrai se la padrona
Ha per te dell'amore.
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GAS.
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Neanche un re di corona. (sparecchiando)
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DOR.
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Se ti verrà più intorno quel finto, quel briccone,
Averà che far meco.
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VOL.
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Comanda il mio padrone. (sparecchiando)
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DOR.
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Se la mia cameriera mi farà un insolenza,
Io saprò castigarla.
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GAS.
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Mi dia la mia licenza. (sparecchiando)
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DOR.
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Temeraria, hai coraggio di favellar così?
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VOL.
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S'ha a parecchiar la mensa tre
o quattro volte al dì?
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DOR.
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La licenza mi chiedi? (a Gasperina)
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GAS.
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Pieghiamo la tovaglia.
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DOR.
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Parla. (a Gasperina)
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VOL.
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Leviam
la tavola. Non le badar. (a Gasperina, portando la tavola dov'era prima)
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DOR.
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Canaglia.
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GAS.
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La ringrazio, signora, del titol
che mi ha dato. (parte)
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VOL.
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Son povero figliuolo, ma
giovine onorato. (parte)
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DOR.
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Tutti son miei nemici, tutti
contro di me.
Anche la serva ingrata; ma so ben io il perché.
L'esempio dei padroni rese quel labbro ardito.
Sì, di tutti i disordini è causa mio marito.
Egli seconda il padre per i disegni sui;
Voglio ch'ei me la paghi; mi sfogherò con lui. (parte)
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