Carlo Goldoni
La donna stravagante

ATTO SECONDO

SCENA PRIMA

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ATTO SECONDO

 

 

 

SCENA PRIMA

 

Camera di donna Livia con canapè e sedia.

 

Donna Livia sul canapè, che dorme; poi Cecchino.

 

CEC.

Eccola qui che dorme. Padrona capricciosa,

Vegliar suol colla luna, col sole indi riposa.

Ma stia, se vuol, le notti in avvenir svegliata,

Con seco non mi gode la giovane garbata.

Non so quel che or mi faccia; vorrei darle il viglietto,

Ma se si desta irata, strilli, minacce aspetto.

Di don Rinaldo il cenno seco eseguir desio,

Tanto più che di farlo m'accorda il padron mio.

Che sarà mai? destarla bel bello i' vo' provarmi.

Quel che sa dir, mi dica; alfin che potrà farmi?

Signora.

LIV.

Chi mi chiama? (destandosi)

CEC.

Son io. Chiedo perdono

Se disturbarvi ardisco...

LIV.

Cecchino! ah, dove sono? (s'alza)

CEC.

Ho da dirvi una cosa. (Or ora mi bastona) (con timore)

LIV.

Vieni qui, il mio Cecchino.

CEC.

(Zitto; la luna è buona.) (s'accosta)

LIV.

Crudel, troncasti un sogno ch'empieami di diletto.

CEC.

Vi recherà piacere maggior questo viglietto.

LIV.

Di chi?

CEC.

Di don Rinaldo.

LIV.

Ah, che finora i' fui

In dolce sonno immersa a ragionar con lui!

CEC.

Il foglio che vi reco, viene utile al bisogno.

LIV.

Pria che dal sen mi fugga, vo' raccontarti il sogno.

Fermati, ascolta, e taci.

CEC.

Prima leggete il foglio.

LIV.

Lo leggerò, ma il sogno prima narrarti io voglio.

Pareami in bel giardino seder vicino a un fonte,

In cui l'acque s'udivano precipitar dal monte;

E il mormorìo dell'onde, e degli augelli il canto,

Diviso il cuor tenevami fra la letizia e il pianto.

Pareami all'aure, ai tronchi, narrare il mio cordoglio,

Rimproverar me stessa dell'ira e dell'orgoglio;

Ed impetrar dai numi, che mi rendesse amore

L'amante più discreto, più docile il mio cuore.

Quando, (contento estremo!) quando il mio ben si vede

Mesto tra fronda e fronda, e mi si getta al piede:

Eccomi a voi, mi dice, eccomi a voi dinante,

Punite il mio trasporto, sdegnoso, intollerante.

Se mi riuscì l'attendervi noioso all'aere oscuro,

Soffrirò il caldo e il gelo per l'avvenir, lo giuro.

Starò le intere notti a quelle mura intorno;

Sarò, qual più v'aggrada, o ridente il giorno.

Ricuserò per voi d'ogni altro cuore il dono:

Donatemi, vi prego, la pace ed il perdono.

Non ti saprei, Cecchino, spiegar la gioia estrema.

Meco a seder l'invito; s'alza, s'accosta e trema.

La man gli porgo in segno del ridonato affetto:

Egli la bacia e stringe, balzami il cuor nel petto.

Sguardi, sospiri e vezzi... ma stolida ch'io sono!

Or dell'error m'avveggo. Di ciò con chi ragiono?

Con un fanciul, che appena sa che l'amor si dia.

Dove, aimè! mi trasporta la debolezza mia?

Tu, di quanto intendesti, non fare altrui parola.

Misero te, se parli. Dagli occhi miei t'invola.

LIV.

Lo leggerò, ma il sogno prima narrarti io voglio.

Pareami in bel giardino seder vicino a un fonte,

In cui l'acque s'udivano precipitar dal monte;

E il mormorìo dell'onde, e degli augelli il canto,

Diviso il cuor tenevami fra la letizia e il pianto.

Pareami all'aure, ai tronchi, narrare il mio cordoglio,

Rimproverar me stessa dell'ira e dell'orgoglio;

Ed impetrar dai numi, che mi rendesse amore

L'amante più discreto, più docile il mio cuore.

Quando, (contento estremo!) quando il mio ben si vede

Mesto tra fronda e fronda, e mi si getta al piede.

Eccomi a voi, mi dice, eccomi a voi dinante,

Punite il mio trasporto, sdegnoso, intollerante.

Se mi riuscì l'attendervi noioso all'aere oscuro,

Soffrirò il caldo e il gelo per l'avvenir, lo giuro.

Starò le intere notti a quelle mura intorno;

Sarò, qual più v'aggrada, mesto o ridente il giorno.

Ricuserò per voi d'ogni altro cuore il dono.

Donatemi, vi prego, la pace ed il perdono.

