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MONSIEUR RIGADON maestro di ballo.
GIUSEPPINA scolara di monsieur Rigadon.
ROSALBA scolara di monsieur Rigadon.
FELICITA scolara di monsieur Rigadon.
ROSINA scolara di monsieur Rigadon.
FILIPPINO scolaro di monsieur Rigadon.
CARLINO scolaro di monsieur Rigadon.
Il CONTE ANSELMO amante di Giuseppina.
RIDOLFO sensale, amante di madama Sciormand.
TOGNINO servitore di monsieur Rigadon.
FALOPPA servo del conte Anselmo.
Un NOTARO.
SCENA PRIMA
Monsieur Rigadon, Giuseppina, Rosalba, Felicita, Filippino, Carlino, altri ballerini e ballerine; tutti a sedere, fuorchè Rigadon. Mentre di vedono questi due in azione, Felicita imparando a ballare il minuetto, e Rigadon insegnandole col suo violino
RIG. |
Alto con quella testa: il petto in fuori: Quelle punte voltate un poco più: Quei ginocchi ogni dì si fan peggiori, Ballate il malanno che vi colga; Quella testa, vi dico, alzate in su. E non è giusto che di voi mi dolga? Son tre anni che sudo e mi affatico, E non v'è dubbio, che un danar ricolga. Ve l'ho detto più volte, e vel ridico: |
Signor maestro, non vi riscaldate; Se non faccio per voi, me n'anderò, |
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RIG. |
Sì, gioja mia, ve n'andereste, il so, (ironico) Dopo che per tre anni v'ho insegnato; La mia scrittura mantenere io vo'; Voglio de' miei sudori esser pagato; |
Oh in questo poi da ridere mi viene. In teatro non vo, vi parlo chiaro, Né men se mi strascinan le catene. Se disposta non son, se non imparo, Non vo' farmi burlar pubblicamente |
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RIG. |
Fate il vostro dovere, impertinente; O farò contro voi qualche ricorso, |
Terminiamo, signor, questo discorso. |
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RIG. |
Così si parla, petulante, audace? (Ma questo è l'uso delle mie scolare, E mi conviene sopportarlo in pace. Oggi siam tanti che, chi vuol mangiare, |
RIG. |
Vieni a ballare. |
RIG. |
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RIG. |
Che la testa vi caschi a tutti due. Si pensa solo a far l'amor, bricconi; Ed a ballar non ci si pensa piue. E i maestri han da star come talponi? E han da perdere il tempo inutilmente? Queste son proprio disperazioni. |
CARL. |
Eccomi qui. |
RIG. |
Tu più valente Mostrati di costoro. Buon ragazzo, Vieni alla lezion immantinente. |
CARL. |
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RIG. |
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CARL. |
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RIG. |
Se non impazzo, È un miracolo certo. Ognun procura Di farmi disperar sera e mattina, E mi voglion cacciare in sepoltura. Hanno il diavolo in corpo. Giuseppina. |
GIUS. |
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RIG. |
Venite qui. Facciam qualcosa, Non mi fate arrabbiar; siate bonina. So che siete per me la più amorosa, |
GIUS. |
Grata vi son del parziale affetto. |
RIG. |
Sì, ne sono sicuro, e mi consolo Quando parlo con voi, quando vi vedo, Che propriamente mi andate a fagiuolo. Il conte Anselmo che vien qui, non credo Che altro esiga da voi che buona ciera, E per questo trattarlo io vi concedo. È vero che alla cena di iersera Vi parlò nell'orecchio eternamente, E non mi piacque quella sua maniera. Ma pensai ch'egli spende, e civilmente Soffrir si può da un uomo generoso Qualche scherzo giocoso indifferente. Io non sono perciò di lui geloso; Coltivatelo pur; ma non vorrei, |
GIUS. |
Oh caro maestro mio, so i dover miei; E se un re mi volesse incoronare, La corona per voi rinunzierei. Ma son povera figlia, e col ballare Non mi lusingo di una gran fortuna, In casa vostra spesso si digiuna; Il Conte manda sempre qualcosetta, |
RIG. |
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GIUS. |
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RIG. |
