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L'AUTORE A CHI LEGGE
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Torquato Tasso, discendente dall'illustre famiglia de' Torreggiani, signori di Milano e di altre città della Lombardia, nacque in Bergomo li 11 marzo del 1544. Nell'età di sei mesi egli esprimevasi in modo che facevasi intendere. Nella sua infanzia ridere non fu mai veduto, e piangere poche volte; né mai vi fu bisogno di batterlo o di correggerlo, obbediente sempre ed esatto ne' suoi studi e ne' suoi doveri. Di tre anni fu mandato alle prime scuole, e di quattro principiò i suoi studi sotto la disciplina dei Gesuiti. Levavasi egli ordinariamente col sole, e prima ancora talvolta, per l'impazienza di applicarsi allo studio. Appena toccò i sett'anni, principiò a comporre dei versi, e fece delle orazioni che recitò in pubblico con una franchezza ammirabile. Di dodici anni terminò gli studi di belle lettere. Sapeva perfettamente il latino ed il greco; e possedeva tutte le regole della poetica, della rettorica e della logica; ma lo studio suo prediletto fu quello dell'etica, che è la scienza dei buoni costumi. Portossi a Padova ai pubblici studi, e vi fece tali progressi, che nell'anno diciassettesimo sostenne pubbliche tesi di filosofia, di teologia, e di jus civile e canonico; ma con tutto questo, malgrado ancora le proibizioni del Padre, si attaccò estremamente al diletto della poesia. Nell'anno 1565 passò in Ferrara, chiamato colà dal Duca Alfonso e dal Cardinal d'Este, ov'ebbe un appartamento assai comodo nel Palazzo Ducale, ed ivi lavorò la sua celebre Gerusalemme liberata, e molte altre opere sue al mondo letterato palesi. Nel 1572, in compagnia del Cardinale suddetto, passò in Francia; e questo viaggio non gl'impedì il proseguimento del suo Poema; poiché viaggiando, ed a cavallo ancora, formava di quando in quando delle bellissime ottave. Arrivato a Parigi, ebbe dagli uomini dotti di quella Nazione segni parecchi di molta stima, e il Re medesimo Carlo IX mostrò di avere per lui moltissima benevolenza. Ritornato a Ferrara, pieno di meriti e di virtù e di applausi, principiarono le sue disgrazie. S'innamorò Torquato perdutamente; e la sua bella aveva nome Eleonora. Tutti quelli che hanno letto la vita di sì grand'uomo, scritta in vario modo da vari autori, sapranno bene chi fosse quella Eleonora di cui Torquato si accese, e che per degni rispetti ho dovuto io contentarmi di farla credere una Dama di Corte della Duchessa, e figurandola la favorita del Duca, far che in lui operasse la gelosia, quel che eseguì per altra cagione contro lo sventurato Poeta. Le tre Eleonore, da me introdotte nella Commedia, non sono inventate a capriccio, per prepararmi la ragion dell'equivoco; ma la stravaganza di tre simili nomi in un palazzo medesimo la trovo autenticata dal Dizionario Istorico del Moreri, all'articolo Tasse, con questi precisi termini: Il y avoit alors à la Cour de Ferrare trois Eléonores, également belles et sages, quoique de différente qualité, etc. Torquato fece dei versi in lode di una delle tre Eleonore, ma non specificando cosa che una più dell'altra individuasse, lasciò lungo tempo in dubbio qual fosse quella che il cuore gli avea incatenato. Con questa notizia storica cercai qual fosse la poesia che produsse l'equivoco, e fra i suoi Madrigali uno ne ritrovai che potrebbe esser desso, parlando appunto di una Eleonora ch'egli ama, ed è quello che leggesi nella prima scena della Commedia, ove fo vedere Torquato al tavolino, nell'atto medesimo di comporlo.
