Carlo Goldoni
La serva amorosa

ATTO PRIMO

Scena Seconda. Beatrice e detti

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Scena Seconda. Beatrice e detti

 

Beatrice: Eh, che non c'è bisogno d'ambasciata. (verso la porta)

Pantalone: Servitor umilissimo.

Beatrice: Serva sua. Oh guardate! Quel caro staffiere non voleva che io venissi, senza avvisarvi. (ad Ottavio)

Pantalone: El xe sta ello che ghe l'ha dito... (a Beatrice)

Ottavio: Ah? Non è vero? Non ho io detto al servitore, se vien la padrona, lasciala venire? (a Pantalone)

Pantalone: Sior sì, quel che la vol. (El gh'ha una paura de so muggier, ch'el trema). (da sé)

Beatrice: il signor Pantalone è venuto a favorirci. Vuole restar servito della cioccolata?

Pantalone: Grazie in verità. Cioccolata no ghe ne bevo. Vago all'antiga. Ogni mattina bevo la mia garba.

Beatrice: E il mio signor Ottavio prende la sua zuppa ogni mattina nel brodo grasso, con un torlo d'uovo, e si beve il suo vino di Cipro. Mi preme conservarmelo il mio vecchietto.

Ottavio: Oh cara signora Beatrice, che siate benedetta! Signor Pantalone, maritatevi.

Pantalone: Se fusse seguro de trovar una bona muggier come siora Beatrice, fursi, fursi anca lo faria.

Beatrice: Oh signor Pantalone, mi fa troppo onore.

Ottavio: Ah! Che dite? Che ve ne pare? Sarebbe degna d'un giovinotto? E pure la signora Beatrice è di me contenta: non è vero? (a Beatrice)

Beatrice: Oh caro signor Ottavio, non vi cambierei con un re di corona.

Ottavio: Sentite, signor Pantalone? Queste sono espressioni, che fanno innamorare per forza.

Pantalone: Siora Beatrice, za che la xe una donna savia e prudente, e che la vol tanto ben a so mario, la fazza un'azion da par suo; la procura che torna in casa sior Florindo.

Beatrice: Tornar in casa Florindo? S'egli entra per una porta, io vado fuori per l'altra.

Ottavio: No, vita mia, non dubitate... (a Beatrice)

Pantalone: Mo cossa mai gh'alo fatto?

Beatrice: Mille impertinenze. Mille male creanze. Mi ha perduto cento volte il rispetto.

Ottavio: Sentite, non ve lo diceva io? (a Pantalone)

Beatrice: È un temerario, presontuoso, superbo. Ha tutti i malanni addosso.

Ottavio: Ah? (a Pantalone)

Pantalone: El xe zovene, el xe stà avvezzo a esser carezzà...

Beatrice: Che non ho io fatto con quell'asinaccio? L'ho trattato più che da . Gli ho fatto mille finezze. Non è vero? (ad Ottavio)

Ottavio: È verissimo. Anzi, quasi quasi, mi parevano un poco troppe.

Beatrice: Ed egli, ingrato, mi rese male per bene.

Pantalone: A sto mondo tutto se comoda. In che consiste i so mancamenti?

Beatrice: Ecco qui suo padre. Domandateli a lui.

Pantalone: Via, mettemo in chiaro tutte ste cosse, e vedemo se ghe xe caso de giustarla. Parlè, sior Ottavio, cossa alo fatto?

Ottavio: Io, per dirvela, di certe cose procuro scordarmene per non inquietarmi. Ne ha fatte tante, che ho dovuto cacciarlo via.

Pantalone: El ghe n'ha fatte tante, ma co no ve le arecordè, bisogna che le sia liziere.

Beatrice: Sì, leggiere? Non vi ricordate, signor Ottavio, quando ha avuto ardire di strapazzarmi in presenza vostra?

Ottavio: Sì, è vero, me ne ricordo.

Pantalone: Bisogna véder...

Beatrice: Vi ricordate, quando voleva dare uno schiaffo a Lelio mio figlio? (ad Ottavio)

Ottavio: Aspettate... Forse allora quando Lelio gli ha dato quel pugno?

