Carlo Goldoni
Le smanie per la villeggiatura

ATTO TERZO

Scena Nona. Vittoria, poi Ferdinando

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Scena Nona. Vittoria, poi Ferdinando

 

VITTORIA: Io resto di sasso, non so in che mondo mi sia. Vengo a casa, lo trovo allegro, mi dice: Andiamo in campagna. Vo di , non passano tre minuti. Sbuffa, smania. Non si va più in campagna. Io dubito che abbia data la volta al cervello. Ecco qui, ora sono più disperata che mai. Se questa di mio fratello è una malattia, addio campagna, addio Montenero. Va tu pure, maledetto abito. Poco ci mancherebbe che non lo tagliassi in minuzzoli. (Getta il vestito sulla sedia.)

FERDINANDO: Eccomi qui a consolarmi colla signora Vittoria.

VITTORIA: Venite anche voi a rompermi il capo?

FERDINANDO: Come, signora? Io vengo qui per un atto di urbanità, e voi mi trattate male?

VITTORIA: Che cosa siete venuto a fare?

FERDINANDO: A consolarmi che anche voi anderete in campagna.

VITTORIA: Oh! se non fosse perché, perché... mi sfogherei con voi di tutte le consolazioni che ho interne.

FERDINANDO: Signora, io sono compiacentissimo. Quando si tratta di sollevar l'animo di una persona, si sfoghi con me, che le do licenza.

VITTORIA: Povero voi, se vi facessi provar la bile che mi tormenta.

FERDINANDO: Ma cosa c'è? Cosa avete? Cosa v'inquieta? Confidatevi meco. Con me potete parlare con libertà. Siete sicura ch'io non lo dico a nessuno.

VITTORIA: Sì, certo, confidatevi alla tromba della comunità.

FERDINANDO: Voi mi avete in mal credito, e non mi pare di meritarlo.

VITTORIA: Io dico quello che sento dire da tutti.

FERDINANDO: Come possono dire ch'io dica i falli degli altri? Ho mai detto niente a voi di nessuno?

VITTORIA: Oh! mille volte; e della signora Aspasia, e della signora Flamminia, e della signora Francesca.

FERDINANDO: Ho detto io?

VITTORIA: Sicuro.

FERDINANDO: Può essere che l'abbia fatto senza avvedermene.

VITTORIA: Eh! già, quel che si fa per abito, non si ritiene.

FERDINANDO: In somma, dunque siete arrabbiata, e non mi volete dire il perché?

VITTORIA: No, non vi voglio dir niente.

FERDINANDO: Sentite. O sono un galantuomo, o sono una mala lingua. Se sono un galantuomo, confidatevi, e non abbiate paura. Se fossi una mala lingua, sarebbe in arbitrio mio interpretare le vostre smanie, e trarne quel ridicolo che più mi .

VITTORIA: Volete ch'io ve la dica? Davvero, davvero, siete un giovane spiritoso. (Ironica.)

FERDINANDO: Son galantuomo, signora. E quando si può parlare, parlo, e quando s'ha da tacere, taccio.

VITTORIA: Orsù, perché non crediate quel che non è; e non pensiate quel che vi pare, vi dirò che per me medesima non ho niente, ma mio fratello è inquietissimo, è fuor di sé, è delirante, e per cagione sua divento peggio di lui.

FERDINANDO: Sì, sarà delirante per la signora Giacinta. È una frasca, è una civetta, retta a tutti, si discredita, si fa ridicola dappertutto.

VITTORIA: Per altro voi non dite mal di nessuno.

FERDINANDO: Dov'è il signor Leonardo?

VITTORIA: Io credo che sia andato da lei.

FERDINANDO: Con licenza.

VITTORIA: Dove, dove?

FERDINANDO: A ritrovare l'amico, a soccorrerlo, a consigliarlo. (A raccogliere qualche cosa per la conversazione di Montenero). (Parte.)

VITTORIA: Ed io, che cosa ho da fare? Ho da aspettar mio fratello, o ho da andare da mia cugina? Bisognerà che io l'aspetti, bisognerà, ch'io osservi dove va a finire questa faccenda. Ma no, sono impaziente, vo' saper subito qualche cosa. Vo' tornar dal signor Filippo, vo' tornar da Giacinta. Chi sa, ch'ella non faccia apposta perch'io non vada in campagna? Ma nasca quel che sa nascere, ci voglio andare, e ci anderò a suo dispetto. (Parte.)


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