Tutti i spiacer che dai scolari io provo, Compensati mi son da quell'onesta Bontà, che in voi per mia ventura io trovo. Principiamo. (vuol ballare con Giuseppina) |
LUCR. |
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RIG. |
E chi è cotesta Che mi viene a seccar? Se con voi sono, |
LUCR. |
Signor maestro, chiedovi perdono. Ho una cosa da dirvi in confidenza; |
RIG. |
Giuseppina, mi date la licenza |
GIUS. |
So del vostro mestier la convenienza. Vostra sorella mi ha pregato ieri Le facessi una cuffia; andrò frattanto A dar mano per essa ai lavorieri. (Egli mi crede, e mi approfitto intanto |
RIG. |
Signori miei, nell'altro appartamento Ad attendermi andate. È necessario Che mi lasciate qui per un momento. Aspetto questa mane un impresario, Che vuol far compagnia di danzatori, E si ha a trattar di posto e di onorario. Per non incomodar loro signori |
Le grazie che il maestro ci dispensa, Accetterem con giubilo infinito. (via) |
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RIG. |
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RIG. |
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Signor no. |
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RIG. |
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RIG. |
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RIG. |
Sì sì, quando si tratta di mangiare, Felicita è cortese. Io mi confido Nel conte Anselmo. Il manderò a avvisare. Ei che di generoso aspira al grido, Manderà da pranzar per tutti noi, In grazia di colei, ch'è il suo Cupido. |
LUCR. |
Eh sì signore: Ognun far deve gl'interessi suoi. So che voi siete un uomo di valore: Ho una figlia che balla, e bramerei Che in grazia vostra si facesse onore. Son nata bene, e se i parenti miei Non mi avessero tutti abbandonata, In carrozza coi paggi andar potrei. Per mantener la figlia mia onorata, E fuor d'ogni pericolo del mondo, Sul teatro ballar l'ho consigliata. La pura verità non vi nascondo; Ha la mia figlia abilità infinita; Ma a pagar il maestro io mi confondo. Se vedeste, signor, che bella vita! Che grazia, che beltà, che portamento! E quel che stimo, non è figlia ardita. Quando potei, per suo divertimento Insegnare le feci; ed or, meschina! Trar dee dal ballo il suo sostentamento. Se volete veder la mia Rosina, Or la faccio venir; sta qui di fuori, Accompagnata da una sua vicina. Non ci sarà; non vo' che la mia figlia Abbia intorno serventi o protettori. Vi è un cavalier, che per la mia famiglia Ha della carità, che mi soccorre Che mi aiuta, mi assiste e mi consiglia. Ei per la figlia mia fa quel che occorre Ma è solo e vecchio, è un cavalier dabbene, E di cose d'amor non si discorre. Ecco Rosina, eccola che viene. La raccomando a voi, la poverina; |
RIG. |
Io mi credea che tutta la mattina Andaste dietro a favellar voi sola Della vostra bellissima Rosina. Dirvi non ho potuto una parola E aspetto di rispondere a dovere |
LUCR. |
Siete a tempo venuta. |
ROS. |
Sto a vedere Che vi siate di me scordata affatto |
RIG. |
La mamma vostra un cicalare ha fatto Così lungo di voi, che si è scordata |
LUCR. |
Lasciam ire cotesto. Or che mirata L'avete, che vi par della fanciulla? Non è proprio una giovane garbata? Badate a mene, non le manca nulla; |
RIG. |
Madonna mia, se mai per avventura Vi credeste parlar con qualche cieco Util saria la vostra dipintura. Ma vi vedo, sorella, ed ho qui meco, Pronto al bisogno, il mio signor violino, Con cui far possa esperïenza seco. |
LUCR. |
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ROS. |
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LUCR. |
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RIG. |
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ROS. |
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LUCR. |
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RIG. |
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ROS. |
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RIG. |
