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Donna Livia sulla loggia, e detti.
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   (Ma che fa don Rinaldo, che a' piedi miei non viene? Eccolo ancora incerto, smanioso e delirante. Ah, si conosce appieno, ch'è nell'amor costante. Sì, sarò sua; per esso il cuor diè la sentenza, Ma ha da soffrire ancora un po' di penitenza). (da sé) Che fan qui don Properzio e don Medoro uniti? Perché non favoriscono? Che restino serviti.  | 
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   RIN.  | 
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   PRO.  | 
  
   A voi siamo indrizzati. (a Livia)  | 
 
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   RIN.  | 
  
   Non son degl'invitati.  | 
 
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   Venga chi venir vuole, chi vuol restar si stia.  | 
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   PRO.  | 
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   Venghiam, signora mia. (s'incamminano, ed entrano per la porta)  | 
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   RIN.  | 
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   Che dice ella, signore, da me non è invitato? Che far di più potea? ancor mi sembra un sogno. Al foglio che ho vergato, se penso, io mi vergogno. Questa è ben altra prova, che starsi all'aria bruna A tollerar pacifico gl'influssi della luna. Altro maggiore sforzo essere il mio si vede, Di quel d'un uom pentito della sua diva al piede. Donna che scrive e prega, s'abbassa ad un tal segno, Che di vergogna è fonte, che di rossori è degno. E il Cavalier compito per gradimento umano  | 
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   RIN.  | 
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   Chi si trattien da stolido a domandarlo in strada. (entra)  |