Carlo Goldoni
La sposa sagace

ATTO PRIMO

SCENA TERZA   Mariano, poi donna Barbara e Lisetta

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SCENA TERZA

 

Mariano, poi donna Barbara e Lisetta.

 

MAR.

Ha bel dir la padrona. Tutto il fatichiamo.

Due ore dopo gli altri a riposare andiamo. (siede)

E quando non si dorme, in piè non si può stare,

E un'ora innanzi giorno non ci possiamo alzare. (sbadigliando)

Io non so questa notte che novità sia questa...

Sento cascarmi il cuore... non posso alzar la testa. (si addormenta)

BAR.

Svegliati per un poco, poi tornerai sul letto. (a Lisetta)

Mariano... Eccolo , che tu sia maladetto.

Mariano. (forte)

MAR.

Sì, signora. (svegliandosi ed alzandosi impetuosamente)

BAR.

Via, non facciam più scene. (a tutti e due)

La cosa è di premura, ascoltatemi bene.

MAR.

Parli pure, comandi. (strofinandosi gli occhi)

BAR.

Tanto di voi mi fido,

Che un grandissimo arcano vi svelo e vi confido.

Ma pria di palesarlo, voglio che v'impegnate

A perpetuo silenzio, e vo' che lo giuriate.

MAR.

Giuro al ciel ch'io non parlo.

LIS.

Prometto al cielo anch'io.

BAR.

Se fedeli sarete, saprò l'obbligo mio.

Ma se per ignoranza mancaste, o per malizia,

Colle mie mani istesse mi saprò far giustizia.

MAR.

Per me non vi è pericolo.

LIS.

Non manco al giuramento.

BAR.

Uditemi, figliuoli... Vi svelo il mio tormento.

Amo perdutamente, né spero il mio riposo,

Se il mio tenero amante non conseguisco in sposo.

Ad onta di quel foco che arde d'entrambi il core,

Pavento la matrigna, pavento il genitore.

Il padre poco o nulla comanda in queste soglie,

Dispone a suo talento la sua seconda moglie.

(Lisetta si appoggia allo schienale della sedia, e si addormenta)

Ella ch'è nata dama, pretende di volere

Suppeditar? mio padre, ch'è un ricco finanziere.

Arbitra della casa, arbitra del marito,

Di posseder credendo un merito infinito,

Le visite coltiva, coltiva i cicisbei,

E guai se uno mi guarda, li vuol tutti per lei.

Finor quanti partiti a me son capitati,

Con arte e con malizia li ha tutti attraversati.

E intanto passan gli anni senza speranza alcuna,

Malgrado alla mia dote, di ritrovar fortuna.

Sol colla cara sposa il padre si consiglia,

E l'ultima di tutti son io nella famiglia.

Fra l'amor che mi sprona, e il trattamento indegno,

Entrai da risoluta nel periglioso impegno.

So che ciò non conviene a giovane bennata,

Ma ragion non conosce un'alma innamorata.

Sì, maritarmi io voglio... Dormi, Lisetta?

LIS.

Oibò. (svegliandosi)

BAR.

Cosa ho detto finora? (Mariano si addormenta in piedi, barcollando)

LIS.

In verità nol so.

BAR.

Dunque così mi ascolti?

LIS.

Perdon, per carità.

BAR.

Usi colla padronabella inciviltà?

Quel che finora ho detto, l'averò detto invano?

LIS.

Mi darei delle pugna.

BAR.

Parlerò con Mariano. (voltandosi lo vede addormentato)

Povera me! Mariano. (destandolo)

MAR.

Seguiti pur.

BAR.

Vigliacco!

MAR.

Per carità, signora, datemi del tabacco.

BAR.

Piglialo, e se più dormi... (gli una tabacchiera d'argento)

MAR.

No certo, infino a sera,

Se ho tabacco, non dormo.

LIS.

(A lui la tabacchiera?) (da sé)

BAR.

E tu, se più ti vedo... (a Lisetta)

LIS.

Sto ad ascoltarvi intesa,

E per star più svegliata, ne prenderò una presa.

Favorisca. (chiedendo tabacco a Mariano con ironia)

MAR.

Padrona. (le offre il tabacco)

LIS.

La scattola. (chiedendo la tabacchiera)

MAR.

Perché?

LIS.

Di che avete paura?

MAR.

(Ha da servir per me). (da sé)

BAR.

Via, prendeste tabacco. Svegliati or mi parete.

Ascoltatemi dunque, e il desir mio saprete.

Il cavalier che adoro, è il conte d'Altomare,

Che alla conversazione da noi suol frequentare;

Finch'ei fu la matrigna a coltivare intento,

Lodavasi di lui la grazia ed il talento,

Ma tosto che le parve all'amor mio inclinato,

Fu da lei, fu da tutti, deriso e disprezzato.

In grazia mia sofferse tutte l'ingiurie e l'onte,

Quanto crescean gli ostacoli, più si accendeva il Conte.

Ad ambi il nostro foco a simular costretti,

Ammutolendo il labbro, giocavano i viglietti.

Mi capite? (ai due)

LIS.

Ho capito.

BAR.

Stanotte, in conclusione,

Ho potuto col Conte parlar dal mio balcone.

Dissemi ch'ei doveva dopo doman partire.

All'annunzio improvviso mi sento illanguidire.

Mancanmi le parole per il dolor che m'ange,

A singhiozzar principio, egli sospira e piange.

Giurami eterna fede, dal mio dolor commosso,

Pregami ch'io favelli, io favellar non posso.

Meco tornar s'impegna, lo giura, e mi conforta;

Dicogli allor tremando: idolo mio, son morta.

Egli pria di partire m'offre la di sposo.

Io non rifiuto il dono, che d'accettar non oso.

Mille pensieri ho in mente. Vengo a svegliar Lisetta;

Faccio destar Mariano. Egli al balcon mi aspetta.

Torno, e gli do speranza. Mi anima al passo estremo.

Se vi acconsento, io palpito; s'egli mi lascia, io tremo.

Da un lato amor mi sprona, dall'altro il mio periglio.

Da voi chiedo soccorso, da voi chiedo consiglio. (ai due)

LIS.

Convien pensare al modo... (a donna Barbara)

BAR.

Il modo è periglioso;

Figlia non dee in tal guisa promettere allo sposo.

Ma a tanto mi trasporta l'animo duro e strano

Di una matrigna ingrata, di un genitore insano.

In brevissimi istanti ecco quel ch'io ho pensato,

Dalla finestra al Conte l'ho già comunicato;

Egli non disapprova la mia proposizione.

Fermata ho in questo foglio di me un'obbligazione.

Penso mandarla al Conte; che voi gliela portiate;

Che carta e calamaio al cavalier recate;

Ch'egli con altra simile s'impegni al matrimonio,

E che voi due dobbiate servir di testimonio.

LIS.

Perché, signora mia, non far ch'ei venga su?

Pria che nessun si desti, vi von tre ore e più.

Voi potete col Conte trattar con libertà.

BAR.

Ah, no, non lo permette la fama e l'onestà.

LIS.

Di passeggiare al fresco il Conte sarà stracco. (a donna Barbara)

Che dite voi, Mariano? Datemi del tabacco. (a Mariano)

MAR.

Penso anch'io... con licenza. Vado, e ritorno presto. (a donna Barbara)

LIS.

Datemi del tabacco. (a Mariano)

MAR.

Servitevi di questo. (ne mette un poco in un pezzetto di foglio, e lo a Lisetta, e parte)

 

 

 


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