Carlo Goldoni
La serva amorosa

ATTO SECONDO

Scena Settima. Ottavio e Beatrice

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Scena Settima. Ottavio e Beatrice

 

Camera in casa di Ottavio.

 

Ottavio: Mandate a dire al notaio, che verrà un altro giorno; oggi non ho volontà di discorrere.

Beatrice: Caro signor Ottavio, da qualche giorno in qua siete un poco tristerello. Vi sentite male?

Ottavio: Eppure l'appetito mi serve.

Beatrice: Questo vostro appetito soverchio non mi piace. Dice il medico che quasi tutti li vecchi, quando s'avvicinano alla morte, mangiano più del solito.

Ottavio: Ma! voi mi vorreste veder morire. Siete annoiata di me, signora Beatrice? Pazienza.

Beatrice: Oh caro marito mio, che cosa dite? Desidero la vostra salute più della mia. Prego il cielo che viviate più di me.

Ottavio: Vi posso credere?

Beatrice: Mi fate torto, se ne dubitate.

Ottavio: Datemi la mano.

Beatrice: Eccola.

Ottavio: Cara!

Beatrice: Poverino!

Ottavio: Quando morirò, mi dispiacerà pur tanto di lasciarvi.

Beatrice: Via, non pensiamo a malinconie.

Ottavio: Se moro io, ne prenderete altri?

Beatrice: Oh, non c è pericolo.

Ottavio: Oh, né men io; se morite voi, non ne prendo altre.

Beatrice: Io ho da pregar il cielo che viviate, per molte ragioni.

Ottavio: E quali sono, giojetta mia?

Beatrice: La prima, perché vi voglio bene.

Ottavio: In questo poi siete corrisposta. Son tutto vostro; non ci è pericolo che vi faccia torto.

Beatrice: Secondariamente, perché mi trattatebene, che sarei un’ingrata, se non lo conoscessi.

Ottavio: Ah? vi tratto bene in tutto?

Beatrice: Sì, caro signor Ottavio, in tutto. E per ultimo, se voi moriste, che cosa sarebbe di me, poverina?

Ottavio: Ma! non ne trovereste un altro come me.

Beatrice: Ho un figlio grande, e senza impiego; siamo avvezzi a vivere con tante comodità. Morto voi, m'aspetto che Florindo ci cacci villanamente fuori di casa, ci prenda tutto, e in premio d'avervi servito, d'avervi amato, d'avervi fatto vivere tanti anni di più, vedermi strapazzata, vilipesa, scacciata, e in istato forse di dover mendicare il pane.

Ottavio: Non vi ho assegnato seimila scudi di dote?

Beatrice: Sì, mi avete fatto quella carta, ma non è autenticata.

Ottavio: Mi hanno detto che è valida; ma ciò non ostante, per compiacervi, la farò autenticare. Ricordatemelo domani. La tengo apposta nel mio scrittoio.

Beatrice: E poi a che servono seimila scudi? Se io restassi vedova con quel figliuolo, come viveremmo con un capitale di seimila scudi? Eh signor Ottavio, prevedo le mie disgrazie, prevedo di dover piangere per troppa mia dabbenaggine. (piange)

Ottavio: Via, cara, non piangete; ci penso, vi provvederò.

Beatrice: Eh sì: lo dite, ma non lo fate. Il tempo passa, ogni giorno passa un giorno, e se aspettate l'ultima malattia, avrete altro in capo che pensare alla povera moglie, al povero Lelio, che non ha altro padre che voi.

Ottavio: Non dubitate. Uno di questi giorni farò testamento. Ho pensato a tutto. Vi voglio bene.

Beatrice: Ma, caro signor Ottavio, il testamento non accelera già la morte. Farlo oggi, farlo domani, farlo da qui a un anno, da qui a due, per chi lo fa, è lo stesso. Anzi, quando un uomo ha fatto testamento, si pone in calma, non ci pensa più, si è sgravato d'un peso, e gode tranquillamente i suoi giorni, e vive probabilmente di più.

Ottavio: Sapete che non dite male? In fatti tante volte mi sveglio la notte, e penso a questa cosa. Sovente a tavola ancora ci penso. Fatto ch'io l'abbia, non ci penserò più.

Beatrice: Voi mi benedirete, signor Ottavio, quando lo avrete fatto. Vi contentate che venga questa sera il notaio?

Ottavio: Fate quel che vi piace.

Beatrice: Domani vi parrà d'esser rinato.

Ottavio: Mi fa un poco di ribrezzo questo far testamento, ma procurerò superarlo.

Beatrice: Sarebbe bella, che chiamando il medico per far purga, fosse un motivo per ammalarsi! Così del testamento; si fa per precauzione, e non per necessità.

Ottavio: Voi parlate da quella donna che siete. Oh, se mi foste capitata vent'anni addietro! Cara la mia Beatrice, se m'aveste veduto da giovine!

Beatrice: Non sareste stato tutto mio.

Ottavio: Oh, oh! Vent'anni sono, trent'anni sono... Basta, ora potete viver sicura; non vi è pericolo.

Beatrice: M'immagino che avrete preparata la vostra disposizione.

Ottavio: Sì; appresso a poco l'ho divisato il mio testamento.

Beatrice: Ricordatevi che avete un figlio legittimo e naturale, il quale, benché per sua disgrazia sia scellerato, pure è vostro sangue, e non lo dovete privare dell'eredità.

Ottavio: Brava! siete una donna savia e prudente: ammiro la vostra bontà. Benché colui v'abbia offesa, non gli volete male.

Beatrice: Anzi vi prego fargli del bene. Io vi consiglierei lasciargli almeno almeno trecento scudi l'anno.

Ottavio: Quanti ne abbiamo ora d'entrata? Una volta erano quattromila.

Beatrice: Oh, adesso le cose vanno malissimo. Dopo che avete tralasciato di negoziare, ogn'anno si sono intaccati i capitali. Levando ogn'anno trecento scodi netti, non vi restano ricchezze nel patrimonio.

Ottavio: Basta; lascierò a voi tutte le mie facoltà col titolo di erede universale, con l'obbligo di dare a Florindo trecento scudi l'anno, e il testamento sarà presto fatto.

Beatrice: Con facoltà ch'io possa col mio testamento beneficar chi voglio.

Ottavio: Ci s'intende.

Beatrice: Questa sera lo fate, e domani non ci pensate più.

Ottavio: Non vedo l'ora d'averlo fatto:

 


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