Carlo Goldoni
La vedova spiritosa

ATTO QUINTO

SCENA OTTAVA   Donna Luigia  e detti

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SCENA OTTAVA

 

Donna Luigia  e detti.

 

LUI.

Sì, don Anselmo è un perfido, è innamorato, è vero.

Ecco chi può saperlo. (a Clementina)

CLE.

Ma il danar non l'ho in mano.

BER.

Cosa ho da far, signori?

PLA.

Lo dica il capitano.

ANS.

Non signor, non s'incomodi di dar la sua sentenza.

Confesso che ho fallato, farò la penitenza.

Ecco i cento zecchini. Non ho pretensioni.

Ah, voi mi rovinaste! Il ciel ve lo perdoni. (parte)

BER.

Ma io resto di sasso.

FER.

Passarsela non speri.

Lo farò bastonare da quattro granatieri.

FAU.

No, signor capitano; domani dallo stato

Farò che dal governo sia colui esiliato.

BER.

Povero don Anselmo!

PLA.

Il falso bacchettone

Ancor vi sta sul cuore? (a don Berto)

BER.

No, no, avete ragione.

PLA.

Vada le mille miglia l'empio lontan da noi,

E vada anche la serva a fare i fatti suoi.

BER.

Vada la serva ancora.

CLE.

Pazienza. Paoluccio,

Di', mi vorrai più bene?

PAO.

Eh, non son così ciuccio. (parte)

CLE.

Domandovi perdono. Povera Clementina!

Venuto è un impostore a far la mia rovina.

Tardi averò imparato a spese mie, signori:

La dote guadagnarla dobbiam con i sudori.

Quando è male acquistata, il ciel così destina.

In semola va tutta del diavol la farina. (parte)

BER.

Cose, cose... son cose da perdere il cervello.

PLA.

Che fa don Sigismondo? Si perde in sul più bello.

Eccolo astratto in guisa che pare un insensato.

Dico: don Sigismondo.

SIG.

Son qui. Chi m'ha chiamato?

PLA.

In mezzo a tanti strepiti siete in distrazione?

SIG.

Di rimanere estatico non ho forse ragione?

Pieno di tristi è il mondo. In che stagion mai siamo?

Appunto. Che risolve la giovane ch'io bramo?

PLA.

A voi, donna Luigia.

LUI.

Germana, io non dispongo.

PLA.

Il signor zio che dice?

BER.

Figliuola, io non mi oppongo.

PLA.

Dunque la man porgete al cavalier che vi ama.

LUI.

Ecco la man.

SIG.

Sì, cara, contenta è la mia brama.

BER.

Alfin voi mi lasciate, nipote mia carissima;

Siete contenta almeno?

LUI.

Signor, son contentissima.

BER.

Ed io resterò solo? Voi pure abbandonarmi?

Voi nel ritiro andrete? (a donna Placida)

PLA.

Non penso a ritirarmi.

BER.

Che? vi è venuto in mente qualche miglior partito?

PLA.

Non so. (guardando don Fausto)

BER.

Cosa ha risolto? (a don Fausto)

FAU.

Di prendere marito

È ver?

PLA.

Potrebbe darsi.

FER.

Ed è meco impegnata,

Quando amor la consigli.

PLA.

Mi avete innamorata? (a don Ferramondo)

FER.

Tempo non ebbi a farlo; ma di arrivarvi io stimo.

PLA.

Dissi vel rammentate, chi m'innamora è il primo.

Di conseguir tal forza un altro ebbe la sorte.

M'innamorai, son vinta, don Fausto è mio consorte.

FER.

Come! a me sì gran torto?

PLA.

Di un torto vi dolete?

Che colpa han gli occhi miei, se voi non mi piacete?

Dovea forse più a lungo soffrire un tal cimento?

Vi è noto che si accendono le fiamme in un momento?

Lo sa chi mi possiede, lo sa quanto ha costato

Alla sua sofferenza l'avermi innamorato;

E quel che non poterono lunghi sospiri e duolo,

Non vi saprei dir come potuto ha un punto solo.

Se la ragion vantate, se cavalier voi siete,

Perdono, a chi vi stima, concedere dovete;

E rilevando il vero che puramente io dico,

Esser di me qual foste, e di don Fausto amico.

FER.

Non so che dir, conosco che mi vien fatto un torto.

Da una donna di spirito l'ammiro e lo sopporto.

PLA.

(Poco non è, che il fiero siasi a ragion calmato). (da sé)

LUI.

(Ora sarà contenta, alfin se l'ha pigliato). (da sé)

BER.

Eccovi spose entrambe, io povero sgraziato,

Eccomi solo in casa da tutti abbandonato.

Cospetto! se mi salta, anch'io prendo una moglie.

PLA.

Signor, se l'aggradite, noi stiamo in queste soglie.

Don Fausto avrà piacere di rimanervi allato.

FAU.

In me, signore, avrete un servo e un avvocato.

BER.

Bene, restate meco; alla minor nipote

Darò, qual si conviene, giustissima la dote.

E voi che siete stata, e siete una gran donna,

Di tutta casa mia vi fo donna e madonna.

 

 

 


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