Non ti saprei, Cecchino, spiegar la gioia estrema.

Meco a seder l'invito; s'alza, s'accosta e trema.

La man gli porgo in segno del ridonato affetto.

Egli la bacia e stringe, balzami il cuor nel petto.

Sguardi, sospiri e vezzi... ma stolida ch'io sono!

Or dell'error m'avveggo. Di ciò con chi ragiono?

Con un fanciul, che appena sa che l'amor si dia.

Dove, aimè! mi trasporta la debolezza mia?

Tu, di quanto intendesti, non fare altrui parola.

Misero te, se parli. Dagli occhi miei t'invola.

 

 

 

CEC.

Non parlerò, il prometto. (Oh che grazioso sogno!

Che ragazzate insipide! per essa io mi vergogno). (in atto di partire)

 

 

 

LIV.

Fermati.

 

 

 

CEC.

Non mi movo.

 

 

 

LIV.

Rimanti, e a me ti accosta.

Vo' veder se dal foglio esigesi risposta.

 

 

 

CEC.

Sembra, per dir il vero, che il Cavalier la brami.

 

 

 

LIV.

Leggasi. Già mi aspetto che barbara mi chiami,

Che stanco sia di vivere negli amorosi affanni,

E di provar che i sogni son della morte inganni.

Donna Livia adorata. Amabil cavaliero!

 

 

 

CEC.

(Se l'ama e la sopporta, è amabile davvero). (da sé)

 

 

 

LIV.

Voi mi volete oppresso; ma interpretar io voglio,

Che da un geloso affetto provenga il mio cordoglio.

Ah, non fu vano il sogno! egli m'adora, il veggio.

 

 

 

CEC.

(Misero, non s'avvede, che coll'amor fa peggio! (da sé)

 

 

 

LIV.

Se reo nel vostro cuore d'intolleranza io sono,

M'avrete al piede vostro a chiedervi perdono.

Verificato è il sogno; verrà, verrà prostrato.

 

 

 

CEC.

(M'aspetto più di prima vederlo strapazzato).

 

 

 

LIV.

Se mi bramate in vita, donatemi un conforto;

Se disprezzar mi veggo, idolo mio, son morto.

Caro foglio adorato! vo' per amor baciarlo.

Ah, ch'io baciassi il foglio tu non gli dir. (a Cecchino)

 

 

 

CEC.

Non parlo.

 

 

 

LIV.

Ad onta del disprezzo, con cui penar mi fate,

Lo spirto, il cuor, la mano vostr'è, se la bramate.

M'ingannò il mio sospetto; il Cavalier m'adora:

Ma dell'amor ch'ei m'offre, non son contenta ancora.

Pria di gradir l'amore, pria di premiar l'amante,

Vo' renderlo agl'insulti discreto e tollerante.

Di un ordinario affetto il cuor mio non s'appaga,

Son delle cose insolite sol desiosa e vaga:

E i vezzi, ed i sospiri, e le dolcezze, e il pianto,

Piacer fra' sogni miei mi possono soltanto.

Prendi stracciato il foglio; s'adempia il mio comando.

Digli che, senza leggerlo, lo sprezzo e lo rimando.

Goditi quest'anello per amor mio; non dirmi

Strana, crudel, fantastica, ma pensa ad obbedirmi. (parte)

LIV.

Ad onta del disprezzo, con cui penar mi fate,

Lo spirto, il cuor, la mano vostr'è, se la bramate.

M'ingannò il mio sospetto; il Cavalier m'adora.

Ma dell'amor ch'ei m'offre, non son contenta ancora.

Pria di gradir l'amore, pria di premiar l'amante,

Vo' renderlo agl'insulti discreto e tollerante.

Di un ordinario affetto il cuor mio non s'appaga,

Son delle cose insolite sol desiosa e vaga.

E i vezzi, ed i sospiri, e le dolcezze, e il pianto,

Piacer fra' sogni miei mi possono soltanto.

Prendi stracciato il foglio; s'adempia il mio comando.

Digli che, senza leggerlo, lo sprezzo e lo rimando.

Goditi quest'anello per amor mio; non dirmi

Strana, crudel, fantastica, ma pensa ad obbedirmi. (parte)

 

 

 

CEC.

Io non dirò niente. Grazie dell'anellino

Il foglio lacerato riporto a quel meschino.

(Con una testa simile, più che le grazie e i vezzi

Farebbero profitto le ingiurie ed i disprezzi.

Finché l'amante prega, finché d'amor languisce,

La donna che s'avvede, presume, insuperbisce.

Se l'uom non fosse debole, come in un libro io lessi,

Vedrebbonsi le donne pregar gli uomini stessi;

E dietro correrebbono all'uom le belle tutte,

Come per lor destino far sogliono le brutte). (da sé, e parte)

 

 

 

 

 

 


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