Carlo Goldoni
La donna stravagante

ATTO QUINTO

SCENA DICIASSETTESIMA

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SCENA DICIASSETTESIMA

 

Don Rinaldo, Cecchino; poi don PROPERZIO e  don Medoro.

 

RIN.

Ah Cecchino, sollecito entra tu in quelle soglie.

Di' che si freni e taccia, che di furor si spoglie;

Che soffra il mio destino, che un si cangerà.

CEC.

Questa volta senz'altro l'orecchio se ne va. (entra in casa)

RIN.

Di don Riccardo alfine si placherà lo sdegno,

Se in noi vedrà rivivere il primitivo impegno.

PRO.

Amico, compatiteci, s'entriam ne' vostri affari.

Star come i cani all'uscio non è da vostro pari.

RIN.

(Questi importuni abborro). (da sé)

MED.

Entrate in quella porta.

Se alcun dubbio v'arresta, noi vi sarem di scorta.

PRO.

Dovrebbesi per voi aver miglior riguardo.

MED.

Noi la faremo in barba vedere a don Riccardo.

RIN.

Lasciatemi, vi prego, in libertà.

PRO.

No certo.

Si oltraggia il grado vostro.

MED.

Si offende il vostro merto.

 

 

 


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