ANS.
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Visite tutto il giorno?
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ISI.
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Le visite a quest'ora?
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ANS.
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Fatela rinserrare.
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BER.
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Sì, sì, non vedo l'ora.
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ISI.
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Pensate,
se vogliamo che venga a far rumori
Contro la nostra tavola.
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FER.
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Servo di lor signori.
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ISI.
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Come! non ve l'han detto che a tavola si va?
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FER.
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Chi è il padrone di casa? (a don Anselmo)
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ANS.
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Signore, eccolo qua. (accennando
don Berto)
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BER.
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Son io, ma mi riporto a questi amici miei.
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FER.
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Non siete voi don Berto?
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BER.
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Son servitor di lei.
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ISI.
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Di grazia... (a don Ferramondo)
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BER.
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(State zitto). (piano a don Isidoro; mostrando
aver paura)
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FER.
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Signor, vi son tenuto,
Che
in ora così incomoda mi abbiate ricevuto.
Cercai
di donna Placida; mi disse il vostro servo,
Che pria da voi venissi, e i vostri cenni osservo.
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BER.
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Anzi mi favorisce.
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ISI.
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(Ah schiuma de' bricconi!
Paoluccio me l'ha fatta). (da sé)
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ANS.
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Anzi, la mi perdoni,
Fe'
dire a lei don Berto, che ora non si poteva
Ricever le sue grazie. (a don Ferramondo)
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ISI.
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E che pranzar voleva. (a
don Ferramondo)
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FER.
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Il
servo tal risposta non fece all'imbasciata,
Né
un cavalier mio pari l'avrebbe meritata.
Don
Ferramondo io sono, signor di Belvedere,
Fra
le truppe alemanne capitan granatiere.
Conobbi
donna Placida sin quando avea marito;
Se
vengo a visitarla, non so d'essere ardito.
L'ora
del mezzogiorno non parmi ora indiscreta;
Pure
il costume vostro seguir non vi si vieta;
Ma non vi si concede meco un trattar villano.
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ISI.
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Signor, con chi parlate?...
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BER.
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(Zitto, ch'è un capitano). (piano
a don Isidoro)
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FER.
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Se
negli amici vostri vi è tanta indiscrezione,
Saprò
sopra di loro pigliar soddisfazione.
Gente malnata e vile sa poco il suo dovere.
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ANS.
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Signor, non vi adirate...
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BER.
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(Zitto, ch'è un granatiere).
(piano a don Anselmo)
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FER.
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Cerco di donna Placida. (a don Anselmo)
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ANS.
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A me? non ne so nulla.
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BER.
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Sarà di là, signore. (accenna la sua camera)
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ANS.
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(No, che vi è la fanciulla). (piano a don Berto)
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ISI.
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Volete
donna Placida? di là potete andare. (a don Ferramondo, accennando la
camera)
(Lasciate che egli vada! che andremo a desinare). (piano
a don Berto)
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FER.
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Lo sa ch'io la domando?
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BER.
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Le farem l'imbasciata.
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ISI.
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Può andar liberamente, che già non è occupata.
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ANS.
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Un
cavalier bennato, che ama la civiltà,
Sa ben che non conviene a lui tal libertà.
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FER.
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Io
sono un galantuomo che sa i doveri suoi,
Né vo' le convenienze apprendere da voi.
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ANS.
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Signore,
ed io son uno che con amor sincero
Dico
liberamente a chi mi ascolta il vero.
Si
lascian star le donne che son nel proprio tetto,
E non si va a tentarle. Sia detto con rispetto.
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FER.
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Chi
sei tu, che pretendi di farmi il correttore,
Zelante
inopportuno, famelico impostore?
Vieni
a ostentare, ingordo, la tua dottrina immensa
In casa
di don Berto, per guadagnar la mensa?
O
pur ribaldo ascondi sotto mentita pelle
D'agnello
il cor di lupo, per insidiar donzelle?
L'uno
o l'altro pensiero ravvolge il tuo talento,
Poiché
senza ragione moralizzar ti sento.
Un
cavalier che visita donna civile, onesta,
Dà
un segno di rispetto, amor non manifesta;
E
chi sospetta a torto degli andamenti altrui,
Fa
veder che la colpa ha le radici in lui.
Don
Berto è un uom dabbene, egli ti crede, il vedo;
Io che son uom di mondo, a un impostor non credo.
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ISI.
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(Beva quel sciroppetto). (da sé)
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BER.
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(Dite delle ragioni). (piano
a don Anselmo)
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ANS.
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(Per umiltà sto zitto). (piano a don Berto) Il
ciel ve lo perdoni. (a don Ferramondo, e parte)
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