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LUCR. |
Non si canzona. (applaudendo alla figlia) Vi farà, se volete, ancora il salto... |
RIG. |
Basta così per or; la caravana Bisogna fare, e principiar da capo Per imparar la scuola di Toscana. Se la vostra figliuola ha sale in capo Circa l'abilità non mi scontento, E in poco tempo noi verremo a capo. Ma qual sarebbe il vostro sentimento? Mi volete pagare un tanto al mese, O volete facciamo un istrumento? |
LUCR. |
Ora non sono in caso di far spese. |
ROS. |
Disse, che se bastasse un regaletto, |
RIG. |
Quello dunque facciam, che alla giornata Praticare si suol: le insegnerò Fino che mi parrà perfezionata; Procurarle i teatri io penserò, E di quel che la giovane guadagna, Per dieci volte la metade avrò. E se va, per esempio, in Francia o in Spagna, Voglio la mia metà dall'impresario. |
LUCR. |
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RIG. |
Han le scolare mie per ordinario Qualchedun che le aiuta. |
LUCR. |
In casa mia Va la cosa per or tutto al contrario. Quel cavalier, che non vo' dir chi sia, Quando n'ha avuti, n'ha sprecati assai; Ma è rifinito, e non è quel di pria. Io, monsieur Rigadon, mi lusingai |
RIG. |
Anche questo farò; ma fra la scuola |
LUCR. |
Ed io, caro signor, che stento e peno, |
RIG. |
Ho da fare le spese alla famiglia, Ho da insegnar, ho d'arrischiare il mio? Questa cosa, per dirla, mi scompiglia. |
LUCR. |
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RIG. |
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LUCR. |
Dunque la figlia mia può far contratto |
RIG. |
Io non intendo mettervi il capestro. |
LUCR. |
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ROS. |
(Eh sì, signora. Accordiamogli pur quel ch'ei domanda. |
RIG. |
E se qualcuno a regalar vi manda, Consegnatelo a me subitamente, Ch'io ve lo voglio mettere da banda. Poiché, oltre al mangiar perpetuamente, Occorron cento coserelle intorno; E i' non voglio per ciò spender niente. |
ROS. |
Dice ben, dice bene. (Verrà il giorno Che farò a modo mio). (da sé) |
LUCR. |
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RIG. |
Eh vi è tempo; già il mese è principiato. |
LUCR. |
No no, verremo a desinar da voi. |
ROS. |
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RIG. |
Un giorno poi Di qualche buon precetto salutare Parleremo in segreto fra di noi. Questo sempre ho avvertito alle scolare: |
LUCR. |
Eh, in questo poi non temete niente; Io son sua madre, e in simile faccenda Sono stata ancor io donna eccellente. (via) |
RIG. |
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ROS. |
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RIG. |
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ROS. |
Verrò prestissimo. (via) |
RIG. |
Questa ragazza ha abilità stupenda. Poi ha un occhio brillante e vivacissimo: È bella; e mi dispiace, a dir il vero, Ch'io sono a innamorarmi facilissimo. Sia vizio di natura, o del mestiero, Quando mi si presenta una scolara, Bella o brutta che sia, piacerle io spero. È ver che Giuseppina è la mia cara, Ma se mi prendo qualche libertà, Ella pur non sarà con tutti avara. Affé di Dio, che il conte Anselmo è qua. Io mi voglio provar, giacché è venuto, Di prevalermi della sua bontà. |
Il Conte Anselmo, Faloppa e detto
RIG. |
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CON. |
Vi saluto. Che fate? State ben? |
RIG. |
Per obbedirla. |
CON. |
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RIG. |
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CON. |
Giuseppina che fa? |
RIG. |
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CON. |
Si potrebbe veder? |
RIG. |
Sarà a servirla. |
CON. |
Permettete ch'io vada? |
RIG. |
Ella è padrone; Ma mi dispiace, che per rio destino Troverà la famiglia in confusione. |
CON. |
Perché? |
RIG. |
