Carlo Goldoni
La donna stravagante

ATTO TERZO

SCENA SECONDA

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SCENA SECONDA

 

Don Riccardo, poi donna Rosa.

 

RIC.

Grazie al mio buon destino, che da follia d'amore

Tennemi in guardia sempre colla ragione il core.

Ogn'altro mal che provasi, se dal destin proviene,

La sofferenza apprendere dalla virtù conviene.

Ma i procacciati mali di un misero talento

Dal mondo non può esigere nemmen compatimento.

Io merto esser compianto, io che per mia sventura

D'una famiglia ho il peso, queste due donne ho in cura;

Ma non andrà gran tempo, che fuor da questo tetto

Vorrò vederle entrambe, fosse anche a lor dispetto.

Ecco a me la minore, men dell'altra orgogliosa.

ROSA

Signor, voi mi lasciaste inquieta e sì dogliosa,

Che fui da quel momento finor fuor di me stessa,

Da mille doglie afflitta, da mille dubbi oppressa.

L'unico ben ch'io bramo, è l'amor vostro, e questo

Togliemi senza colpa il mio destin funesto.

RIC.

No, figlia, non iscemasi il mio sincero affetto.

Ebbi, non so negarlo, di voi qualche sospetto;

E alfin la diffidenza non condannar bisogna,

Se d'altri in me la genera l'inganno e la menzogna.

Uditemi, nipote: da voi, dalla germana,

Vo' che si scelga stato. La resistenza è vana;

E chi svelar ricusa l'interno suo desio,

Vedrà il proprio destino dipendere dal mio.

Ebbi per donna Livia finor tal convenienza,

Che mertano i riguardi di onesta preferenza.

Ma questi han da aver fine: pensate a voi soltanto,

La soggezion del sangue lasciatela da un canto.

Come se sola foste, svelate a me la brama;

Ditemi a quale stato l'inclinazion vi chiama.

Fidatevi del labbro di un zio, di un cavaliero:

Il vostro cuor, nipote, apritemi sincero.

RIC.

No, figlia, non iscemasi il mio sincero affetto.

Ebbi, non so negarlo, di voi qualche sospetto;

E alfin la diffidenza non condannar bisogna,

Se d'altri in me la genera l'inganno e la menzogna.

Uditemi, nipote. da voi, dalla germana,

Vo' che si scelga stato. La resistenza è vana;

E chi svelar ricusa l'interno suo desio,

Vedrà il proprio destino dipendere dal mio.

Ebbi per donna Livia finor tal convenienza,

Che mertano i riguardi di onesta preferenza.

Ma questi han da aver fine. pensate a voi soltanto,

La soggezion del sangue lasciatela da un canto.

Come se sola foste, svelate a me la brama;

Ditemi a quale stato l'inclinazion vi chiama.

Fidatevi del labbro di un zio, di un cavaliero.

Il vostro cuor, nipote, apritemi sincero.

 

 

 

ROSA

Al ragionar discreto di un zio d'amor ripieno,

Non vo' che altri timori si destin nel mio seno.

Signor, se voi sdegnate di me più lunga cura,

Giust'è che mi solleciti di uscir da queste mura.

Non gradirei, per dirla, la noia di un ritiro;

Intender voi potete lo stato a cui aspiro.

 

 

 

RIC.

Più gentilmente accorto un labbro rispettoso

Svelar non mi poteva la brama di uno sposo.

Sì, l'avrete; non pochi sono i partiti onesti

Che offerti sono. Il meglio si sceglierà fra questi.

E vaglia a consolarvi, che i pregi vostri ammirano,

E che alle nozze vostre i più felici aspirano.

Della maggior germana superba stravaganza

Vanterà meco invano la folle maggioranza.

Quando ritorni il zio con uno sposo eletto,

Si accetterà da voi?

 

 

 

ROSA

Sì, mio signor, l'accetto.

 

 

 

RIC.

Bene, la suora vostra quel che sa dir, si dica

Chieda ragione invano, chi è di ragion nemica.

Di lei non vi spaventino onte, minacce, orgoglio:

Ella è che così merita; son io che così voglio. (parte)

RIC.

Bene, la suora vostra quel che sa dir, si dica

Chieda ragione invano, chi è di ragion nemica.

Di lei non vi spaventino onte, minacce, orgoglio.

Ella è che così merita; son io che così voglio. (parte)

 

 

 

 

 

 


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