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LEONARDO: (Ah! vorrei nascondere la mia passione, ma non so se sarà possibile. Sono troppo fuor di me stesso).
VITTORIA: Eccoci qui, signor fratello, eccoci qui a lavorare per voi.
LEONARDO: Non vi affrettate. Può essere che la partenza si differisca.
VITTORIA: No, no, sollecitatela pure. Io sono in ordine, il mio mariage è finito. Son contentissima, non vedo l'ora d'andarmene.
LEONARDO: Ed io, sul supposto di far a voi un piacere, ho cambiato disposizione, e per oggi non si partirà.
VITTORIA: E ci vuol tanto a rimettere le cose in ordine per partire?
LEONARDO: Per oggi, vi dico, non è possibile.
VITTORIA: Via, per oggi pazienza. Si partirà domattina pel fresco; non è così?
LEONARDO: Non lo so. Non ne son sicuro.
VITTORIA: Ma voi mi volete far dare alla disperazione.
LEONARDO: Disperatevi quanto volete, non so che farvi.
VITTORIA: Bisogna dire che vi siano de' gran motivi.
LEONARDO: Qualche cosa di più della mancanza d'un abito.
VITTORIA: E la signora Giacinta va questa sera?
LEONARDO: Può essere ch'ella pure non vada.
VITTORIA: Ecco la gran ragione. Eccolo il gran motivo. Perché non parte la bella, non vorrà partire l'amante. Io non ho che fare con lei, e si può partire senza di lei.
LEONARDO: Partirete, quando a me parerà di partire.
VITTORIA: Questo è un torto, questa è un'ingiustizia, che voi mi fate. Io non ho da restar in Livorno, quando tutti vanno in campagna, e la signora Giacinta mi sentirà se resterò a Livorno per lei.
LEONARDO: Questo non è ragionare da fanciulla propria, e civile, come voi siete. E voi che fate colà ritto, ritto, come una statua? (A Paolo.)
PAOLO: Aspetto gli ordini. Sto a veder, sto a sentire. Non so, s'io abbia a seguitar a fare, o a principiar a disfare.
LEONARDO: Principiate a disfare.
PAOLO: Fare e disfare è tutto lavorare. (Levando dal baule.)
VITTORIA: Io butterei volentieri ogni cosa dalla finestra.
LEONARDO: Principiate a buttarvi il vostro mariage.
VITTORIA: Sì, se non vado in campagna, lo straccio in centomila pezzi.
LEONARDO: Che cosa c'è in questa cassa? (A Paolo.)
PAOLO: Il caffè, la cioccolata, lo zucchero, la cera e le spezierie.
LEONARDO: M'immagino che niente di ciò sarà stato pagato.
PAOLO: Con che vuol ella ch'io abbia pagato? So bene che per aver questa roba a credito, ho dovuto sudare; e i bottegai mi hanno maltrattato, come se io l'avessi rubata.
LEONARDO: Riportate ogni cosa a chi ve l'ha data, e fate che depennino la partita.
PAOLO: Sì, signore. Ehi! chi è di là? Aiutatemi. (Vien servito.)
VITTORIA: (Oh, povera me! La villeggiatura è finita).
PAOLO: Bravo, signor padrone: così va bene. Far manco debiti che si può.
LEONARDO: Il malan che vi colga. Non mi fate il dottore, che perderò la pazienza.
PAOLO: (Andiamo, andiamo, prima che si penta. Si vede, che non lo fa per economia, lo fa per qualche altro diavolo che ha per il capo). (Porta via la cassetta, e parte.)