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Donna Placida, don Isidoro e detti.
PLA. |
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FER. |
Se incautamente io scelsi al mio dover quest'ora. È ver che mi fu detto, ma la credea una favola, Che innanzi al mezzogiorno da voi si desse in tavola. |
ISI. |
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BER. |
Per me prenda il suo comodo. (Ehi, giudizio, è un soldato). (piano a don Isidoro) |
PLA. |
È un onor ch'io non merito, che sia per onorarmi |
ISI. |
Possono restar qua. Noi pranzeremo intanto. |
BER. |
Con tutta libertà. |
FER. |
Certo che donna Placida esser non può avvezzata Pranzare a un'ora insolita cotanto anticipata. S'ella ritrova incomodo il desinar sì presto, Con vostra permissione, seco alcun poco io resto. |
BER. |
Sì, signor capitano, resti quanto gli pare. (Con gente granatiera non vo' precipitare). (da sé) |
PLA. |
Signor, voi conoscete da ciò nel cuor del zio Per voi tanto rispetto, quanto ne vanta il mio. Il pranzo ai convitati più differir non puote, E sol per compiacervi restar fa la nipote. Io pur nel primo giorno che son nei tetti sui, Dovrò, se il comandate, pranzar senza di lui; Ma un cavaliere avvezzo trattar con compiacenza, Spero che mi dispensi da tale inconvenienza. Tornar siete padrone, il zio non lo contrasta, Il zio con tutto il mondo dolcissimo di pasta. Ma in questi pochi giorni ch'esser dobbiamo insieme, Grata mostrarmi ad esso col mio dover mi preme. |
FER. |
Sarei un indiscreto, sarei un incivile, Qualor non mi appagassi di un animo gentile. |