Carlo Goldoni
Torquato Tasso

ATTO QUINTO

SCENA ULTIMA

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SCENA ULTIMA

 

Don Gherardo e detti.

 

GHE.

Che cosa c'è di nuovo?

CAV.

Vada Torquato a Roma al suon di fischi e nacchere;

Coronisi il poeta di pampini e di bacchere.

Del romanesco alloro più vaglion due manipoli

Di foglie di gramigna, raccolta in pian di Ripoli.

Cozzar coi muriccioli i Romaneschi sogliono;

Mordere le balene credono i granchi, e vogliono.

Sanno il loglio dal grano solo i Toscani scernere:

Il prun dal melarancio Roma non sa discernere.

Codesti barbassori si stacciano e crivellano;

Fanno baldoria altrove, e da noi si corbellano.

GHE.

Bravo! questi proverbi, questi bei paragoni,

Fan gli uomini talora comparir omenoni.

TOM.

Donca vu avè risolto? (a Torquato.)

TOR.

Sì, non più dubitate.

GHE.

Ehi, che cosa ha risolto? (alla Marchesa.)

MAR.

A lui ne domandate.

FAZ.

Roma è la via che mena allo paese mio.

Annamo, sì Torquato, che veniraggio anch'io.

GHE.

Che? vuol andare a Roma? (a Patrizio.)

TOM.

Co sarè incoronà,

La lite della patria Roma deciderà,

Se de Bergamo in grazia, sia el Tasso venezian,

O in grazia de Sorriento, se el sia napolitan.

Intanto no ve lasso, vegno con vu anca mi.

GHE.

Dunque il Tasso va a Roma? (a Sior Tomio.)

TOM.

(Che seccator!) Sior sì.

GHE.

È ver che andate a Roma? (a Torquato.)

TOR.

Tempo è ormai che tacciate.

GHE.

Per che cosa va a Roma? (alla Marchesa.)

MAR.

Nol so. (adirata.)

GHE.

Non vi scaldate.

Parlo con civiltà, non rubo, ma domando.

(Tanto domanderò, che saprò come e quando).

PAT.

Torquato, ho già fissata l'ora del partir mio;

Sollecitar vi piaccia.

TOR.

Sì, con voi sono. Addio.

Addio, bella Eleonora, che foste un mia pena,

Che ognor sarete al cuore dolcissima catena.

Vado alla gloria incontro, mercé il consiglio vostro;

Per rendervi giustizia pien di valor mi mostro.

Ma, ohimè, che nel lasciarvi il piè vacilla, e l'alma

Perder a me minaccia... del suo valor la palma...

Sentomi al capo ascendere dal fondo, ohimè, del cuore

Dell'ipocondria nera un solito vapore...

Ma no, passion si vinca, no, non si faccia un torto

Alla virtù di lei, che recami conforto.

Begli occhi, se partendo più non degg'io mirarvi... (don Gherardo ascolta.)

Uditemi, curioso, voglio alfin sodisfarvi.

Amo costei, la lascio per forza di virtù;

Parto col dubbio in seno di non vederla più.

Combattere finora sentii gloria ed amore;

Or la passione è vinta dai stimoli d'onore.

Imparate, ed impari chi n'ha d'uopo qual voi,

Alla virtù nel seno svelar gli affetti suoi:

Che alle passion nemiche campo facendo il petto,

Perdere arrischia l'uomo il senno e l'intelletto:

E che il rimedio solo, per acquistare il lume,

È la ragion far guida dell'opre e del costume.

Parte per Roma alfine il misero Torquato,

Sperando dell'alloro esser colà fregiato.

Chi sa quel che destina di me la sorte ultrice?

Ma se l'onore ho in petto, vivrò, morrò felice.

 

Fine della Commedia.

 


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