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LEONARDO: Non posso soffrire che la signora Giacinta tratti Guglielmo. Ella dice che dee tollerarlo per compiacere il padre; che è un amico di casa, che non ha veruna inclinazione per lui; ma io non sono in obbligo di creder tutto, e questa pratica non mi piace. Sarà bene che io medesimo solleciti di terminare il baule.
VITTORIA: Signor fratello, è egli vero che avete ordinato i cavalli di posta, e che si ha da partir questa sera?
LEONARDO: Sì certo. Non si stabilì così fin da ieri?
VITTORIA: Ieri vi ho detto che sperava di poter essere all'ordine per partire; ma ora vi dico che non lo sono, e mandate a sospendere l'ordinazion dei cavalli, perché assolutamente per oggi non si può partire.
LEONARDO: E perché per oggi non si può partire?
VITTORIA: Perché il sarto non mi ha terminato il mio mariage.
LEONARDO: Che diavolo è questo mariage?
VITTORIA: È un vestito all'ultima moda.
LEONARDO: Se non è finito, ve lo potrà mandare in campagna.
VITTORIA: No, certo. Voglio che me lo provi, e lo voglio veder finito.
LEONARDO: Ma la partenza non si può differire. Siamo in concerto d'andar insieme col signor Filippo, e colla signora Giacinta, e si ha detto di partir oggi.
VITTORIA: Tanto peggio. So che la signora Giacinta è di buon gusto, e non voglio venire col pericolo di scomparire in faccia di lei.
LEONARDO: Degli abiti ne avete in abbondanza; potete comparire al par di chi che sia.
VITTORIA: Io non ho che delle anticaglie.
LEONARDO: Non ve ne avete fatto uno nuovo anche l'anno passato?
VITTORIA: Da un anno all'altro gli abiti non si possono più dire alla moda. È vero, che li ho fatti rifar quasi tutti; ma un vestito novo ci vuole, è necessario, e non si può far senza.
LEONARDO: Quest'anno corre il mariage dunque.
VITTORIA: Sì, certo. L'ha portato di Torino madama Granon. Finora in Livorno non credo che se ne siano veduti, e spero d'esser io delle prime.
LEONARDO: Ma che abito è questo? Vi vuol tanto a farlo?
VITTORIA: Vi vuol pochissimo. È un abito di seta di un color solo, colla guarnizione intrecciata di due colori. Tutto consiste nel buon gusto di scegliere colori buoni, che si uniscano bene, che risaltino, e non facciano confusione.
LEONARDO: Orsù, non so che dire. Mi spiacerebbe di vedervi scontenta; ma in ogni modo s'ha da partire.
VITTORIA: Io non vengo assolutamente.
LEONARDO: Se non ci verrete voi, ci anderò io.
VITTORIA: Come! Senza di me? Avrete cuore di lasciarmi in Livorno?
LEONARDO: Verrò poi a pigliarvi.
VITTORIA: No, non mi fido. Sa il Cielo, quando verrete, e se resto qui senza di voi, ho paura che quel tisico di nostro zio mi obblighi a restar in Livorno con lui; e se dovessi star qui, in tempo che l'altre vanno in villeggiatura, mi ammalerei di rabbia, di disperazione.
LEONARDO: Dunque risolvetevi di venire.
VITTORIA: Andate dal sarto, ed obbligatelo a lasciar tutto, ed a terminare il mio mariage.
LEONARDO: Io non ho tempo da perdere. Ho da far cento cose.
VITTORIA: Maledetta la mia disgrazia!
LEONARDO: Oh gran disgrazia invero! Un abito di meno è una disgrazia lacrimosa, intollerabile, estrema. (Ironico.)
VITTORIA: Sì, signore, la mancanza di un abito alla moda può far perder il credito a chi ha fama di essere di buon gusto.
LEONARDO: Finalmente siete ancora fanciulla, e le fanciulle non s'hanno a mettere colle maritate.
VITTORIA: Anche la signora Giacinta è fanciulla, e va con tutte le mode, con tutte le gale delle maritate. E in oggi non si distinguono le fanciulle dalle maritate, e una fanciulla che non faccia quello che fanno l'altre, suol passare per zotica, per anticaglia; e mi maraviglio che voi abbiate di queste massime, e che mi vogliate avvilita e strapazzata a tal segno.
LEONARDO: Tanto fracasso per un abito?
VITTORIA: Piuttosto che restar qui, o venir fuori senza il mio abito, mi contenterei d'avere una malattia.
LEONARDO: Il Cielo vi conceda la grazia.
VITTORIA: Che mi venga una malattia? (Con isdegno.)
LEONARDO: No, che abbiate l'abito, e che siate contenta.