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LEONARDO: Tre giorni ch'io son tornato in Livorno, e la signora Giacinta e il signor Filippo non si veggiono. Mi hanno promesso, s'io non ritornava subito a Montenero, che sarebbero qui rivenuti bentosto, e non vengono, e non mi scrivono, e ho loro scritto, e non mi rispondono. La mia lettera l'avranno ricevuta ieri. Oggi dovrei aver la risposta. Ma l'ora è passata; dovrei averla già avuta. Se non iscrivono, probabilmente verranno.
LEONARDO: E da chi?
CECCO: È un giovane che ha una polizza in mano. Credo sia il giovane del droghiere.
LEONARDO: Perché non dirgli ch'io non ci sono?
CECCO: Gliel'ho detto ieri e l'altr'ieri, com'ella mi ha comandato: ma vedendolo venire tre o quattro volte il giorno, è meglio ch'ella lo riceva, e lo spicci poi come vuole.
LEONARDO: Va, digli che ho dato ordine a Paolino che saldi il conto. Che aspettasi a momenti da Montenero, e subito che sarà ritornato, lo salderà.
LEONARDO: Ah! le cose mie vanno sempre di male in peggio. Quest'anno poi la villeggiatura mi è costata ancor più del solito.
CECCO: Signore, è qui quello della cera.
LEONARDO: Ma bestia, perché non dirgli che non ci sono?
CECCO: Ho detto secondo il solito: vedrò se c'è, non so se ci sia; ed egli ha detto: se non c'è, ho ordine di aspettarlo qui fin che torna.
LEONARDO: Questa è un'impertinenza. Digli che lasci il conto, che manderò al negozio a pagarlo.
CECCO: Benissimo, glielo dirò. (Parte.)
LEONARDO: Pare che costoro non abbiano altro che fare; pare che non abbiano pan da mangiare. Sono sempre coll'arco teso a ferire il cuore de' galantuomini che non hanno con che pagare.
CECCO: Anche questi se n'è andato poco contento, ma se n'è andato. Ecco il conto. (Dà il conto a Leonardo.)
LEONARDO: Sieno maledetti i conti. (Straccia il conto.)
CECCO: (Conto stracciato, debito saldato).
LEONARDO: Va un po' a vedere dal signor Filippo, se fossero per avventura arrivati.
CECCO: La servo subito. (Parte.)
LEONARDO: Sono impazientissimo. In primo luogo per l'amore ch'io porto a quell'ingrata, a quella barbara di Giacinta; secondariamente, nello stato in cui sono, l'unico mio risorgimento potrebbe essere la sua dote.
LEONARDO: Spicciati; perché non vai dove ti ho mandato?
CECCO: Vi è un'altra novità, signore.
CECCO: Osservi. Una citazione.
LEONARDO: Io non so niente di citazioni. Io non accetto le citazioni: che la portino al mio procuratore.
CECCO: Il procuratore non è in città.
CECCO: È andato in villeggiatura.
LEONARDO: Cospetto! anche il mio procuratore in villeggiatura? Abbandona anch'egli per il divertimento gl'interessi propri e quelli de' suoi clienti! Io lo pago, gli do il salario, lascio di pagare ogni altro per pagar lui, fidandomi ch'ei m'assista, ch'ei mi difenda; e quando preme, non c'è, non si trova, è in villeggiatura? A me una citazione? Dov'è il messo che l'ha portata?
CECCO: Oh! il messo è partito. L'ha consegnata a me; ha notato nel suo libretto il mio nome, ed è immediatamente partito.
LEONARDO: Io non so che mi fare, aspetterò che torni il procuratore. Orsù, affrettati. Va a vedere se son tornati.
CECCO: Vado immediatamente. (Parte.)
LEONARDO: Sempre guai, sempre citazioni, sempre ricorsi. Ma giusto cielo! s'io non ne ho. E mi vogliono tormentare, e vogliono obbligarmi a quel ch'io non posso fare. Abbiano un po' di pazienza, li pagherò. Se sarò in istato di poterli pagare, li pagherò.
CECCO: Signore, nello scendere le scale ho incontrato appunto il servitore del signor Filippo, che veniva per dar parte a lei ed alla signora Vittoria che sono ritornati a Livorno.
LEONARDO: Fallo venire innanzi.
CECCO: È partito subito. Mi ha fatto vedere una lista di trentasette case, alle quali prima del mezzogiorno ha da partecipare l'arrivo loro.
LEONARDO: Portami il cappello e la spada.
LEONARDO: Sono impazientissimo di riveder Giacinta. Chi sa qual accoglimento mi farà ella in Livorno, dopo le cose occorse in campagna? Guglielmo tuttavia differisce a far la scritta con mia sorella. Sono in un mare d'agitazioni, e di più mi affliggono i debiti, mi tormentano i creditori.
CECCO: Eccola servita. (Gli dà la spada e il cappello.)
LEONARDO: Guarda se c'è nessuno in sala, o per le scale, o in terreno.
LEONARDO: Ho sempre timore d'incontrar qualcheduno che mi faccia arrossire. Converrà, per andare dal signor Filippo, che allunghi la strada il doppio, per non passare dalle botteghe de' creditori.
CECCO: Signore, vi sono due che l'aspettano.
LEONARDO: M'aspettano? Sanno eglino che ci sono?
CECCO: Lo sanno, perché quello sciocco di Berto ha detto loro che c'è.
LEONARDO: E chi sono costoro?
CECCO: Il sarto e il calzolaio.
LEONARDO: Licenziali; fa che vadano via.
CECCO: E che cosa vuole ch'io loro dica?
LEONARDO: Di' tutto quello che vuoi.
CECCO: Non potrebbe dar loro qualche cosa a conto?
LEONARDO: Mandali via, ti dico.
CECCO: Signore, è impossibile. Costoro me l'hanno fatta dell'altre volte. Sono capaci di star qui fino a sera.
LEONARDO: Hai tu le chiavi della porticina segreta?
CECCO: Sono sulla porta, signore.
LEONARDO: Bene; andrò per di là.
CECCO: Badi che la scala è oscura, è precipitosa.
LEONARDO: Non importa; voglio andar via per di là.
CECCO: Sarà piena di ragnatele, si sporcherà il vestito.
LEONARDO: Poco male; non preme. (In atto di partire.)
CECCO: E vuol che stieno colà ad aspettare?
LEONARDO: Sì, che aspettino fin che il diavolo se li porti. (Parte.)