Carlo Goldoni
La donna stravagante

ATTO QUARTO

SCENA SECONDA

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SCENA SECONDA

 

Cecchino, poi donna Livia.

 

CEC.

Con lei sono avvezzato; la so blandir da scaltro;

Quello ch'io talor soffro, non soffrirebbe un altro.

Ma se colle stranezze mi provoca e m'aizza,

Con qualche regaluccio mi medica la stizza.

LIV.

Cecchino.

CEC.

Mi comandi.

LIV.

Reca questo viglietto

A don Rinaldo subito, e la risposta aspetto.

CEC.

Sarà servita.

LIV.

Osserva nel leggerlo ben bene,

Quali moti egli faccia.

CEC.

(Da ridere mi viene). (da sé)

LIV.

Sappimi dir se lieto ei ti rassembri in viso;

Se avesse mai di lagrime l'occhio dolente intriso;

Se nell'aprire il foglio, la man gli tremi, e come

Leggere ansioso mostri di donna Livia il nome.

Guarda, osserva, raccogli, se il foglio mio gli è grato.

CEC.

E se me lo rendesse il Cavalier stracciato?

LIV.

Se tal disprezzo io soffro, non mi venir più innante.

Ma nol farà; son certa che don Rinaldo è amante.

È un amator sdegnato; tal della donna è il vanto;

Forzato è dalla speme venir biscia all'incanto.

Vanne, ritorna lieto, quale il cuor mio ti aspetta.

CEC.

(Oh, di superba femmina prosunzion maledetta!

Pretende che l'amante di tutto abbia a scordarsi.

Se don Rinaldo è un uomo, stavolta ha da rifarsi.

Lo goderei, lo giuro, vederlo ricattato,

A costo anche di perdere, e di essere picchiato). (da sé, indi parte)

 

 

 


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