Carlo Goldoni
La vedova spiritosa

ATTO PRIMO

SCENA SECONDA   Donna Placida, poi don Fausto

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SCENA SECONDA

 

Donna Placida, poi don Fausto.

 

PLA.

Ha voglia di marito; da ridere mi viene:

Povera mia sorella, è stanca di star bene.

FAU.

Servo di donna Placida.

PLA.

Don Fausto riverito. (da sé)

(Eccolo, sempre lindo e sempre mai compito).

FAU.

Godo vedervi escita da quei recinti avari

A vivere contenta fra i vostri patrii lari.

Merita ben, chi unito ha il senno alla bellezza,

Nuotar felicemente nel mar di contentezza.

PLA.

Vostra mercé, signore, dagli avidi cognati

I frutti della dote abbiam ricuperati.

FAU.

Astrea ragion vi fece, e prospera vi fu.

Ha vinto il vostro merito, non già la mia virtù.

PLA.

Eh, il mio dottore amabile, questa signora Astrea

Da pochi si conosce per arbitra e per dea.

Se usato non aveste per me l'arte e l'ingegno,

Escita non sarei sì facil dall'impegno.

FAU.

Vantar soverchiamente il mio valor non uso,

Ma pur gli encomi vostri non sdegno e non ricuso;

Poiché labbro gentile che di sue lodi onora,

Anche un terreno sterile, anche un vil campo infiora.

PLA.

Sedete, se vi aggrada.

FAU.

Seder non si concede

Al servo, allor che stassi la sua signora in piede.

PLA.

Ambi sediamo. (siede)

FAU.

Un cenno puote obbligarmi a farlo.

PLA.

Sempre gentil don Fausto.

FAU.

Arrossisco e non parlo.

PLA.

Dunque sperar possiamo che vinti ed avviliti

Gl'indocili avversari non tentino altre liti.

FAU.

Vivete pur sicura, sotto i legali auspici

Godrete in lieta pace, godrete i felici;

Ma provvida pensate, e liberal qual siete,

Che altrui render felice, che altrui bear potete.

PLA.

Deggio ai poveri forse donar l'argento e l'oro?

FAU.

Far parte altrui dovete di un più ricco tesoro.

PLA.

Di che? Non vi capisco.

FAU.

Spirto a virtute amico

Può quel che dire intendo, capir da quel ch'io dico.

Pur se vi sembra arcano di mie parole il nodo,

Porgermi può di sciorlo un vostro cenno il modo.

PLA.

Soddisfa al genio mio chi parla apertamente.

FAU.

Dunque non sarò ardito, sarò condiscendente.

Signora, il nuovo stato di vostra vedovanza

Destata ha in più d'un seno la fervida speranza.

Il primo possessore di voi tratto dal mondo,

Si può sperar che possa succedere il ?

PLA.

No, don Fausto, credetemi, non voglio più arrischiarmi

A violentar un cuore per obbligo ad amarmi.

FAU.

Obbligo tal sarebbe sì dolce e fortunato,

Che alcun desiar non puote d'esserne dispensato.

PLA.

E ben, se alcun mi crede degna di qualche affetto,

Che mi ami in libertade, senz'essere costretto.

Eccovi del mio cuore tutta l'idea spiegata:

Io non vo' tormentare, né essere tormentata.

Capace son d'amare sino all'estremo giorno,

Ma ciò non vi prometto con un legame intorno.

FAU.

Amar senza un legame, e amar fida e costante!

Signora, io non v'intendo. Qual genere d'amante?

PLA.

Ad uomo qual voi siete, è van che più si dica.

L'amor di cui favello, è amor di vera amica.

Quella amistade onesta che di esibir mi lice,

Un cuore che ben ama, può rendere felice.

Chi più da me pretende, chi più mi chiede audace,

Aspira ad involarmi dal cuor la cara pace.

Nell'uomo non può dirsi amore una virtù,

Se brama, per piacere, la donna in schiavitù.

FAU.

Tutti non son capaci di un virtuoso affetto.

Io forse più d'ogni altro di ciò mi comprometto.

In me poiché quest'alma i pregi vostri ammira,

Nuovo amor, nuova fede, un bell'esempio ispira.

Sarem, se vi degnate di preferirmi a tanti,

Sarem coll'amor nostro la scuola degli amanti.

PLA.

In general finora parlai del genio mio.

Son donna, e son capace d'una catena anch'io;

E quel che in secondarmi più liberal si fa,

M'insidia più d'ogni altro la cara libertà.

Priegovi, se mi amate, esser men facilmente

A quel che vi propongo di cuor condiscendente.

Se voi mi obbligherete a risentir l'affanno,

Dirò che lo faceste con arte e con inganno.

Avrete una vittoria, è ver, sul mio talento,

Ma un vi darà pena vederne il pentimento.

Siate nei sacrifizi più accorto e più discreto:

Il troppo compiacermi ancora io vi divieto.

FAU.

Piacemi il bel comando: un non so che vi trovo,

Vi trovo una bellezza di carattere nuovo.

Se voi foste veduta ad arringar nel foro,

Giudici non saprebbero negarvi i voti loro,

E Paride fra mille, non che fra tre donzelle,

Voi giudicar dovrebbe la bella infra le belle.

Signora, lungamente restai più del dovere,

so se vi recassi piacere o dispiacere

Vorrei partir temendo di rendermi molesto. (si alza)

Ma no, rammento il cenno. Per dispiacervi io resto.

PLA.

Certo i' sarei dolente restando di voi priva. (teneramente)

FAU.

Con voi, se ciò sia vero, resterò fin ch'io viva. (con tenerezza)

PLA.

Ecco una compiacenza che mettemi in periglio

Ah, voi mi costringete fuggir dal vostro ciglio. (s'alza)

Se ingrato e compiacente valete a cimentarmi,

Addio. Sarò la prima io stessa a licenziarmi. (vuol partire)

FAU.

Fermatevi un momento. Perdono io vi domando,

Se male col divieto confondemi il comando.

Partirò, e per non esservi grato, partendo, o ingrato,

Dirò che al mio dovere mi chiama il magistrato.

Farò, se il permettete, ritorno a riverirvi.

Spesso verrò, sperando di meglio infastidirvi.

Se in me per obbligarvi temete un qualche dono,

Odiatemi per questo, che il soffro e vi perdono. (parte)

 

 

 


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