Mio servitore ha fatto sì gran foco, Che s'è accesa la canna del cammino. E mi dispiace ch'egli è un tristo cuoco, E il tempo passa, e affé questa mattina, Per quel ch'i' vedo, si vuol mangiar poco. E mi rincresce per la Giuseppina |
CON. |
Non si può rimediare in qualche modo? Volete che mandiam dal pasticciere? |
RIG. |
|
CON. |
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FAL. |
Mio signor. |
CON. |
Se il pasticcier può farmi un desinare. (a Faloppa) E per quanti si avrebbe a provvedere? (a Rigadon) |
RIG. |
Non vorrei che s'avesse a incommodare. |
CON. |
Dodici? e perché tanti? |
RIG. |
Ha voluto invitar le sue compagne, E saran poco men di una dozzina. Se non ha quel che vuol, s'arrabbia e piagne: |
CON. |
Vanne, e dirai al pasticcier francese, Che prepari per dodici persone |
FAL. |
Ho capito l'intenzione; Poco e polito all'uso fiorentino, Perché il troppo mangiar fa indigestione. (via) |
RIG. |
Mi dispiace davvero, che il destino Abbia da far cader sopra di lei |
CON. |
No, monsieur Rigadon, coi pari miei D'uopo non v'è d'affaticar l'ingegno; Più leale e sincero io vi vorrei. Già del vostro pensier son giunto al segno; Di compiacervi il mio desire agogna. Lo farò con amore e con impegno. Per Giuseppina, per voi quel che bisogna Comandatemi pur liberamente; |
RIG. |
Affé che l'ha piantata dolcemente, E mi credea d'aver pensato in guisa Da non scoprirmi così facilmente. Alla fin fine vo' gettar in risa; Ei viene a incommodarmi in casa mia, Ed io non vesto colla sua divisa. Non faccio il ballerin per bizzarria; Ho lasciato di fare il parrucchiere Per insegnare la coreografia. È ver che poco ne poss'io sapere, E che i bravi maestri m'odian tutti, Perché vado sporcando il lor mestiere. Ma intanto i' colgo dell'industria i frutti, E monsieur diventai colla bravura Di storpiare le fanciulle e i putti. E mia germana, postasi in altura, Della mia nobiltà si pavoneggia, Ch'è propriamente una caricatura. Crede che questa casa sia la reggia, Che ogni scolara suddita le sia; E ciascun dolcemente la pasteggia. Ma il Conte è entrato dentro, e non vorria Che a Giuseppina facesse il galante: Qualche volta ho un tantin di gelosia. Ho delle ballerine tante e tante, Ma questa più dell'altre mi ha colpito Colla grazia, col vezzo e col sembiante. E mi lusingo d'esserle marito, E quando arriverà ad esser mia sposa, |
SCENA PRIMA
Giuseppina e detto.
GIUS. |
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CON. |
Sempre disposto, (inchinandola) Giuseppina vezzosa, ad obbedirvi, |
GIUS. |
Voi parlate così per divertirvi. Voi siete il solo cui gradir mi piace, E da voi stesso potete chiarirvi. |
CON. |
Di contradirvi non sarò sì audace; |
GIUS. |
Se faccio al poveruom qualche finezza, Follo per imparar presto il mestiero. Benché, per favellar con candidezza, Il mestier del ballar mi piace poco, E conosco che ho fatto una sciocchezza; Ma se la provvidenza a tempo e loco M'aprirà qualche strada, vel protesto, Fuggo il ballar, come si fugge il foco. Non dico che non sia mestiere onesto Per chi ha buona intenzion di farlo bene, Ma il teatro sovente è assai funesto. Poco mi alletta grandïosa spene Di far ricchezze; non son persuasa Che si facciano a forza di far bene. Per me starei più volentieri in casa, Se lo volesse il ciel, con un marito; Ché non son troppo dei piaceri invasa. Ma la mia trista sorte ha stabilito, |
CON. |
Giuseppina, codesti sentimenti Sono degni di voi; me ne compiaccio, E non avete favellato ai venti. Quel che penso di voi, per ora io taccio; |
GIUS. |
Lo so, signor, che un cavalier voi siete Pieno di carità; ne ho mille prove Di quel tenero amor che per me avete. Anche oggi, signor, con grazie nuove Favorita mi vedo, e mi dispiace Che tal gente indiscreta si ritrove: E che il maestro un poco troppo audace Valgasi del mio nome a satollare Questa, dirò così, turba vorace. Una cosa direi; ma no, mi pare La proposizion troppo avanzata. |
CON. |
