Carlo Goldoni
Terenzio

ATTO PRIMO

SCENA PRIMA

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ATTO PRIMO

SCENA PRIMA

Lucano e Damone.

 

LUC.

Parla; che vuoi?

DAM.

Signore, dirti vorrei tre cose;

Una di lor non preme, ma due son premurose.

LUC.

L'inutile si lasci; le necessarie esponi.

DAM.

Viva il padron: tu sei lo specchio de' padroni.

Delle due cose gravi la prima eccola qui:

Terenzio mi corbella, mi tratta ognor così.

Nella commedia sua, l'Eunuco intitolata,

Contro me, che tal sono, vi è più d'una sferzata.

L'altra, che dir ti deggio, è questa, padron mio,

È africano Terenzio, è schiavo qual son io;

Ma lui dal signor nostro a scriver si destina,

Ed io son destinato agli orti e alla cucina;

E pur, se nel far ridere stan tutti i pregi sui,

M'impegno che il buffone so fare al par di lui;

Anch'io so adoperare il pungolo e la sferza...

LUC.

Basta: due cose vane. Esponi ora la terza.

DAM.

La terza importa meno: lo dissi, e lo ridico.

Lelio di fuor t'aspetta, di Terenzio l'amico.

LUC.

Lelio patrizio?

DAM.

Appunto.

LUC.

Venga.

DAM.

La mia ragione...

LUC.

A te ragion, se tardi, farò con il bastone.

DAM.

No, no, signor, sospendi l'usato complimento.

Disposto a nuove grazie col dorso non mi sento.

(Fortuna fortunaccia, tu sei meco indiscreta;

Ma voglio vendicarmi col comico poeta). (da sé, indi parte.)

 

 

 


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