Tornando alla vita del Tasso, nell'età di trentanov'anni terminò la Gerusalemme, e gli fu stampata furtivamente, senza ch'ei potesse darle l'ultima mano, di che nella Commedia fo ch'ei si lagni, trovandomi anch'io parecchie volte nel caso istesso. Questo Poema ebbe sì universale l'applauso, che fu tradotto in latino, in francese, in ispagnuolo, in arabo, in turco e in quasi tutti i vernacoli delle varie lingue italiane; ma ciò non ostante l'attaccarono fieramente varie persone critiche, specialmente nella purità della lingua; e queste sono da me figurate nel Cavaliere del Fiocco. Quantunque uomo grande il Tasso ch'essere dovea superiore alle critiche, si lasciò condurre dalla passione, e volle correggere e riformare il Poema suddetto, dandogli il titolo di Gerusalemme conquistata, in che molto tempo ha perduto, e la fantasia gli si è gravemente alterata. Era melanconico di natura, collerico ed impetuoso. Si battè in un duello, e restò superiore dell'inimico; ma siccome il Duca glielo avea proibito, fu costretto partire e rifugiossi in Torino. Dopo un anno tornò in Ferrara per sua sventura; si accrebbe l'amor suo, e fra questa passione, che non poteva senza pericolo manifestare, e fra le persecuzioni degl'invidiosi e malevoli, gli si sublimò l'ippocondria a segno, che pareva di tratto in tratto aver perduto il chiaro lume dell'intelletto. Il Duca colse da ciò il pretesto per chiuderlo nell'ospitale, ove fu trattenuto per qualche tempo, e da dove si liberò per le preghiere di Vincenzo Gonzaga. Roma lo desiderò ardentemente, preparandogli la corona d'alloro, che dopo il Petrarca ad altri non era stata concessa. Vi andò da buoni amici sollecitato, ma appena giunto colà, sopraggiunse la morte a terminare il corso delle sue glorie terrene, cogliendolo nell'età di anni cinquantauno. Egli aveva un temperamento assai vigoroso, atto a tutti gli esercizi del corpo; ma pallido in viso, e consumato assai dallo studio. Il suo talento insigne, e le opere grandi ch'egli ha prodotto al mondo dovevano renderlo più fortunato; ma egli, o poco curante dei comodi della vita, o disgraziato per qualche sua debolezza, non ebbe la giusta ricompensa de' suoi sudori.
Famosa è la contesa della sua patria fra i Bergamaschi e i Napolitani. Quelli si fondano per essere stato il padre suo, Bernardo di nome, uomo parimenti di lettere, Bergamasco di nascita non meno che per l'origine; questi per creder nato Torquato medesimo in Sorriento, città del Regno di Napoli, colà portatasi la Madre sua già incinta, per visitare una sua germana. Ho introdotta io pure nella Commedia la disputa delle due nazioni su questo articolo, il che non solo pone in veduta la verità dell'istoria, ma forma il ridicolo della rappresentazione.
Il nostro Tasso è tanto celebre per tutto il mondo, che pochi sono quelli che non lo conoscano e non lo esaltino. I Veneziani più di tutti lo sentono tutto il dì passare di bocca in bocca dal primo rango de' suoi cittadini sino all'infimo della plebe. Non vi è persona che non reciti o non canti i versi della Gerusalemme; e questa ha dato motivo a moltissime teatrali rappresentazioni, e tutti gli anni vedevasi sui nostri Teatri una specie di tragicommedia dal suo Poema estratta, ed il suo nome era sempre dal popolo meritamente acclamato. M'invogliai, dopo tanto tempo, di mettere sulla scena l'Autor medesimo, oggetto delle pubbliche acclamazioni, e mi consolai moltissimo veggendo bene accolta dall'universale la mia intrapresa. Considerato Torquato Tasso nella disavventura degli assalti suoi ippocondriaci, mi somministra un carattere comico particolare. Non mi riuscì facile condurlo a buon termine; poiché internarsi nella verità di un tal carattere estraordinario non è cosa comune. Mi facilitò assaissimo la riuscita l'esser io soggetto di quando in quando agli assalti dell'ippocondria, non per la Dio grazia al grado di quei del Tasso, ma sensibili qualche volta un po' troppo, e familiari a tutti quelli che si consumano al tavolino. Ho di buono, che come il Tasso non m'innamoro, e che delle critiche appassionate non fo quel conto che egli faceva.