Carlo Goldoni
Lo spirito di contradizione

ATTO QUINTO

SCENA ULTIMA   La Signora Dorotea e detti

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SCENA ULTIMA

 

La Signora Dorotea e detti.

 

DOR.

Perdonate, signori, se un poco ho ritardato.

FER.

Vi par poco tre ore?

DOR.

Tre ore?

RIN.

Si è mandato

A chiamarvi, signora, che son più di tre ore.

DOR.

Chi è venuto a chiamarmi?

CAM.

Volpino il servitore.

DOR.

Prima di un quarto d'ora, certo da me non fu.

FER.

Egli è da voi venuto, sono tre ore e più.

DOR.

Conte, puol esser tanto, che voi veniste qui?

CON.

Quando lo dicon tutti, dev'essere così.

DOR.

Orsù, non vuò impazzire per cosa che non preme;

Eccomi qui venuta con lor signori insieme.

Ma mi stupisco bene, che stiano in questo loco

Cogli usci spalancati, e senza un po' di foco.

FAB.

Sembrami di aver caldo, eppur sono avanzato.

GAU.

Credetemi, signora, ch'io son mezzo sudato.

DOR.

Voi che patite il freddo, vi par che abbian ragione? (a Ferrante)

FER.

Volpino.

VOL.

Mi comandi.

FER.

Apri quel finestrone.

VOL.

Subito. (va ad aprire la finestra)

FER.

(Mi contento anch'io d'intirizzire). (da sé)

DOR.

Che dite? (al Conte)

CON.

A quel ch'è vero, non si può contradire.

DOR.

Signor, per quel ch'io vedo, di me prendete gioco;

Dell'amicizia vostra posso fidarmi poco.

CON.

Questo che voi mi fate, è un torto manifesto.

In faccia a tutto il mondo lo dico e lo protesto:

Vi venero, vi apprezzo, e l'occasione aspetto

Di far valer per voi la stima ed il rispetto.

Signori, perdonatemi, parlo con quanti siete,

La sua virtù, il suo merito, ancor non conoscete,

Ed io che ho qualche pratica del cuor delle persone,

Pretendo in faccia vostra di renderle ragione.

DOR.

Il Conte non è stolido; egli può dir chi sono,

Può dir con fondamento qual penso e qual ragiono.

Mia cognata medesima può dir se nel mio petto

Per lei, per la famiglia, nutrisco un vero affetto

CAM.

Servirvi io non intendo di falso testimonio.

DOR.

Conte, a voi è palese dell'amor mio la prova.

CON.

L'opera mal diretta a meritar non giova.

DOR.

Conte, in faccia del mondo così mi difendete?

CON.

Difendervi prometto, quando ragione avrete.

DOR.

Dunque ho torto finora.

FER.

Finor, nuora carissima,

Foste dalla ragione , lontanissima.

FAB.

Non si può pensar peggio di quel che voi pensate.

RIN.

Lontan le mille miglia dalla ragione andate.

GAU.

Sono le vostre pari degli uomini il tormento.

ROB.

Sempre del ver nemica.

CAM.

Contraria ogni momento.

DOR.

Misera me! da tutti son vilipesa e oppressa.

CON.

Fatevi in tale incontro coraggio da voi stessa.

Veggano il disinganno, conoscano chi siete;

Sol che voi lo vogliate, farli smentir potete.

A chi vi crede ingrata, svelate il vostro cuore.

Ecco il tempo opportuno di meritar l'amore.

DOR.

Come! son fuor del mondo; non so dove mi sia.

Un giorno più terribile non ebbi in vita mia.

Non so di chi fidarmi; confusa, instupidita,

A mio rossor lo dico, ritrovomi avvilita.

CON.

Su via, signori miei, l'affar sollecitate.

Il contratto di nozze ciascun di voi firmate.

Questa, che voi credeste nemica della pace,

Affabile, cortese ne gode, e si compiace.

Accorda del marito non sol la soscrizione,

Accorda della dote non sol la promissione;

Ma perché si solleciti l'affar senza ritardo,

I propri capitali darà senza riguardo,

Contenta che dal suocero le siano assicurati

Sui beni della casa, uniti o separati.

Ella della cognata pronuba si dichiara,

A lei veracemente questa famiglia è cara,

E chi di contradire ardisce a quel ch'io dico,

Mi averà, lo protesto, acerrimo nemico.

