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CURCUMA Ircana, ove t’aggiri? Posso io bene aspettarti,
Non vieni questa mane a pulirti, a lisciarti?
Perché prima di tutte uscir dal bagno fuori?
E andar per il serraglio senza unti, e senza odori?
Se il tuo Tamas ti vede, oh si, gli parrai bella!
Con questi giovinotti vi vol arte, sorella:
Sono le tue compagne lisciate come specchi,
E tu senz’artifizio accorlo ti apparecchi?
IRCANA S’adorni e si profumi, e s’unga, e si colori
Chi di natura ha d’uopo di corregger gli errori.
Incolta, qual mi vedi, sparuta, e senza incanto,
Tamas finor trattenni, né mai gli piacqui tanto.
Sì, Curcuma, tel dico, ora gli piacqui a segno,
Che d’esser di me sola prese il più saldo impegno.
A te fido l’arcano; son lieta, e son contenta
E la temuta sposa or più non mi spaventa.
CURCUMA Sì, qualche volta, è vero, l’amante si diletta
Nel vagheggiar di furto la femina negletta,
Ma quando con il tempo la mira a parte a parte,
Scopre i difetti, e credi, necessaria è un po’ d’arte.
Sia pur la donna bella, non abbia in beltà eguali,
Scoloransi sovente le rose naturali.
Una passione, un detto, un mal de’ nostri usati
Tinge di verde, e giallo i visi delicati:
Ma allor, che dalla mano fia la beltà accresciuta,
La donna è sempre bella, ancor quando è svenuta.
IRCANA Orsù, più d’esser bella calsemi veder lui
Per tempo, e i dolci accenti udir dai labbri sui.
CURCUMA E t’ha promesso amarti?
(Questo è quel che mi cale) d’amarmi sempre, e sola.
CURCUMA Figlia, se tal promessa a te fia poi serbata,
Poi dir, che la fenice in Persia hai ritrovata;
Che un uom di donna sola contentisi è un portento:
Vorrebbero i Persiani possederne anche cento.
Oh maledetta legge, fatta dall’uomo ingrato,
Che rende di noi donne sì misero lo stato!
Compagne son dell’uomo le donne in altro clima;
Servito è il sesso nostro, e si onora, e si stima;
E se d’[un] uomo solo dee contentarsi, almeno
Posto è da pari legge anche ai mariti il freno.
IRCANA Chi sa? La dura legge spero per me corretta.
CURCUMA Ma se la nuova sposa Tamas in breve aspetta?
IRCANA Tamas in questo punto, del genitore al piede,
Spinto dalle mie fiamme, a ricusarla andiede.
CURCUMA E se volesse il padre?...
IRCANA Sì, lo spero: tu mi ami, e so, che di te niuna
Brama più del mio cuore la pace, e la fortuna.
Curcuma, è questi il giorno d’usar l’ingegno, e l’arte,
Per esser con il tempo d’ogni mio bene a parte.
Anzi con questa gemma, che Tamas mi ha donata,
Una d’amor vuo’ darti caparra anticipata.
Custode delle donne, sei per l’etade in pregio,
Dal signor nostro intesi lodar più d’un tuo fregio.
Tu puoi del di lui cuore spiar gli occulti arcani:
Per madre mia ti eleggo, io son nelle tue mani.
CURCUMA Figlia, perché lo merti, al desir tuo mi unisco,
Non già per questa gemma, che per amor gradisco;
E se le mie parole, e i cauti miei consigli
Non basteranno, e i’ veda all’amor tuo perigli,
Di pentole, e di vetri piena ho la stanza mia:
Zitto, Ircana figliuola, faremo una malia.
Una malia faremo sì forte, e portentosa,
Che strugga in pochi giorni e l’amante e la sposa.
CURCUMA Sta cheta; l’amante sino a tanto
Che della nuova sposa viva giulivo a canto;
Indi fedel tornando sia d’ogni mal guarito,
D’esserti impazïente, non più signor, marito.
IRCANA Hai tal poter?
CURCUMA Sì, cara, vedrai portenti strani,
Vedrai quel che san fare di Curcuma le mani.
Dacché l’età primiera mi abbandonò, tre lustri
Amar mi feci ancora con sughi, ed erbe industri;
Con serpi, sangue, e pietre certa bevanda fassi,
Che innamorar farebbe anche le piante, e i sassi.
Dell’oro, e dell’argento vi entra in cotal mistura:
Averne, quanto puoi, dal tuo signor procura;
Recalo alle mie mani, e ne vedrai 1’effetto.
Figlia, senza interesse l’amor mio ti prometto (parte).