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GIUS. |
Se qualche cosa avete destinata Per me, che tanto l'aggradisco e tanto, Che non lo sappia tutta la brigata. Se vi par ben, tiratemi in un canto: Datemi il vostro don celatamente, Ed io nascosto lo terrò frattanto. Ma non state a gettare inutilmente Il danaro in fatture; perdonate Se vi parlo un po' troppo arditamente. Quel che di regalarmi destinate, Se lo date in danar, lo metto via, E profitto del ben che voi mi fate; E se mercé la vostra cortesia In grado mi trov'io di prender stato, |
CON. |
No no, per dir il ver, un certo misto Mi ha nel vostro parlar maravigliato Ma la ragion della domanda ho visto; Se il fondo è buono, come in voi mi pare, Il fin non posso dubitar sia tristo. Non è cosa ben fatta il domandare; |
RIG. |
(Eccoli qui davvero. Ancor ci sono). (da sé) |
CON. |
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RIG. |
L'avete ringraziato del suo dono? (a Giuseppina) |
CON. |
Non parlate di ciò, ve l'avvertisco: |
RIG. |
Al mio giusto dover non preterisco. (con una riverenza) Giuseppina, di brio la casa è piena. Ho accordato a ballar sapete chi? Se vel dirò, lo crederete appena. Per prima ballerina. |
GIUS. |
Ove? |
RIG. |
A Pistoia. |
GIUS. |
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RIG. |
Ella è così. |
GIUS. |
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RIG. |
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GIUS. |
Convien essere al mondo fortunati; Ma Felicita poi cosa farà? |
RIG. |
Farà i soliti passi impasticciati. Per voi, che avete dell'abilità, Vi è un incerto miglior. (Vo' un po' vedere Se il signor Conte ci ha difficoltà). (da sé) |
GIUS. |
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RIG. |
A Peterburgo coi viaggi pagati, |
GIUS. |
Cosa son questi rubli? |
RIG. |
Son quasi ai nostri scudi fiorentini. |
GIUS. |
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CON. |
Tosto in sentire a nominar quattrini Vi è la brama venuta, ed è smarrito L'odio contro al mestier dei ballerini. (a Giuseppina) |
GIUS. |
Io, signore, non ho quest'appetito. Se col vostro bel cor mi consigliate, |
RIG. |
Come! senza di me voi v'impegnate? Chi è padron di dispor della scolara? Affé di bacco, mi scandolizzate. Se una buona fortuna si prepara Per voi, per me, s'ha da lasciar fuggire? Questa bella pazzia dove s'impara? Non vi lasciate dalla bocca uscire |
CON. |
Maestro mio, non vi avanzate tanto, Ch'io vi capisco, e vi farò pentito. Nato son cavaliere, e tal mi vanto. La Giuseppina trovasi al partito Di bilanciar per me la sua fortuna, E lasciar per Firenze il Moscovito. Io non avrò difficoltade alcuna |
RIG. |
(Abbiam preso il merlotto in buona luna). (piano a Giuseppina) Per dir la verità, questa è la strada; Quando che si vuol bene a una fanciulla, Colle parole non si tiene a bada. Amor, protezion non conta nulla. |
GIUS. |
Accettarli però non mi conviene. |
RIG. |
Perché? |
GIUS. |
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RIG. |
Voi fate torto a un cavalier dabbene: La pietà del suo core è la ragione Che lo sprona all'onesto sagrifizio, E non è mosso d'altra passione. Accettate senz'altro il benefizio. Dei mille scudi la metà mi tocca, E i cinquecento mi faran servizio. |
CON. |
No, no, la destra mia non è sì sciocca Di gettar il danaro a chi nol merta. Maestro mio, spazzatevi la bocca. Per Giuseppina la mia casa è aperta. Voi da me non sperate un sol quattrino; Già la vostra malizia ho discoperta: |
GIUS. |
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RIG. |
Ho piacere ancor io, se il ciel v'aiuta; Ma che aiuti voi sola, e a me nïente, Per i miei denti è un masticar cicuta. Perdo il guadagno, e poi probabilmente Perderò voi, ché il cavalier pietoso Credo non sarà poi tanto innocente. E ho da tacer? se per amor geloso Fossi soltanto, metterei giudizio, E un rival soffrirei ch'è generoso. Ma la rabbia mi sale all'occipizio, Perché oltre all'affetto che vi porto, Sono, se mi lasciate, in precipizio. (via) |
