Carlo Goldoni
La donna stravagante

ATTO QUARTO

SCENA DODICESIMA

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SCENA DODICESIMA

 

Donna Livia e Cecchino.

 

CEC.

(Se questi due si univano, dir francamente ardisco,

Che da sì bel consorzio nasceva il basilisco).

LIV.

Cecchino.

CEC.

Mia signora. (Qualche novello imbroglio). (da sé)

LIV.

Che disse don Rinaldo nel leggere il mio foglio?

CEC.

Ma! se ascoltar non vuole...

LIV.

Vo' che mi narri il tutto.

CEC.

(Del cavalier bisbetico or si conosce il frutto). (da sé)

Lo lesse attentamente.

LIV.

Quando gliel'hai recato,

L'accolse con piacere?

CEC.

Con piacer.

LIV.

L'ha baciato?

CEC.

Baciar non lo poteva, chiuso com'era ancora.

LIV.

Quando finì di leggerlo, l'ha poi baciato allora?

CEC.

Per dir la verità, non l'ho veduto.

LIV.

Ingrato!

Dimmi presto, che avvenne? l'ha il crudel lacerato?

CEC.

Nemmen.

LIV.

Lo lesse tutto?

CEC.

Tutto.

LIV.

Più d'una volta?

CEC.

Parmi due volte almeno; indi mi disse: Ascolta,

Di' alla tiranna mia...

CEC.

Parmi due volte almeno; indi mi disse. Ascolta,

Di' alla tiranna mia...

 

 

 

LIV.

Alla tiranna! e intanto

Dagli occhi gli vedesti cader stilla di pianto?

 

 

 

CEC.

Umido aveva il ciglio.

 

 

 

LIV.

Se lo sapea di certo,

Che piangere dovea sol che l'avesse aperto.

Che t'inculcò di dirmi?

 

 

 

CEC.

Dille, mi disse afflitto,

Che amore in queste note il mio destino ha scritto.

 

 

 

LIV.

Piangea nel dirlo?

 

 

 

CEC.

E come! Dille, che più sdegnato

Non mi averà il suo cuore, che scorgesi umiliato.

 

 

 

LIV.

Umiliato il cuor mio? (sdegnosa)

 

 

 

CEC.

Così dicea, signora.

 

 

 

LIV.

No, non sarò, qual crede, umiliata ancora.

 

 

 

CEC.

Dille, soggiunse poi, che serbo a lei la fede,

E che mi avrà ben tosto la mia tiranna al piede.

 

 

 

LIV.

Ecco, quel ch'io attendeva. La solita sua stima.

Verrà al mio piè prostrato. Perché non dirlo in prima?

Sì, sì, m'apposi al vero, conosco il mio potere;

Le chiavi della vita ho in man del Cavaliere.

Più non mi fugge, il veggo. Ma se irritarlo io torno?

Venir disse al mio piede, pria che sparisca il giorno?

 

 

 

CEC.

Chi sa ch'egli a quest'ora non siasi incamminato?

 

 

 

LIV.

Ah, qual sarà il mio giubbilo, se veggolo prostrato!

Pentomi dell'insania, che al marchese Liuto

Mi feoingiustamente offrir qualche tributo.

Fu la , che mossemi a gradirlo.

Misero don Rinaldo! ah, non dovea tradirlo.

Compenserò ben tanto il duol de' miei disprezzi...

Ma coll'amante, o cuore, non profondiamo i vezzi.

Volare ad un estremo dall'altro non si faccia;

Dalla tempesta orribile non passi alla bonaccia.

Tempri un po' di rigore il tenero desio.

Già son di lui sicura; già il di lui core è mio.(parte)

LIV.

Ah, qual sarà il mio giubbilo, se veggolo prostrato!

Pentomi dell'insania, che al marchese Liuto

Mi feoingiustamente offrir qualche tributo.

Fu la disperazione, che mossemi a gradirlo.

Misero don Rinaldo! ah, non dovea tradirlo.

Compenserò ben tanto il duol de' miei disprezzi...

Ma coll'amante, o cuore, non profondiamo i vezzi.

Volare ad un estremo dall'altro non si faccia;

Dalla tempesta orribile non passi alla bonaccia.

Tempri un po' di rigore il tenero desio.

Già son di lui sicura; già il di lui core è mio. (parte)

 

 

 

 



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