Carlo Goldoni
Lo spirito di contradizione

ATTO TERZO

SCENA TERZA   La Signora Dorotea ed il Conte Alessandro

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SCENA TERZA

 

La Signora Dorotea ed il Conte Alessandro

 

CON.

(Me l'ha detto l'amico, che mi farà impazzire.

Pur non dispero ancora. Ancor vuò proseguire). (da sé)

DOR.

(Non ho trovato al mondo un uom più compiacente

Ch'egli davver mi stima, conosco apertamente). (da sé)

CON.

(La via di guadagnarla ancor non ho trovata).

DOR.

(Alla sua gentilezza non voglio esser ingrata).

Conte, non dite nulla? Che fate voi sospeso?

CON.

Signora mia, il protesto, sono da voi sorpreso.

Più che vi tratto, io scopro in voi nuovi talenti;

La rarità mi piace dei vostri sentimenti,

E quel nobile misto di virtuoso sdegno

E di dolcezza amabile mi piace al maggior segno.

Io, vi confesso il vero, stando con voi, mi trovo

Fuor del comun sistema, quasi in un mondo nuovo.

Un uom può ritrovarsi di cento donne appresso,

Poco più, poco meno, sente ogni lo stesso.

Vantano tutte l'altre certe virtù comuni,

Che dai soliti vizi non ponno andar immuni;

Voi, con mia maraviglia, avete una virtù

Che praticando il mondo non osservai mai più:

Una mente prontissima, un intelletto aperto,

Di onore e di prudenza un nobile concerto.

La vostra intelligenza sorpassa ogni confine,

Di qualunque intrapresa voi prevedete il fine.

Esser sapete a un tempo e risentita, e umana.

Ah, chi può non accendersi d'una virtùstrana?

DOR.

Caro Conte, possibile che oggi da me venuto,

Abbiate quel ch'io sono sì presto conosciuto?

Tanti che ho praticato, da che son maritata,

Nel fondo, come voi, nessun mi ha ravvisata;

Avvezzi colle donne deboli per natura,

Suol loro una virtude sembrar caricatura.

Quell'onorato sdegno che risentire io soglio,

Credono che dipenda dall'ira e dall'orgoglio.

Ed il cambiar ch'io faccio in umiltà lo sdegno,

I sciocchi non comprendono, che di buon cuore è un segno.

CON.

Grand'ignoranza invero! io sol per mia fortuna

Scorgo quanta bellezza nel vostro cuor si aduna.

Non vi conosce il mondo, e con mia maraviglia

Siete mal conosciuta perfin dalla famiglia.

Il suocero, il marito, mi perdonino anch'essi,

Sono nel ravvisarvi dall'ignoranza oppressi.

Dovrebbero d'accordo ringraziar la sorte

D'aver sì degna nuora, sì amabile consorte.

DOR.

Anzi son essi i primi a disprezzarmi ingrati

Con titoli ingiuriosi, da me non meritati.

CON.

Voglio, signora mia, voglio, se il ciel m'aiuta,

Rendervi per giustizia da tutti conosciuta.

Sopra di me l'impegno mi prendo arditamente,

Se il vostro cor l'approva, se l'umiltà il consente.

DOR.

Conte, gli sforzi vostri temo che riescan vani.

Malagevole impresa è il persuader gl'insani.

CON.

Fidatevi di me; s'io vi conosco appieno,

D'illuminare i ciechi non mi negate almeno

S'io penso al caso vostro, sentomi venir caldo.

Vuò illuminar Ferrante, vuò illuminar Rinaldo,

E Fabrizio, e Roberto, e Gaudenzio istesso,

E i parenti, e gli amici dell'uno e l'altro sesso;

Per tutta la città voglio essere una tromba,

Non vuò che il vostro merito a un tal destin soccomba.

Voglio farvi risplendere in fatti ed in parole,

Come di mezzogiorno splendono i rai del sole.

DOR.

(Il credito del Conte mi può servir d'aiuto.

D'un fortissimo appoggio il ciel mi ha proveduto). (da sé)

 

 

 


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