GIUS. |
Dica quel che sa dir, si lagna a torto. Questa non è la via di far guadagno; Chi nel torbido pesca, è malaccorto. Il mio maestro è un avoltor grifagno, |
SCENA PRIMA
RID. |
Di chi parlate? |
FABR. |
Di voi, e della vostra bricconata. |
RID. |
Ehi, de' ghangheri fuori non andate. |
FABR. |
Uno che mercanzia fa di menzogne, |
RID. |
|
FABR. |
Una truffa patente e criminale. La ballerina che mi si promette, |
RID. |
|
FABR. |
E mi ha fato alla prima intirizzire; Disse che il ballo non apprese mai, |
RID. |
Oh quanto mal son le fanciulle accorte! Quanto gli uomini sono (tali e quali) Baggiani in vita, e babbuassi in morte! Felicita ha gli umori matricali: Quando sente propor la dipartenza, Le vengono d'intorno cento mali. Vi ha burlato, signore, in coscïenza; Ella vi ha detto non saper ballare, Ed il ballo lo sa per eccellenza: Se la vedrete, vi farà incantare. Ha un piede svelto come una cervetta, Ed ha una gamba che fa innamorare. Ha il ginocchio disteso; e non difetta Né di ciccia soverchia, né di poca, Mostrando in ciò proporzion perfetta. Il collo non ha lungo come un'oca, Ma ritondetto, e se vedeste come L'occhio e la testa, quando balla, giuoca. Sono vezzose in lei fino le chiome; Vi assicuro non passano due anni, Che risuona per tutto il di lei nome. E i Francesi, e i Spagnuoli, ed i Britanni Per averla daran mille zecchini, E tutto il mondo metterà in affanni. E voi, che si può dir per sei quattrini L'avete avuta, sentirete il chiasso Che ne faranno i vostri cittadini. Io vi consiglio non muovere un passo. Se il maestro lo sa che vi dolete, Ve la ritoglie, e poi vi manda a spasso. Conducetela vosco, se volete; Quando il lungo Arno le sarà lontano, Ridere e saltellar voi la vedrete. Ma fin che state qui, sperate invano |
FABR. |
Dunque cosa ho da far? |
RID. |
Senza disputa, |
FABR. |
Sì, lo farò. Son più contento, adesso Che mi avete di tanto assicurato. Perdono in lei l'ostinazion del sesso. (via) |
RID. |
Povero galantuom, sarà imbrogliato. Ma è più imbrogliato maestro Rigadone, E alfine gliel'ha data a buon mercato. Oggi le brave hanno pretensione Di trecento zecchini, o quattrocento, E metton tutto il mondo in confusione. Da ridere mi vien, qualora sento All'impresario dir la ballerina: Vo' la carrozza, vo' l'appartamento. Non si ricorda più la poverina, Di quando andava senza scarpe in piede Dal maestro di ballo ogni mattina; E perché un poco di danar si vede, E le fan le moine i spasimanti, Cambiata aver condizïon si crede. Ecco madama. Oh, ha pur dei grilli tanti |
LUCR. |
|
ROS. |
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MAD. |
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LUCR. |
(Che saluto è cotesto impertinente!) (a Rosina) |
ROS. |
|
LUCR. |
|
MAD. |
|
ROS. |
|
LUCR. |
(Che pupazza!) |
ROS. |
|
MAD. |
Siete voi ballerina? |
ROS. |
|
MAD. |
Imparerete, se avrete cervello. |
LUCR. |
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ROS. |
Imparan tante, |
MAD. |
Alla favella |
LUCR. |
(Che ti possa venire la rovella!) |
ROS. |
Perché, signora mia? |
MAD. |
Perché non parla |
LUCR. |
Presto, Rosina, vanne ad inchinarla; Favorisca la mano, gentildonna, (ironicamente) |
MAD. |
Chi vi pensate corbellar, madonna? In questa casa sono io signora. Non soffro insulti da un'ignobil donna. Ogni scolara mi rispetta e onora; E chi la grazia del maestro brama, La mia protezion soltanto implora. Se farete così, meschina e grama Vostra figlia sarà. |
ROS. |
Signora mia... |
MAD. |
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LUCR. |
|
ROS. |
Sì andiamo, a costo di precipitarmi. |
LUCR. |
Aspetta. Col maestro i' vo' sfogarmi. S'egli le parti tien della sorella, Non ci penso una spilla a licenziarmi. (via) |
ROS. |
Maledetta superbia! Oh, questa è bella! |