Beatrice: Eh, che non gliel'ha dato, no, il pugno. Lo minacciò solamente, ed egli ardì menargli uno schiaffo.

Ottavio: E pur mi pare che il pugno gliel'abbia dato nella testa.

Beatrice: Come volete voi sostenere che gliel abbia dato, se siete vecchio, e senza gli occhiali non ci vedete?

Ottavio: È vero, signor Pantalone, ci vedo poco.

Beatrice: E quando mi ha detto che sono venuta in casa a mangiare il suo...

Ottavio: Uh! l'ho sentito.

Beatrice: E che ha rimproverato voi per un tal matrimonio?

Ottavio: Ah, briccone! Me ne ricordo.

Beatrice: Ah! che ne dite?

Ottavio: Sentite, signor Pantalone, le belle cose?

Beatrice: In casa non ce lo voglio più.

Ottavio: Ve l'ho detto, signor Pantalone, non si può.

Pantalone: Ma queste le xe cosse da gnente.

Beatrice: E poi quella bricconcella di Corallina protetta da lui... e tutti due d'accordo contro di me... Basta; è finita.

Pantalone: Corallina finalmente la xe una serva. La se pol far mandar via.

Beatrice: Quanto volete giuocare, che Florindo la sposa?

Ottavio: Non crederei... Corallina è una donna di giudizio.

Beatrice: Lasciatelo fare; se la vuole sposare, la sposi; peggio per lui; si soddisfaccia pure, ma fuori di questa casa.

Pantalone: Ma, cari siori, perché no succeda sto desordene, xe ben torlo in casa.

Beatrice: In casa no certo. Lo torno a dire: dentro colui, fuori io.

Ottavio: Oh cara Beatrice mia, non dite così, che mi fate morire.

Beatrice: Se non vi volessi tanto bene, me ne sarei andata dieci volte.

Ottavio: Poverina! vi compatisco.

Beatrice: Mi maraviglio di voi, signor Pantalone, che venghiate ad inquietarci.

Ottavio: Caro amico, vi prego, non ne parliamo più. (a Pantalone)

Pantalone: No so cossa dir; parlo per zelo d'onor, e da bon amigo. No volè? Pazienza. Almanco mandeghe sti do zecchini.

Ottavio: Oh sì, signora Beatrice, date due zecchini al signor Pantalone.

Beatrice: Per farne che?

Ottavio: Florindo ha bisogno di calze, di scarpe...

Beatrice: Eh, mi maraviglio di voi. Volete andare in rovina per vostro figlio? Sei scudi il mese sono anche troppi. L'entrate non rendono tanto. Vi sono da pagare gli aggravi, i debiti, i livelli. Non c'è denaro, non ce n'è. Faccia con quelli che gli si danno; ed ella, signor Pantalone, vada a impacciarsi ne' fatti suoi, non faccia il dottore in casa degli altri.

Pantalone: Basta cussì, patrona. In casa soa no ghe vegnirò più, no ghe darò più incomodo; ma ghe digo che la xe un'ingiustizia, una barbarità. Ghe son intrà per amicizia per compassion, ma za che la me tratta con tanta inciviltà, pol esser che ghe la fazza véder, che ghe la fazza portar.

Beatrice: In che maniera?...

Pantalone: No digo altro, patrona; schiavo, sior Ottavio. Tegnive a cara la vostra zoggia. (parte)

Beatrice: Ah vecchio maledetto...

Ottavio: Zitto; non v'inquietate.

Beatrice: A me questo?

Ottavio: Per amor del cielo, non andate in collera.

Beatrice: Temerario!

Ottavio: Signora Beatrice...

Beatrice: Lasciatemi stare. Farmela vedere?

Ottavio: Via, se mi volete bene.

Beatrice: Andate via di qui.

Ottavio: Sono il vostro Ottavino.

Beatrice: il diavolo che vi porti.

Ottavio: (Pazienza! È in collera; bisogna lasciarla stare). (si va accostando alla porta)

Beatrice: Me la pagherà.

Ottavio: Beatricina. (di lontano)

Beatrice: Chi sa cosa medita!

Ottavio: Sposina. (come sopra)

Beatrice: Se non mi lasciate stare... (adirata)

Ottavio: Zitto. Addio. (parte con un sospiro)

 


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