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GIACINTA: Che strepito è questo? Che piazzate son queste?
LEONARDO: Signora, le piazzate non le fo io. Le fanno quelli che si burlano dei galantuomini, che mancano di parola, che tradiscono sulla fede.
GIACINTA: Chi è il reo? Chi è il mancatore? (Con caricatura.)
FULGENZIO: Parlate voi. (A Filippo.)
FILIPPO: Favoritemi di principiar voi. (A Fulgenzio.)
FULGENZIO: Orsù, ci va del mio in quest'affare. Poiché il diavolo mi ci ha fatto entrare, a tacere ci va del mio, e se non sa parlare il signor Filippo, parlerò io. Sì, signora. Ha ragione il signor Leonardo di lamentarsi. Dopo avergli dato parola che il signor Guglielmo non sarebbe venuto con voi, mancargli, farlo venire, condurlo in villa, è un'azion poco buona, è un trattamento incivile.
GIACINTA: Che dite voi, signor padre?
FILIPPO: Ha parlato con voi. Rispondete voi.
GIACINTA: Favorisca in grazia, signor Fulgenzio, con qual autorità pretende il signor Leonardo di comandare in casa degli altri?
LEONARDO: Con quell'autorità che un amante...
GIACINTA: Perdoni, ora non parlo con lei. (A Leonardo.) Mi risponda il signor Fulgenzio. Come ardisce il signor Leonardo pretendere da mio padre e da me, che non si tratti chi pare a noi, e non si conduca in campagna chi a lui non piace?
LEONARDO: Voi sapete benissimo...
GIACINTA: Non dico a lei; mi risponda il signor Fulgenzio.
FILIPPO: (Oh! non sarà vero degli amoretti, non parlerebbe così).
FULGENZIO: Poiché volete che dica io, dirò io. Il signor Leonardo non direbbe niente, non pretenderebbe niente se non avesse intenzione di pigliarvi per moglie.
GIACINTA: Come! Il signor Leonardo ha intenzione di volermi in isposa? (A Fulgenzio.)
LEONARDO: Possibile che vi giunga nuovo?
GIACINTA: Perdoni. Mi lasci parlar col signor Fulgenzio. (A Leonardo.) Dite, signore, con quale fondamento potete voi asserirlo? (A Fulgenzio.)
FULGENZIO: Col fondamento che io medesimo, per commissione del signor Leonardo, ne ho avanzata testé a vostro padre la proposizione.
LEONARDO: Ma veggendomi ora sì maltrattato...
GIACINTA: Di grazia, s'accheti. Ora non tocca a lei; parlerà, quando toccherà a lei. (A Leonardo.) Che dice su di ciò il signor padre?
FILIPPO: E che cosa direste voi?
GIACINTA: No, dite prima quel che pensate voi. Dirò poi quello che penso io.
FILIPPO: Io dico che, in quanto a me, non ci avrei difficoltà.
LEONARDO: Ma io dico presentemente...
GIACINTA: Ma se ancora non tocca a lei! Ora tocca parlare a me. Abbia la bontà d'ascoltarmi, e poi, se vuole, risponda. Dopo che ho l'onor di conoscere il signor Leonardo, non può egli negare ch'io non abbia avuto per lui della stima; e so e conosco ch'ei ne ha sempre avuta per me. La stima a poco a poco diventa amore, e voglio credere che egli mi ami, siccome, confesso il vero, non sono io per lui indifferente. Per altro, perché un uomo acquisti dell'autorità sopra una giovane, non basta un equivoco affetto, ma è necessaria un'aperta dichiarazione. Fatta questa, non l'ha da saper la fanciulla solo, l'ha da saper chi le comanda, ha da esser nota al mondo, s'ha da stabilire, da concertare colle debite formalità. Allora tutte le finezze, tutte le attenzioni hanno da essere per lo sposo, ed egli acquista qualche ragione, se non di pretendere e di comandare, almeno di spiegarsi con libertà, e di ottenere per convenienza. In altra guisa può una figlia onesta trattar con indifferenza, e trattar tutti, e conversare con tutti, ed esser egual con tutti; ma non può, e non deve usar distinzioni, e dar nell'occhio, e discreditarsi. Con quella onestà con cui ho trattato sempre con voi, ho trattato col signor Guglielmo e con altri. Mio padre lo ha invitato con noi, ed io ne sono stata contenta, come lo sarei stata d'ogni altro; e vi lagnate a torto, se di lui, se di me vi dolete. Ora poi che dichiarato vi siete, ora che rendete pubblico l'amor vostro, che mi fate l'onore di domandarmi in isposa, e che mio padre lo sa, e vi acconsente, vi dico, che io ne sono contenta, che mi compiaccio dell'amor vostro, e vi ringrazio della vostra bontà. Per l'avvenire tutte le distinzioni saranno vostre, vi si convengono, le potrete pretendere e le otterrete. Una cosa sola vi chiedo in grazia, e da questa grazia può forse dipendere il buon concetto ch'io deggio formar di voi, e la consolazione d'avervi. Vogliatemi amante, ma non mi vogliate villana. Non fate che i primi segni del vostro amore siano sospetti vili, difidenze ingiuriose, azioni basse, e plebee. Siam sul momento di dover partire. Volete voi che si scacci villanamente, che si rendano altrui palesi i vostri sospetti, e che ci rendiamo ridicoli in faccia al mondo? Lasciate correre per questa volta. Credetemi, e non mi offendete. Conoscerò da ciò, se mi amate. Se vi preme il cuore, o la mano. La mano è pronta, se la volete. Ma il cuore meritatelo, se desiderate di conseguirlo.
FILIPPO: Ah! che dite? (A Fulgenzio.)
FULGENZIO: (Io non la prenderei, se avesse cento mila scudi di dote). (Piano a Filippo.)
LEONARDO: Non so che dire, vi amo, desidero sopra tutto il cuor vostro. Mi avete dette delle ragioni che mi convincono. Non voglio esservi ingrato. Servitevi, come vi pare, ed abbiate pietà di me.
FULGENZIO: (Uh il baccellone!).
GIACINTA: (Niente m'importa che venga meco Guglielmo. Basta che non mi contraddica Leonardo). (Da sé.)