CARL. |
Oh Rosina! |
ROS. |
Oh Carlino! |
CARL. |
In questa casa? |
ROS. |
|
CARL. |
Come! lo fai per me, Rosina ingrata? Sai che ti voglio bene, ed or che vedi Ch'io son qui teco, ti sei disgustata? |
ROS. |
Ci starei volentier più che non credi; |
CARL. |
Lasciala dir, non le badar, mia vita: Entra per poco in questa soglia amara, Ché presto forse troverem l'uscita, Se il cielo una fortuna mi prepara. |
ROS. |
|
CARL. |
Quando ci sarò io, non dubitare. Di quel poco ch'avrò, sarai padrona. |
ROS. |
Il mio poter non lascerò di fare |
CARL. |
|
ROS. |
|
CARL. |
Io so il perché. Perché il regal non viene. Ma poscia i ballerini sono quelli |
ROS. |
Non spunta ancora dalla bianca pelle Di Carlino la barba; e so che è bravo, E da lui posso procacciar covelle. |
LUCR. |
Della sorella il maestruccio è schiavo: Vuol che alla principessa ognun s'inchini. |
ROS. |
Oh mamma mia, non abbiamo quattrini; Statevi zitta, siate benedetta: Finalmente non storpiano gli inchini. Lasciate che a ballare mi rimetta, Tanto ch'io possa escir la prima volta; Se madama vuol dir, non le diam retta. Cozzar coi muriccioli, è cosa stolta: |
LUCR. |
La tavola ho veduto si prepara: |
ROS. |
Il motivo non sa la madre mia, Che mi ha fatto restar. Son giovinetta, |
SCENA PRIMA
MAD. |
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TOGN. |
|
MAD. |
Vammi a cercar Ridolfo, e fa che tosto Venga da me. |
TOGN. |
Sì presto?... |
MAD. |
|
TOGN. |
Mi ho riposto |
MAD. |
|
TOGN. |
|
MAD. |
A me che preme? |
TOGN. |
Se a vossignoria Non importa il mangiar, sia con rispetto, È una stoccata per la gola mia. Quando ritorno, ritrovar mi aspetto |
MAD. |
Gran mala cosa, che da sé non puossi Far sue faccende senza di costoro, Che han propriamente pel bastone i dossi, E vonno esser pagati a peso d'oro; E se tarda il salario, o la derrata, I monellacci pagansi da loro. Mi ha cotesto birbone inquïetata; E temo sempre d'esser corbellata. Non ho per questo di mangiar desio; Mangerò, quando avrò vicino al desco, Se la sorte lo vuol, lo sposo anch'io. Il mio germano in verità sta fresco, Se crede che per tutti i giorni miei Voglia star sola a ridere in cagnesco. Che venisse Ridolfo i' bramerei: Frattanto che alla tavola sen stanno, Il tempo e il loco stabilir potrei. Filippino e Rosalba cosa fanno Soli colà dagli altri dipartiti? Parleranno d'amore, e non m'inganno. Pare che sian rimasti intimoriti, Perch'io li ho discoperti. In mia presenza Esser non pon soverchiamente arditi. Vengono a questa volta; indifferenza Mostrerò seco loro, e vo' vedere Se usan meco rispetto, o escandescenza. |
(È poco male, |
|
Madama, che in bontà non ha l'eguale, Da voi venghiamo a domandarvi aiuto. |
|
MAD. |
|
MAD. |
|
MAD. |
|
MAD. |
(Mi fan tai detti insuperbir non poco). |
Eccomi al vostro piè... |
|
MAD. |
Uomo dinanzi a me; non son sì altera; Basta che l'umiltà del cor si mostri. Quel che in me si confida, invan non spera. Che ho da fare per voi? |
Ma innanzi sera. |
|
MAD. |
Piacemi inver la spiritosa idea: |
MAD. |
Orsù, mi avrete generosa e umana. Un no il germano ad un mio sì non dice: Seguitate ad amarvi, io pur ne godo, E sarà il vostro cor per me felice. Di far le nozze troverassi il modo; Se 'l negasse il maestro, io vel prometto, Preparate le destre al dolce nodo. Ma sappiate ch'io pure ardo d'affetto; E altri sponsali tollerar non voglio Prima delle mie nozze in questo tetto. E sia questa giustizia, oppure orgoglio, |
Ma se il maestro dell'amor s'avvede, E la germana non abbiam seconda, Dirà che al patto noi manchiam di fede. E quel cervel che di rigori abbonda, |
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Anzi ch'ei possa giungere a tal passo, |
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Soddisfare saprò le vostre brame... Chi viene? |
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Giuseppina, anch'essa credo |
Giuseppina e detti.