Ella è una saggia donna, cui sol virtude aggrada,

Io l'onor suo difendo col labbro e colla spada.

DOR.

Capisco, e non capisco. Sono confusa affatto.

GAU.

Animo, miei signori, soscrivano il contratto.

FER.

A voi, signor Fabrizio.

FAB.

A voi, signor Ferrante.

CON.

Fermatevi, signori, vuole il dover che innante

Prometta e sottoscriva la nuora e la cognata;

Ed io non vuò permettere che sia pregiudicata.

Favorite, signora, la penna a voi tributo:

Scrivete, e a voi dettando, vi servirò d'aiuto.

«Io Dorotea Falconi dei beni estradotali

Assegno a mia cognata tanti miei capitali,

Che arrivino a formare diecimila ducati,

Quai dal signor Ferrante mi sono assicurati». (egli detta, e Dorotea scrive)

Attogeneroso chi è che lodar non vuole?

DOR.

(Non so quel ch'io mi faccia, perdute ho le parole) (da sé)

CON.

A voi, signor Rinaldo, di vostra man firmate,

E l'atto della moglie voi pure autenticate.

RIN.

Eccomi pronto anch'io.

CON.

Soscrivino all'istante

Prima il signor Fabrizio, poscia il signor Ferrante.

Ecco fatto, ecco fatto. Signor Gaudenzio ed io

Siamo i due testimoni; eccovi il nome mio.

Mi consolo, signora, che alfin siete la sposa,

Della cognata in grazia, affabile, amorosa. (a Camilla)

Se i padri si contentano, porgetevi la mano (a Roberto e Camilla)

FER.

Io mi contento.

FAB.

Io pure.

ROB.

Ecco la destra

CON.

Piano.

Questa benefattrice, che la ragione intende,

Del torto che le fate, moltissimo si offende.

Ella che ha tanto fatto, desidera ancor questo:

Brama colle sue mani formarbell'innesto.

Signora Dorotea, gradite il dolce invito:

Presentate voi stessa la sposa al suo marito.

Dal magnanimo cuore l'opera alfin compiuta,

Fate la virtù vostra palese e conosciuta.

DOR.

Conte, non so che dire, trovomi in tale stato,

Ch'io non so ben s'io vegli, o se ho finor sognato,

Tanto fuor di me stessa, tanto stordita io sono,

Che in tal mia confusione mi perdo e mi abbandono.

CON.

Permettete, signora, che or più che mai sincero,

Labbro di vero amico vi rappresenti il vero.

Voi sognaste finora, sperando un miglior frutto

Dall'uso pertinace di contradire a tutto.

Presso di tutto il mondo, e fin nel vostro tetto,

L'odio vi concitava un simile difetto.

Ora che l'arte nostra vi ha l'animo colpito,

Che il vostro mal dai segni ci par che sia guarito,

Tutti quanti vedete, tutti amici vi sono,

Vi amano, vi rispettano, e a voi chiedon perdono.

FER.

Sì, nuora mia diletta, vi amo di tutto cuore.

RIN.

Compatite, vi priego, l'industria dell'amore.

FAB.

Mi avete edificato.

GAU.

Sono di voi contento.

CAM.

Supplico mia cognata del suo compatimento.

DOR.

Sì, conosco me stessa, sia sempre ringraziato

Il Conte, che con arte alfin mi ha illuminato.

Troppa condescendenza mi fe' soverchio ardita,

Or le contradizioni m'han punta ed avvilita.

Sentendomi da tutti con negative oppressa,

Parvemi in uno specchio di ravvisar me stessa.

E il duol che mi recava ciascun coi detti sui,

Mi fe' capire il duolo ch'io procacciava altrui.

Godo del mal sofferto, per riportarne un bene.

Quel che per voi ho fatto, è quel che mi conviene.

Fate che per mia mano sia l'opera compita:

Eccovi al vostro sposo da me medesma unita.

Suocero, non temete, Conte, amici, consorte,

Mai più contradizioni, mai più sino alla morte.

E voglia il ciel che possa con questa mia lezione

Guarir qualche altro Spirito di contradizione.

Signori miei, se alcuno ne aveste per l'idea

Potete l'istoriella narrar di Dorotea.

Ma di tali caratteri tutta la terra è piena,

E il loro cambiamento è favola da scena.

 

Fine della Commedia.

 

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