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FERDINANDO: Venite qui, gioia mia, dolcezza mia, amabilissimo il mio Tognino.
ROSINA: (Grand'impertinente è quel signor Ferdinando!).
TOGNINO: Padroni. Servitor suo.
COSTANZA: Andate via di qua. (A Tognino.)
FERDINANDO: Lasciatelo stare, signora, e portategli rispetto, che è maritato.
COSTANZA: Chi ve l'ha detto che è maritato?
FERDINANDO: Mi è stato detto da lui.
COSTANZA: Non è vero niente. (A Ferdinando.)
FERDINANDO: Non è vero niente? (A Tognino.)
TOGNINO: Non è vero niente. (A Ferdinando, mortificato.)
FERDINANDO: Oh! bene dunque se non è vero, ci ho gusto. Se non siete sposato colla signora Rosina, sappiate che io ci pretendo, e che voi non l'avrete, e la sposerò io.
TOGNINO: Cu cu! (Fa il verso del cucco, burlandosi di lui.)
FERDINANDO: Cu, cu? Che cosa vuol dire questo cu, cu?
TOGNINO: Corpo di bacco! Vuol dire che la Rosina...
ROSINA: Tacete voi. Dite al signor Ferdinando che vada a sposare la signora Sabina. Ecco una sua lettera che viene a lui.
FERDINANDO: Una lettera della mia cara Sabina?
ROSINA: Sì, signore, me l'ha consegnata questa mattina.
FERDINANDO: Oh! cara la mia gioietta! La leggerò col maggior piacere del mondo.
VITTORIA: La vogliamo sentire anche noi.
COSTANZA: Sì, certo, anche noi.
GUGLIELMO: Ricordatevi che alle lettere si risponde. (A Ferdinando.)
GIACINTA: Quando meritino d'aver risposta. (A Ferdinando.)
FERDINANDO: Benissimo, ci s'intende.
VITTORIA: Leggete forte, che tutti sentano.
FERDINANDO: Vi prometto di non lasciar fuori una virgola. (Apre la lettera.)
SERVITORE: Signora, il signor Filippo, il signor Leonardo e il signor Fulgenzio, che bramano riverirla. (A Costanza.)
COSTANZA: Dite loro che son padroni, che restino serviti. Portate qui delle seggiole. (Al Servitore.)
SERVITORE: (Se ce ne fossero; ma non ce ne sono tante che bastino). (Parte.)
VITTORIA: Mi dispiace ora quest'interrompimento. Vorrei sentir quella lettera. Date qui, non l'avete da leggere senza di noi. (Leva la lettera di mano a Ferdinando.)