GIUS. |
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Ambi ci ha colti l'amorosa smania. |
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GIUS. |
E voi studiate prevenire il lutto: Molte cose non fatte han suoi perigli; Ma quando è fatto, si rimedia a tutto. Finalmente non siam nepoti o figli |
Così mi piace. Giuseppina, io godo. |
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GIUS. |
È diversa da lor la sorte mia; Essi son nati per natura eguali: Io mi lusingo entrare in signoria. Il Conte è un cavalier de' principali, E i segni che mi dà d'affetto vero, Sono segni patenti e modernali. Alla prima, per dirla, avea in pensiero Di tirare un po' d'acqua al mio molino Come fan tante di questo mestiero, E poi scrivere il nome al tavolino Nella lista di tanti protettori, Scordati affatto dal mio cervellino. Ma capisco che i suoi non sono amori Passeggieri, volanti, e da dozzina; Ma mi fanno sperar cose maggiori. Quello che disse a me questa mattina, Quando finsi per lui lasciar la paga Di mille rubli, fa veder che inclina A starci meco, e che di me si appaga: S'ella è così, lo vo' provar di botto, Finché calda nel seno è ancor la piaga. Eccolo, che ver me sen vien di trotto; |
CON. |
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GIUS. |
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CON. |
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GIUS. |
Sì, ma non tutte. |
CON. |
Sempre non dassi compagnia perfetta. Or, per esempio, che con voi mi trovo, Piacerebbevi meglio di esser sola? |
GIUS. |
Per me da voi questo parlar vien nuovo. Merito forse, povera figliola, Esser da voi mortificata a segno |
CON. |
No, Giuseppina: non diss'io per sdegno; Godo sentirmi replicar sovente Che vi son caro, e non d'amore indegno. Di questa mane mi ritorna in mente Il sagrifizio che per me faceste: Son cavaliere, e un cavalier non mente. Deonsi rimeritar le opere oneste: |
GIUS. |
Oimè, signor, qual fantasia vi nacque Sopra di me? Di povera donzella A qual tristo pensier l'onor soggiacque? Ma, mi direte voi, non sei tu quella Che mi chiese stamane arditamente Qualche piccolo dono in sua favella? È vero, è vero, ed il mio cor risente D'amara pena e di vergogna il foco: Perdon vi chiede, e dell'ardir si pente; Ma alla fin fine i' non chiedea che poco, E il picciol don d'un cavalier d'onore A sinistro desir non apre il loco. Mille doppie di Spagna è tal favore, Che innocente non sembra, ed in pensarlo Si gela il sangue, e mi s'aggruppa al core. Franca, signor, senza rimorsi io parlo: Faccio questo mestier per mia sfortuna; Ma son chi sono, e con onor vo' farlo. Se nell'animo vostro il genio aduna |
CON. |
Quanto accresce quest'ira il vostro merto! Mille doppie di Spagna è tal rifiuto, Che vi guadagna fra le donne il serto. Ma non pertanto il mio pensier non muto; Fu dell'onor, non dell'amore un pegno, Questo al merito vostro umil tributo. E se il basso metal vi move a sdegno, Senza premio virtù perciò non vada; |
GIUS. |
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CON. |
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GIUS. |
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CON. |
Bramereste il ballar lasciar da parte? |
GIUS. |
Abborrisco un mestier che per il mondo |
CON. |
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GIUS. |
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CON. |
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GIUS. |
Ha i semi in tutti di virtude ascosi. Donna volgar, dalle sventure oppressa, Per ciò non perde di ragione il lume, Né dalla sorte l'anima è depressa. L'onestà, la prudenza, il buon costume Solo non è dei nobili retaggio; Parte siam tutti dello stesso nume. Tra la folla del volgo, un cuor ch'è saggio |
CON. |
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GIUS. |
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CON. |
Donna gentil, parlatemi sincera: |
GIUS. |
Spero, signor, mercé di lui che all'etra, E alla terra, ed al mar la legge impone, Ch'ogni tristo pensier da voi s'arretra. Spero che di fortuna al paragone L'onestà messa, e il femminil decoro, Degna sia della vostra compassione. Spero offerto da voi siami il tesoro Dell'amor, della fede... oimè, fin dove I pensier vanno a contrastar fra loro! Un: va, mi dice, a delirare altrove; |
CON. |
Il desir vostro senza sdegno ho udito. Ogni disuguaglianza amore uguaglia: Voi meritate un nobile partito. |
GIUS. |
Ah no, signore, L'improvviso splendor sovente abbaglia. Tempo donate al conceputo ardore; Esaminate se di voi son degna; Tardi si pente chi ha ceduto il cuore. Se l'amor vostro a mio favor s'impegna, Fatelo sì che non risenta il grado Il peso un dì della catena indegna. Quando ha varcato dell'amore il guado Il nocchier stanco sull'opposto lido, Il goduto piacer canta di rado. No, non v'inganni il seduttor Cupido. Vi do tempo a pensar; di un primo foco, Perdonate, signore, io non mi fido. Vi lascio sol, ritornerò fra poco; |
CON. |
Il giusto ciel che ha le bell'alme in cura, Per me questa riserbi; io non mi pento: |